29 gennaio 1986: all’indomani della morte di Luigi Anzovino, il 22enne del Rione Incis di Ponticelli che si lanciò dalla finestra per sottrarsi all’arresto, “Repubblica” dedica ampio spazio alla vicenda.
Un profilo psicologico e una descrizione fisica che corrispondono perfettamente a quella del “mostro” al quale la camorra e le forze dell’ordine danno la caccia dal 2 luglio 1983, ovvero, dal giorno in cui Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, due bambine di 7 e 10 anni del rione Incis di Ponticelli furono violentate, uccise e date alle fiamme.
Anzovino, poche settimane dopo l’omicidio delle due bambine, tentò di violentare la sorella e le sferrò diverse coltellate, utilizzando un coltello a serramanico, la stessa arma utilizzata dall’assassino delle bambine che quel giorno furono viste mentre si allontanavano dal rione per salire a bordo di una cinquecento blu con un faro rotto e un cartello con la scritta “vendesi”. A Silvana Sasso, una loro amichetta, confidarono che avevano appuntamento con un ragazzo più grande che chiamavano “Gino tutte lentiggini”. Gino, diminutivo di Luigi, era un ragazzo con un segno particolare: le lentiggini, altro elemento riscontrato in Anzovino.
Secondo quanto emerso dalle indagini delle camorra, avviate dai referenti ponticellesi della Nuova Camorra Organizzata del boss Raffaele Cutolo, gli abitanti del rione indicarono proprio il ventiduenne come l’assassino delle due bambine. Motivo per il quale, i camorristi ne avrebbero decretato la condanna a morte e pertanto erano intenzionati a prelevarlo per ucciderlo, quando appresero che si trovava nel rione Incis, perchè fuggito dalla località in cui lo avevano inviato al soggiorno obbligato dal carcere, in seguito all’arresto per “atti di libidine violenta” perpetrati ai danni di un bambino.
In carcere aveva diviso la cella con Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo, tre ragazzi di San Giorgio a Cremano, assidui frequentatori del rione Incis che erano stati due mesi dopo, accusati di essere gli assassini delle due bambine. L’unica prova a carico dei tre è la deposizione di Carmine Mastrillo, un ragazzo disabile del rione che fornisce agli inquirenti una ricostruzione dei fatti piuttosto opinabile e non supportata da prove oggettive.
Gli emissari della camorra interpretarono il suicidio di Anzovino come il gesto estremo e disperato di un soggetto, consapevole di essere stato condannato a morte e pertanto intenzionato a sottrarsi alle torture che gli sarebbero state riservate. In sostanza, i rumors che aleggiavano nel rione gli annunciarono le intenzioni della camorra e nel vedere sopraggiungere le auto dei carabinieri sotto la sua abitazione, ipotizzò che fossero proprio gli emissari della malavita travestiti da forze dell’ordine, giunti sul posto per prelevarlo senza destare scalpore, simulandone l’arresto.
Questa la ricostruzione dei fatti fornita dai media dell’epoca, il giorno successivo al suicidio:
Luigi Anzovino, il fratello di un testimone-chiave del processo per il massacro di Barbara Sellini e Nunzia Munizzi, si è ucciso ieri lanciandosi nel vuoto dinanzi ai carabinieri che intendevano arrestarlo. Lo scenario è lo stesso del massacro di Barbara e Nunzia: le schiere di edifici popolari del rione Incis di Ponticelli. Identico il reato sullo sfondo. Luigi Anzovino, come i tre presunti assassini delle piccole Barbara e Nunzia, era finito in carcere, nello stesso giorno di Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca, Luigi Schiavo, per violenza carnale e tentato omicidio. In quel settembre del 1983 quando una Ponticelli atterrita scoprì in tre ragazzi anonimi i volti dei “mostri” che avevano violentato, torturato e ucciso le due bimbe di sette e dieci anni, Luigi aggredì la sorella Angela e la accoltellò per undici volte. Comune l’ iter giudiziario. Luigi, come lo saranno Ciro, Giuseppe e Luigi Schiavo nei prossimi giorni, era stato scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare dopo 28 mesi di Poggioreale. Ma in un punto le due storie si incrociano. Luigi era il fratello maggiore di Ernesto, oggi quattordicenne, “teste determinante – ricorda il giudice istruttore Stefano Di Stefano – nella fase d’ avvio delle indagini”. Ernesto fu il primo a raccontare agli inquirenti che le sue amichette Barbara e Nunzia frequentavano “ragazzi che non erano del quartiere”. E fu il primo a riconoscere in Giuseppe La Rocca il “Tarzan con le lentiggini” che aveva visto spesso con Nunzia. Ieri i carabinieri sono arrivati in via Madonnelle a Ponticelli – di fronte allo stabile una volta abitato da Nunzia e Barbara – di buon’ ora. Cercavano Luigi che da una settimana si era allontanato dal soggiorno obbligato. Luigi è ancora a letto. Sente il padre, Sebastiano, che bofonchia in corridoio: “Sono i carabinieri”. Getta allora per aria le coperte e in una manciata di secondi raggiunge la cucina, tira su la tapparella, apre il balcone, si getta nel vuoto dal quarto piano. Finisce in un lago di sangue sul cemento armato del sottostante campo di basket. Luigi Anzovino, 22 anni, nel luglio di tre anni fa era stato fermato dalla polizia poche ore dopo il ritrovamento dei corpi anneriti dal fuoco di Barbara e Nunzia. Quattro mesi prima era stato arrestato per “atti di libidine violenta” contro un ragazzo di tredici anni. Fu a lungo interrogato. Riuscì a dimostrare la sua innocenza. Due mesi dopo aggrediva la sorella di diciotto anni, Angela. Il ragazzo era stato rimesso in libertà il 20 dicembre scorso per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Racconta il padre Sebastiano: “Lo avevano inviato al soggiorno obbligato di Polla, in provincia di Salerno. Luigi lì faceva la fame più nera. Doveva pagarsi una stanzuccia in albergo che gli costava 18 mila lire al giorno. Così spesso non aveva denaro a sufficienza per mangiare qualcosa di caldo. Il giorno di Natale ce lo vedemmo arrivare qui a Ponticelli. Rimase con noi poco più di ventiquattr’ ore. Poi lo convincemmo a ritornare a Polla con qualche soldo. Ha resistito per un’ altra settimana. A Capodanno era di nuovo qui in famiglia. C’ è rimasto un mese”. L’ uomo non riesce a trattenere le lacrime: “Ma che giustizia è mai questa. Luigi non aveva la testa a posto: lo sapevano tutti. Me lo tengono ventotto mesi a Poggioreale e proprio con quei tre accusati dell’ assassinio delle bambine. Poi lo scarcerano per mandarmelo lontano dove nessuno lo vuole, nessuno lo può aiutare”.