La storia di Matteo Nocerino, il 19enne di Ponticelli arrestato la sera successiva all’omicidio del 26enne ras del Conocal Vincenzo Costanzo, è quella di un predestinato, uno dei tanti ragazzi delle periferie come Ponticelli, cresciuti da mamma-camorra, condannati per certi versi a percorrere una strada già ben solcata nel loro destino da un cognome.
Matteo Nocerino, allo stato attuale è la figura più espressiva della terza generazione camorristica della sua famiglia, malgrado abbia un fratello maggiore con precedenti per spaccio di droga. Suo nonno, Ciro Nocerino detto Patacchella, cutoliano di ferro, poi confluito nel clan Sarno, annovera una criminale ricca di reati: associazione mafiosa, detenzione d’ armi, estorsioni, rapine, ma anche di ombre e misteri. La vicenda più inquietante riguarda la morte della moglie, secondo quanto riferito da alcuni collaboratori di giustizia ordinata dal boss Raffaele Cutolo per mettere alla prova la sua credibilità di camorrista alla luce del suo adulterio. Se non avesse fatto sparire quella donna avrebbe perso la faccia e non sarebbe stato più credibile e rispettabile nel contesto malavitoso. Dinanzi al giudice, Ciro Nocerino ha rigettato ogni accusa, ponendo un forte quesito: voglio sapere se sono un guappo o un cornuto.
L’unico dato certo è che quella donna è sparita e il suo corpo non è mai stato ritrovato. Secondo alcuni sarebbe stata seppellita viva in una fossa, in una campagna del vesuviano che adesso accoglie un plesso di condomini.
Ancora più concitato il rapporto con il figlio Massimo, padre di Matteo che da giovanissimo si allea al clan rivale rispetto a quello onorato dal padre. Come detto, Ciro Nocerino era un elemento di spicco del clan Sarno; invece, suo figlio Massimo divenne autista e guardaspalle di Andrea Andreotti ‘o cappotto, per giunta all’indomani della strage del Bar Sayonara pianificata dal boss Ciro Sarno per uccidere proprio ‘o cappotto e che invece costò la vita a sei persone, quattro delle quali estranee alle logiche camorristiche.
Quel figlio che spalleggiava il boss del cartello rivale divenne per Ciro Nocerino motivo di disonore e vergogna, motivo per il quale gli inquirenti arrivarono a sospettare che Nocerino senior fosse il mandante dei numerosi agguati contro il figlio, ben tre, ai quali Nocerino junior è puntualmente sopravvissuto.
In primis perché i sicari sparavano mirando alle gambe per indirizzare un monito al giovane e non per ucciderlo, ma anche perché quest’ultimo forniva descrizioni approssimative dei sicari agli inquirenti, come se volesse proteggere qualcuno e per questo fu anche arrestato per favoreggiamento.
In questo clima pregno di odio familiare, dove gli interessi del clan prevalgono sul legame di sangue, Massimo Nocerino che dal padre erediterà il soprannome, si avvia alla carriera malavitosa confluendo poi nelle fila dei Sarno, dando man forte all’ascesa del clan a suon di azioni violente. Massimo Nocerino aiutò Roberto Schisa, il marito della “pazzignana” Luisa De Stefano ad uccidere suo fratello Giuseppe Schisa, reo di aver esternato l’intenzione di collaborare con la giustizia. Un delitto voluto per dimostrare fedeltà ai Sarno, palesando un attaccamento al clan superiore a quello verso la famiglia “di sangue”.
In questo clima nasce e cresce Matteo Nocerino nel rione San Rocco, fortino dei De Micco che proprio in seguito alla dissoluzione dei Sarno iniziano a muovere i primi passi nel contesto camorristico per poi andare incontro ad una rapida ascesa che li porterà a conquistare il controllo degli affari illeciti a Ponticelli.
Matteo cresce in simbiosi con i figli dei cosiddetti “Bodo” e degli altri elementi di spicco dell’organizzazione, proprio negli anni in cui il boss Marco De Micco consacra la sua leadership camorristica, diventando un vero e proprio mito per i ragazzi come Matteo.
Quella paranza di adolescenti, in cui figura anche Matteo Nocerino, nell’estate del 2017 manifesta i primi segnali dai quali trapela la scalpitante volontà di affiliarsi. Le “parate” in sella agli scooter nel parcheggio della villa De Filippo e soprattutto “le scese” nel cuore della notte per fungere da apripista ad azioni eclatanti da parte dei De Micco raccontate dal nostro giornale valsero alla giornalista Luciana Esposito una plateale piazzata da parte della madre di Nocerino.
“Se mio marito non fosse in galera, saresti già morta per quello che hai scritto su mio figlio”, esordì così la madre di Matteo Nocerino, tredicenne all’epoca dei fatti, mentre lo teneva sottobraccio e lui sghignazzava. La donna avvicinò la direttrice di Napolitan.it mentre stava svolgendo delle interviste nel mercato di via Califano e continuò ad inveire contro di lei, spalleggiata dalla sorella che gestiva uno stand di abbigliamento in quella sede e che la strattonava urlando: “la giornalista senza palle” con il chiaro intento di suscitare una reazione violenta per dare il via a una rissa. La giornalista allertò il locale commissariato di polizia che inviò una pattuglia sul posto. Quando la madre di Nocerino comprese che di lì a poco sarebbero arrivati i poliziotti, allontanò suo figlio, impedendogli così di vedere in che modo vengono risolti i contenziosi di quel tipo quando viene chiamata in causa la legge istituita dall’ordinamento giuridico italiano.
Pochi mesi dopo, quella stessa donna, fu vittima di un linciaggio in strada, da parte dei figli che ne scoprirono l’adulterio e pertanto costretta a lasciare il quartiere.
In questo clima Matteo Nocerino si lega a una delle cinque figlie del boss Antonio D’Amico, quel Tonino fraulella del rione Conocal, nemico giurato dei De Micco, ancor più dopo l’omicidio di sua sorella Annunziata, uccisa proprio da questi ultimi.
Un conflitto di interessi che non sembra turbare il giovane Nocerino, già padre di due figli, a fronte dei suoi 19 anni, che insieme a un altro giovane cresciuto in quella paranza di “Bodiani”, anche lui legatosi sentimentalmente ad una delle figlie del boss D’Amico, s’insedia nel Conocal per dare man forte a quel Vincenzo Costanzo detto Ciculill’ ucciso lo scorso 5 maggio a Napoli, durante la festa scudetto.
Due fratelli acquisiti che sposano due sorelle, un legame d’amicizia fortificato da quel vincolo di parentela acquisito e che li colloca in una posizione autorevole tra i ranghi della famiglia-clan del Conocal di cui diventano parte integrante, seppure Costanzo seguiti ad essere il leader indiscusso, in quanto nipote acquisito di Antonio D’Amico, in virtù del fatto che sua madre Nunzia Scarallo è la sorella di Anna, moglie del boss e fondatore dell’omonimo clan.
I due giovani “bodiani” approdano nel Conocal negli anni di decadenza che scaturirono dal blitz che nel 2016 portò all’arresto di centinaia di persone e sgominò dozzine di piazze di droga. In quegli anni, il fortino dei D’Amico doveva essere rifondato partendo dai relitti del vecchio clan, basandosi sulle forze di quel gruppo di rampolli prettamente dediti a controllare gli affari illeciti nel rione e a godersi la bella vita: viaggi, vacanze, soggiorni in resort di lusso, abiti griffati, capi d’abbigliamento costosi, serate in discoteca. L’ostentazione dello stile di vita più che agiato condotto dai giovani è ampiamento documentato dalle tante foto pubblicate sui social che li mostrano sorridenti, complici, affiatati, uniti. Tant’è vero che il giovane Nocerino, insieme a sua moglie, sarebbe tornato a vivere a san Rocco, rione in cui è nato e cresciuto, nonché storica roccaforte dei “Bodo”, in seguito alla scarcerazione del boss Marco De Micco, secondo i ben informati intenzionato a tenerlo d’occhio, perché impensierito dalla sua vicinanza alla famiglia D’Amico, oltre che da quel vincolo di parentela acquisito. Il boss temeva che potesse capeggiare un’ipotetica vendetta o qualsiasi altra azione utile a minare quell’egemonia che ha riconquistato rapidamente.
Il cartello rifondato nel Conocal era troppo debole e poco organizzato per partecipare alle faide di camorra che hanno segnato la scena malavitosa di Ponticelli nel passato recente, ma negli ultimi tempi qualcosa è cambiato.
La scarcerazione del cugino di Matteo Nocerino, quello stesso elemento di spicco del clan De Micco che Annunziata D’Amico – la zia della sua giovane moglie – bramava ardentemente di uccidere, ha contribuito a disegnare dei nuovi equilibri, dentro e fuori dal Conocal.
Se Marco De Micco temeva che i giovani rampolli cresciuti nell’ombra del suo clan potessero rinnegare le origini per favorire i D’Amico, la recente alleanza sbandierata su TikTok rompe gli indugi e rivela che lo scenario opposto è quello che trova ampio riscontro nella realtà.
Matteo Nocerino, i suoi amici di sempre, felici e sorridenti in discoteca, insieme a Vincenzo Costanzo: un’immagine forte, fortissima che non passa inosservata e conferma la nascita di un sodalizio nuovo, dove le ruggini, i rancori e i piani di vendetta sembrano archiviati per privilegiare gli affari.
I De Micco entrano così nel Conocal, il fortino degli acerrimi rivali, dalla porta principale, grazie al pass fornito da Matteo Nocerino e da suo cognato, delineando un equilibrio camorristico nuovo e impensabile fino a poco tempo prima, nella storica roccaforte dei D’Amico.
Tutto ad un tratto, quel ras che spadroneggiava nel Conocal quando loro si sono insediati, diventa una figura superflua, fuori luogo, a tratti scomoda, perché temono che potrebbe spifferare informazioni preziose agli inquirenti, qualora venisse arrestato, complice l’abuso di droghe che concorre a minare lucidità e affidabilità. Motivo per il quale i due “bodiani” gli erano già subentrati nella reggenza del clan.
Nocerino, pochi giorni prima dell’omicidio di Costanzo, sarebbe stato protagonista di un litigio con un affiliato, sedato a suon di spari. Un episodio che conferma e sottolinea il clima di tensione che si respirava nel rione.
L’omicidio di Costanzo era già stato deciso, l’imprevisto che ha colto l’organizzazione di sorpresa è l’arresto di Matteo Nocerino, avvenuto la sera seguente.
Insieme a Gaetano Maranzino, figlio di Italia Scarallo, sorella di Anna, moglie del boss Antonio D’Amico, Matteo Nocerino è tornato sul luogo dell’agguato per compiere una “stesa”. Una pioggia di spari indirizzata all’ipotetico assassino di Costanzo per diramare immediatamente un messaggio di vendetta o semplicemente per cercare di mantenere vive piste alternative all’epurazione interna. Quell’incursione armata, alla quale hanno partecipato anche altri affiliati al clan che sono riusciti a sottrarsi all’arresto è però terminata al culmine di un inseguimento da parte di una volante del commissariato di San Giovanni-Barra. I due, intercettati a bordo di un T-Max poi risultato rubato, hanno cercato di seminare gli agenti; il passeggero non ha esitato a puntare la pistola contro i poliziotti, pur di sottrarsi a quel destino che inevitabilmente prevede solo due possibili epiloghi per le storie dei ragazzi come Matteo: morire uccisi prima di compiere trent’anni o trascorrere gli anni della giovinezza relegati in una cella.