Le concitate fasi camorristiche che hanno preceduto e seguito l’omicidio di Giulio Fiorentino, 28enne fedelissima recluta dei De Martino-XX di Ponticelli, ucciso in un agguato a marzo del 2021, concorrono a delineare il profilo criminale di un altro giovane, anche lui morto ammazzato di recente: Vincenzo Costanzo, 26enne ras del rione Conocal di Ponticelli, nipote acquisito del boss Antonio D’Amico, freddato su una panchina in piazza Volturno a Napoli, mentre le strade della città erano invase dai tifosi di fede azzurra, intenti a festeggiare la vittoria del terzo scudetto.
Seppure durante il suo mandato da reggente del clan D’Amico, il cosiddetto “Ciculill'” si sia principalmente limitato a gestire gli affari illeciti nel rione, non sono mancati i momenti in cui il gruppo da lui capeggiato ha messo la firma su azioni intimidatorie indirizzate ai rivali. Le cosiddette “stese” indirizzate ai De Martino-XX tra le strade di una Ponticelli deserta nel bel mezzo del lockdown, ma anche quelle rivolte al boss Gennaro Aprea detto ‘o nonno, dirottato nel Conocal per volere degli altri membri dell’alleanza costituita dalle vecchie famiglie d’onore di Napoli est. L’insediamento dei barresi nella roccaforte dei D’Amico mandò su tutte le furie il ras del rione, tutt’altro che intenzionato a sottostare alle direttive di un boss giunto da un altro quartiere per dettare legge in casa sua. Tuttavia, le attenzioni più frequenti “Ciculill'” le ha indirizzate agli esponenti del clan con il quale era poi entrato in affari, poco prima di andare incontro alla morte.
Nel 2021, quando le fibrillazioni con gli “XX” sembravano accantonate, alla vigilia dell’omicidio di Giulio Fiorentino si verificò un episodio eclatante. Una lite tra i ragazzi del Conocal e quelli legati ai De Martino, nei pressi della villa comunale intitolata ai fratelli De Filippo, storico presidio dell’attività di spaccio di stupefacenti, in virtù della numerosa presenza di ragazzi. Motivo per il quale il controllo del business della droga in quella sede è ambitissimo dalle organizzazioni operanti sul territorio, in quanto capace di garantire ingenti e perenni guadagni. La lite tra Costanzo e Fiorentino sarebbe scaturita proprio da contrasti sorti in relazione alla gestione dell’attività di spaccio nella zona e i due giovani sarebbero passati ben presto dalle parole pesanti alle minacce, finendo per darsele di santa ragione.
A distanza di tempo, all’indomani della morte di Costanzo, alcuni testimoni oculari che hanno assistito alla scena, rompono il silenzio e raccontano quello che hanno visto, sicuri di non avere più nulla da temere.
Ad avere la peggio fu il ras del Conocal che fu conciato piuttosto male da Fiorentino, il quale godeva della fama dell’abile picchiatore, complice anche un’importante stazza fisica. Un’umiliazione pubblica piuttosto plateale che avrebbe mandato su tutte le furie Costanzo che mentre si allontanava, indirizzò una serie di minacce esplicite a Fiorentino, giurando che non sarebbe finita in quel modo e che ben presto avrebbe avuto quello che si meritava. Proprio per questo motivo, nelle ore successive all’agguato in cui perse la vita Fiorentino, nei rioni in odore di camorra di Ponticelli, si diffuse rapidamente il dubbio che su quell’agguato potesse esserci la firma del ras del Conocal. A supportare quei sospetti concorsero altri due elementi di indiscutibile rilevanza: in primis, il fatto che Vincenzo Di Costanzo, il giovane seduto su una panchina nel rione Fiat, fortino del clan De Martino, insieme a Fiorentino, fu graziato dai sicari. Non era un segreto che tra Di Costanzo e i ragazzi del Conocal intercorresse un lungo e disteso rapporto d’amicizia. Motivo per il quale l’ipotesi che potesse aver funto da filatore attirando Fiorentino in una trappola, non appariva così surreale.
Inoltre, la notizia dell’agguato in cui perse la vita Giulio Fiorentino fu introdotta da una raffica di fuochi d’artificio, esplosi proprio nel Conocal, il fortino di Costanzo. Uno spettacolo pirotecnico andato in scena quasi in tempo reale e che fin da subito insospettì gli abitanti del quartiere per quanto fu eclatante e plateale quel festeggiamento. Un gesto stimato essere di cattivo gusto, oltre che irrispettoso, al cospetto della morte di un ragazzo.
A far luce sulle circostanze in cui è maturato l’omicidio di Giulio Fiorentino hanno concorso le rivelazioni di Antonio Pipolo, ex affiliato ai De Micco-De Martino, oggi collaboratore di giustizia: “La tregua che ho trovato al mio rientro a Napoli è durata ben poco, in quanto successivamente si sono verificati contrasti relativi alla spartizione dei proventi delle piazze di spaccio, tra il cartello De Luca Bossa-Minichini-Casella e i de Martino, motivo per il quale c’è stato l’omicidio di Giulio Fiorentino. Io, Palumbo, Ricci, D’Apice e la famiglia De Martino decidemmo di fare una scissione dai Minichini-De Luca Bossa-Casella perchè non arrivavano più i soldi dalle piazze in quanto i soldi li prendevano i Minichini-De Luca Bossa- Casella. Solo con il Conocal non avevamo rancori.”
Particolarmente interessante un altro retroscena rivelato da Pipolo: pochi giorni prima dell’omicidio di Giulio Fiorentino, la pace fu ripristinata in seguito ad un incontro chiarificatore avvenuto a Portici, dove la disputa in atto a Ponticelli fu sottoposta al vaglio dei Mazzarella. In quel frangente, questi ultimi appoggiarono i De Martino per recuperare i soldi, in quanto avevano provveduto loro a fornire la che avevano venduto, i cui proventi erano stati incassati dai clan alleati. La mediazione ei Mazzarella si rese necessaria anche per evitare altre azioni di sangue. L’accordo fu che l’alleanza s’impegnava a versare nelle casse dei De Martino la percentuale che avevano prelevato al posto loro. Seppure Luigi Austero non fosse d’accordo, acconsentì al patto che tuttavia durò pochi giorni, fino all’arresto di Giuseppe Righetto e Nicola Aulisio che avvenne esattamente una settimana dopo l’omicidio di Giulio Fiorentino.
Le dichiarazioni rese dall’ex De Martino alla magistratura, di contro, introducono uno scenario che lascia dedurre che l’omicidio di Giulio Fiorentino fosse il prezzo da pagare per ripristinare la pace tra i clan in conflitto.
Un’ipotesi rafforzata da un altro dettaglio fornito da Pipolo: “Giovanni Palumbo e Ciro Ricci o subito prima o subito dopo l’omicidio mi dissero che Salvatore De Martino, nel corso di un summit, tenutosi quando ancora c’era la tregua, a cui avevano partecipato esponenti del clan Casella, sottolineò che in ogni caso, lui teneva particolarmente ad Alessio Velotti, il quale non doveva essere toccato in nessun caso, in particolare disse: “toccatemi tutti, tranne Alessio Velotti.“
In effetti, dopo l’omicidio del 29enne, così come ricostruito da Pipolo, vi fu un periodo di tregua che s’interruppe per un motivo ben preciso, dando il via alla “stagione delle bombe” che andò in scena nel mese di maggio dello stesso anno: “Dopo l’omicidio di Fiorentino, vi fu una sorta di tregua tra noi e i De Luca Bossa, tregua che tuttavia si interruppe quando apprendemmo che stavano organizzando un omicidio nei nostri confronti. Luca La Penna fu tratto in arresto nel momento in cui stava portando un’auto rubata nel Lotto 6, nei pressi dell’abitazione di “gettone” che doveva fare da punto d’appoggio per l’azione. Capimmo quindi che stavano organizzando un omicidio nei nostri confronti. Ci fu un’accesa discussione telefonica tra Giovanni Palumbo e Luigi Austero che, per ritorsione, diede fuoco all’auto di Francesco Clienti, suocero di Palumbo ed affiliato al clan De Micco.”
Non è da escludere che anche nel Conocal era giunta la notizia che anticipava l’esito del summit avvenuto a Portici, nell’ambito del quale sarebbe maturata la condanna a morte di Fiorentino e che Costanzo, in quel verdetto, abbia letto anche una punizione indiretta per l’affronto che l’affiliato al clan De Martino gli aveva rivolto pochi giorni prima.