
Foto di Miguel Á. Padriñán:
L’uso diffuso dell’inglese, da parte dei media, ma anche in ambito commerciale, è ormai un fenomeno così ampio da avere scatenato un recente dibattito politico sull’utilizzo dei forestierismi in Italia.
Nel campo dell’e-commerce o meglio, del commercio elettronico, le parole di derivazione straniera sono ormai radicate, tanto da essere entrate a pieno titolo nei dizionari italiani, ma anche nella conoscenza linguistica della stragrande maggioranza degli utenti.
Da “marketplace”, luogo virtuale di scambi commerciali, a “wallet”, per dire “portafoglio digitale”, fino a “sampling”, inteso come distribuzione di campioni omaggio, e “fidelity card”, ovvero “tessera fedeltà”, gli esempi sono davvero numerosi.
Anche la parola “bonus”, di derivazione latina, è entrata a far parte del vocabolario economico per mezzo dell’inglese commerciale, mentre, sebbene “coupon” sia un termine francese, il sostantivo “couponing” è invece espresso sempre in inglese.
Tra tutti i termini inglesi o comunque stranieri che vengono usati nei macro settori dell’economia e del commercio elettronico, un focus speciale va fatto su quelle parole che iniziano con “cash”, in italiano “denaro contante”.
La dematerializzazione dei contanti e la progressiva affermazione dei metodi di pagamento digitali, ha infatti catalizzato l’attenzione proprio sulla distinzione tra denaro fisico e denaro virtuale.
Una prima parola entrata nel linguaggio comune degli italiani è “cashless”, che in pratica è l’insieme di “cash” e di “less”, traducibile con
“senza contante”. In Italia questa parola ha preso piede proprio con l’introduzione del piano “Italia Cashless”, la nota iniziativa governativa nata per incentivare i pagamenti elettronici tramite app e carte di credito e debito digitali. Tra le motivazioni primarie della misura statale, oltre a promuovere l’utilizzo di metodi di pagamento elettronici e, di conseguenza, la competenza digitale della popolazione, rientrava anche la tracciabilità delle operazioni, e una maggiore possibilità di controllo da parte di enti come l’Agenzia delle Entrate. Sempre in riferimento al piano “cashless”, ha cominciato a circolare anche il termine “cashback”, strettamente correlato alla misura istituzionale. Come incentivo per favorire l’utilizzo di sistemi di transazione digitale al posto del contante, infatti, si è puntato, dal gennaio 2021, su un rimborso del 10 per cento di quanto speso attraverso carte e app di pagamento. Anche una volta sospeso il cashback statale, il quale ha riscosso un certo successo tra la popolazione, l’idea di ottenere un vantaggio sicuro come lo è un rimborso percentuale sulle spese sostenute, ha favorito la diffusione del cashback tra le aziende, come formula di marketing ai fini della fidelizzazione. Il cashback, che letteralmente significa “denaro indietro”, è ormai un tipo di beneficio riservato ai clienti fedeli di un e-commerce o di un’azienda fisica, tanto che sono nati anche dei portali specializzati, come Beruby, Cashback World e Bestshopping, che contano migliaia di imprese affiliate, e alti volumi di traffico e utilizzo dei vari programmi proposti agli utenti iscritti.
Oltre a “cashless” e “cashback”, la parola “cash” è però usata anche in altre parole composte del gergo economico e commerciale. Ne è un esempio il termine “cash on delivery”, che in poche parole significa “contrassegno”, ovvero, letteralmente, “pagamento alla consegna”. Si tratta di una parola che non sempre è utilizzata, ma che potrebbe capitare di trovare quando si ordina una merce online, anche sotto la sigla di COD.
La parola “cash”, inoltre, va a comporre anche altre parole all’interno di settori più specialistici, come ad esempio nel caso del cosiddetto cashout scommesse: conosciuto dagli appassionati di gioco legale a distanza, il cashout è in pratica un tipo di funzionalità che permette di chiudere una puntata prima della conclusione dell’evento sul quale si è scommesso, per poter prelevare eventuali vincite senza aspettare gli altri risultati della schedina.
In ambito finanziario, inoltre, viene usata la parola “free cash flow”, un termine che si può tradurre in italiano con “flusso di cassa libero” e che, nel gergo tecnico, sta a significare la liquidità disponibile agli investitori, rappresentata dal capitale circolare al netto delle spese e delle tasse pagate all’interno di un determinato periodo di riferimento.
Anche se il free cash flow è un concetto che, dal lato pratico, interessa solo una fetta di popolazione, ovvero quella costituita dagli investitori, il linguaggio tecnico viene sempre più usato anche dai media e dai giornali, e non raro è trovarsi a dover sfogliare un dizionario o a cercare su Internet per risalire al significato di certi termini d’importazione.
Anche “cash in”, per concludere questa carrellata di forestierismi applicati all’economia, è una parola che ha iniziato a imporsi nell’uso proprio in relazione alla dematerializzazione del denaro. Con questo termine ci si riferisce alla possibilità di caricare denaro contante all’interno di apparecchi come le pompe di benzina o i distributori. I soldi, anziché rimanere incustoditi e a rischio di atti vandalici, soprattutto nelle ore notturne, vengono trasferiti direttamente alla banca, e messi al sicuro da tentativi di furto o da eventuali malfunzionamenti dell’apparecchio. Si tratta di una soluzione sempre più utilizzata dalle imprese, per garantire una gestione sicura del denaro circolante.
Le parole, come si può notare, sono in costante evoluzione, e si adeguano ai cambiamenti tecnologici: nel prossimo futuro, quindi, sarà probabile che il gergo degli anglicismi si arricchirà ancora di nuovi termini da imparare.