Il diritto alla casa, in uno Stato di diritto, dovrebbe rappresentare un principio primario e imprescindibile da garantire a tutti i cittadini e da preservare, qualora si creino delle circostanze che rischiano di comprometterne la salvaguardia.
Le 28mila diffide per un valore di 260milioni inoltrate ai morosi dal Comune di Napoli lo scorso febbraio potrebbero rappresentare il primo passo importante per ripristinare la legalità nei rioni controllati dai clan camorristici.
Con l’invio delle diffide sono stati bloccati i termini di prescrizione e i morosi che occupano immobili del patrimonio del Comune adesso sono chiamati a saldare il loro debito. Dai dati raccolti emerge che quasi la metà degli occupanti immobili comunali non paga. Il patrimonio immobiliare del Comune di Napoli conta ad oggi oltre 65mila cespiti, dei quali la metà non è regola. Il dato è stato elaborato dalla task force che Palazzo San Giacomo ha messo in piedi proprio per cercare di fare chiarezza su uno dei punti più dolenti del bilancio comunale, all’indomani dello storico sgombero dello stabile di Pizzofalcone. Dal lavoro svolto emerge anche un altro elemento relativo agli sfratti non eseguiti. Nel corso degli anni sono state pronunciate circa 6mila sentenze di sfratto mai eseguite. Oggi con la piattaforma unica regionale, il database che contiene l’anagrafe del patrimonio immobiliare del Comune e dei suoi occupanti, chi non paga o non riesce a saldare quanto dovuto, verrà sfrattato e l’immobile verrà assegnato a chi ne ha diritto.
Il Comune di Napoli sta organizzando un complesso lavoro che partirà dalle occupazioni a titolo non abitativo di questi immobili. In seconda battuta si penserà alle case dell’edilizia pubblica residenziale sulle quali pesa la mano della camorra e per le quali sarà necessaria una diversa organizzazione che parte da alcuni provvedimenti ad hoc per accompagnare a nuove soluzioni abitative chi viene sfrattato.
Un piano che se effettivamente avviato costringerà l’amministrazione a farsi carico delle plurime criticità che in tal senso si rilevano nei rioni come il Conocal di Ponticelli, dove la compravendita degli alloggi è da sempre gestita dal clan D’Amico che nel corso degli anni ha provveduto arbitrariamente a sfollare con le cattive maniere gli alloggi per ripopolarli a proprio piacimento.
Rioni che necessitano di essere censiti per comprendere a quanto ammonti il danno, soprattutto perchè si tratta di alloggi occupati da non aventi diritto, tra i quali anche e soprattutto soggetti condannati per reati associativi, prima e imprescindibile premessa che nega a priori la possibilità di vedersi assegnare una casa di proprietà del comune. Lì dove la legge sbarra la strada, ci pensa la camorra a spalancare le porte delle abitazioni, in cambio di svariate migliaia di euro e poco importa se quell’assegnazione coatta neghi il diritto alla casa a un legittimo assegnatario. Nei rioni come il Conocal di Ponticelli, da oltre vent’anni è la camorra a dettare legge.
Il controllo dispotico della compravendita degli alloggi rappresenta da sempre l’arma più potente ed autorevole di cui dispone il clan D’Amico del rione Conocal di Ponticelli. Non solo perchè provvedendo alla riassegnazione degli alloggi, buttando fuori le famiglie non più gradite, il clan può ridisegnare la geografica criminale e gli equilibri camorristici all’interno del suo fortino, andando a generare un clima favorevole agli affari o semplicemente più in linea con le esigenze dell’organizzazione. Inoltre, quella tirannica forma di potere esercita una notevole pressione sui residenti del rione sotto il piano emotivo e psicologico. Chi vive nel Conocal sa bene che una mancanza di rispetto, uno sgarro, un atteggiamento sgradito al clan potrebbe sortire conseguenze estreme per un’organizzazione perennemente a caccia di pretesti ed espedienti per fare soldi.
Un business d’oro alacremente gestito da Annunziata D’Amico, donna-boss dell’omonimo clan uccisa in un agguato di camorra nel 2015, poi proseguito anche in seguito alla sua dipartita.
Negli anni in cui il Conocal era controllato dalla cosiddetta “passillona” si sono verificate scene apocalittiche: familiari di collaboratori di giustizia cacciati di forza dalle case nel cuore della notte, vessazioni, soprusi, minacce.
A notificare lo sfratto coatto una quadriglia di donne, accompagnata da un uomo armato di coltello o pistola. Un branco che si accaniva contro una o due persone, consapevoli delle conseguenze alle quali sarebbero andate incontro provando a reagire o a ribellarsi, seppure consapevoli di essere al cospetto di soggetti che non disponevano dell’autorità per negargli il diritto alla casa privandoli di un alloggio che gli era stato regolarmente assegnato dal Comune di Napoli, proprietario virtuale di quegli immobili ormai da decenni, dalla cui compravendita reiterata nel tempo, i D’Amico hanno ricavato ingenti guadagni.
In seguito alla dipartita della donna-boss, le nuove leve del clan D’Amico hanno avviato una strategia ugualmente cruenta, finalizzata a terrorizzare i residenti in zona in maniera analoga e per preservare le stesse priorità. Molti alloggi sono stati sgomberati attirando le famiglie all’esterno dell’abitazione da occupare appiccando incendi, molto spesso ai danni di automobili o scooter di proprietà dei malcapitati di turno che oltre al danno si sono visti così costretti a fare i conti anche con la beffa, ma anche semplicemente introducendosi con la forza all’interno degli appartamenti, negando alle famiglie private della casa anche la possibilità di poter portare via vestiti, effetti personali, ricordi.
Troneggiare sulle centinaia di abitazioni e abitanti presenti nel Conocal, non rappresenta soltanto un modo per detenere saldamente il controllo di un business redditizio, ma è anche e soprattutto un escamotage fondamentale per far leva sulla paura della collettività, affinchè nel rione regnino connivenza e omertà, rispetto e timore reverenziale, a patto che per quelle famiglie costrette a vivere attanagliate nella morsa della camorra, il diritto alla casa valga più di un atto di coraggiosa ribellione.