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21 giugno 2016: il blitz che decapitò i D’Amico

Luciana Esposito di Luciana Esposito
20 Giugno, 2024
in Cronaca, In evidenza
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21 giugno 2016: il blitz che decapitò i D’Amico
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21 giugno 2016: una data storica per il quartiere Ponticelli, soprattutto per gli abitanti del rione Conocal.

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“Operazione Delenda”: fu ribattezzato così il blitz che portò i Carabinieri del Comando Provinciale di Napoli ad arrestare più di 90 persone, ritenute responsabili a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, estorsione, narcotraffico, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, e altro ancora.

Più di 300 militari circondarono l’intera area del ‘rione conocal’ di Ponticelli per arrestare vertici e gregari del clan D’Amico, il gruppo camorristico che controlla tutte le attività illecite in quella zona.

Un’indagine che ha concorso anche ad accertare la presenza di un clan al femminile, capeggiato principalmente da donne, dedite alla gestione degli affari illeciti, prima sotto le direttive di Annunziata D’Amico e poi – in seguito all’omicidio della donna boss avvenuto il 10 ottobre 2015 – delle altre donne dell’organizzazione.

Nel corso delle indagini fu anche accertato il coinvolgimento di otto minorenni, affiliati al clan D’Amico e coinvolti nell’attività delle 11 piazze di spaccio di marijuana e cocaina attive nel Conocal con tanto di turni fissi e cambio sul posto.

Dai dialoghi intercettati e dalle immagini estrapolate dalle videocamere piazzate in diversi punti strategici del fortino dei D’Amico emerse uno scenario surreale che raccontava di donne dedite ad indottrinare e allevare giovani da avviare alla malavita. Donne che impartivano consigli sulle armi da usare e che si consultavano sulle tipologie di droga da acquistare per rifocillare le dozzine di piazze gestite nel rione, tra i bambini intenti a giocare e quelli direttamente coinvolti nel business.

Un blitz che giunse all’incirca un anno dopo un’operazione analoga che a marzo del 2015 aveva già fatto scattare le manette per circa 50 affiliati al clan dei cosiddetti “fraulella” che così, nell’arco di pochi mesi, tra arresti, omicidi e cambi di casacca di alcuni gregari, fu messo all’angolo.

Oltre alla timida presenza di qualche spacciatore, per diverso tempo, il Conocal di Ponticelli era stato effettivamente liberato dalla morsa della camorra che per svariati anni aveva reso la vita difficile anche alle famiglie estranee alle logiche criminali, ma come spesso accade in assenza di interventi concreti e risolutivi da parte delle istituzioni, il clan D’Amico è già tornato alla ribalta.

All’opera di rastrellamento compiuta dai carabinieri, ormai sette anni fa, non ha fatto seguito un altrettanto convinto percorso finalizzato a creare alternative culturali e sociali nel rione che allo stato attuale è nuovamente in balia di quelle stesse logiche camorristiche.

Costretti a fare a meno delle figure più espressive del clan, i D’Amico hanno limitato i danni puntando tutto su Vincenzo Costanzo, il 26enne ucciso il 5 maggio a Napoli, nipote acquisito del boss Antonio D’Amico che con il supporto degli amici e dei giovani parenti cresciuti in quello stesso rione insieme a lui, ha dato il via ad una serie di azioni finalizzate a rifocillare le casse del clan, affinchè i fraulella potessero tornare a dire la loro nell’ambito della scena camorristica ponticellese. Un evento propizio ha poi favorito il corso degli eventi: il matrimonio delle figlie del boss Antonio D’Amico con due giovani legati al clan De Micco, fazione storicamente ostile ai frauella, soprattutto in seguito all’omicidio di Annunziata D’Amico. Un legame che ha concorso a conferire un nuovo volto al clan, ma anche a creare una frattura interna abbastanza evidente e che vede parte della famiglia appoggiare la versione 2.0 scaturita proprio dall’alleanza con i De Micco-De Martino, mentre la restante fazione sembra più orientata a creare logiche e dinamiche distinte e distanti. Tra i supporter di quest’ultima corrente di pensiero spiccano i figli di Annunziata D’Amico: fatta eccezione per il primogenito detenuto e maggiorenne quando la madre fu uccisa, gli altri 5 fratelli erano minorenni quando si consumò il delitto, ma a fronte degli otto anni trascorsi dal giorni in cui i De Micco li hanno resi orfani assassinando la madre, oggi sono giovanissimi che sbandierano sui social il forte desiderio di vendetta e rivalsa. Inoltre, uno dei figli di Annunziata D’Amico, a sua volta, ha messo su famiglia con una delle figlie del boss Giuseppe De Luca Bossa, perno portante di un clan che ha svariate ragioni per bramare il medesimo desiderio di vendetta nei riguardi dei De Micco. Giuseppe De Luca Bossa è infatti il padre biologico di Carmine D’Onofrio, il 23enne ucciso nell’ottobre del 2021 proprio dai De Micco. Un’associazione di fatti e persone che concorre a delineare un quadro ben preciso e che si discosta nettamente dalle dinamiche che hanno portato la fazione capeggiata dal defunto Costanzo prima e dai generi del boss Antonio D’Amico poi ad allearsi con i De Micco. Anche le donne di casa D’Amico hanno palesato un atteggiamento dal quale trapela la ferma volontà di prendere le distanze dall’alleanza con gli acerrimi rivali, nonchè assassini di Annunziata D’Amico. Le sorelle della defunta donna-boss hanno disertato i funerali di Costanzo e la plateale celebrazione commemorativa andata in scena nel Conocal in occasione del trigesimo della morte, anche i figli della D’Amico hanno adottato lo stesso atteggiamento.

Il clan D’Amico “puro”, quello che vede ancora una volta primeggiare le donne, si sta progressivamente rifondando anche per effetto delle prime scarcerazioni eccellenti. A distanza di sette anni dal blitz che decapitò il clan D’Amico, alcuni dei soggetti tratti in arresto stanno già tornando in libertà, dopo aver scontato la pena incassata in carcere.

L’omicidio di Costanzo, seguito dall’arresto di Matteo Nocerino, genero del boss Antonio D’Amico, nonchè cugino di Antonio Nocerino, figura apicale del clan De Micco, unitamente alle scarcerazioni recenti hanno concorso a creare uno scenario nuovo, tra le rovine del Conocal di Ponticelli, dove l’unica costante che si ripete sono le minacce, le richieste estorsive e le angherie indirizzate agli abitanti del rione estranei alle dinamiche malavitose, ma comunque costretti a vivere ristretti nella morsa della camorra.

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