I De Micco-De Martino si sono riappropriati di Ponticelli e sono tornati a controllare il territorio in maniera capillare, sfilando tra le strade del quartiere a bordo di moto e scooter per sfoggiare la ritrovata egemonia.
Una scena che si ripete abitualmente, al calar del sole, quando una squadriglia di affiliati scorta a casa i tre giovani rampolli del clan che abitano nella zona di San Rocco.
Una plateale azione dimostrativa, voluta non solo per preservare l’incolumità delle giovani leve più autorevoli dell’organizzazione. Quella parata tanto plateale quanto inquietante, ha ragione di esistere anche per appagare un’altra necessità: “presentare” alla collettività i nuovi leader del clan.
Non solo il giovanissimo rampollo di una delle famiglie camorristiche più datate di Ponticelli, legato sentimentalmente ad una delle figlie del boss Antonio D’Amico, clan da sempre in rotta di collisione con i De Micco, ma anche suo cugino, figura apicale del clan De Micco, malgrado la giovane età, stimato essere l’attuale ras di San Rocco, entrambi vengono scortati da un nutrito gruppo di giovani riconducibili al clan De Micco-De Martino. Di recente, anche al cugino di Federico Vanacore, nonchè figlio di uno dei fedeli e convinti affiliati al clan De Micco, viene riservato lo stesso trattamento. Un giovane dal carattere ribelle che in passato, in più circostanze ha attirato l’attenzione dei media e delle forze dell’ordine, ma soprattutto perno portante dello zoccolo duro dell’ultima generazione dei De Micco. Una nutrita comitiva di giovani, cresciuti in simbiosi con i figli dei fratelli fondatori dell’omonimo clan e che fin da ragazzini hanno manifestato l’incontenibile desiderio di emulare “i bodo di Ponticelli”, quei camorristi tanto temuti quanto rispettati che a suon di azioni criminali violente e delitti efferati hanno saputo imporre la propria egemonia a Ponticelli, avendo la meglio prima sui D’Amico e poi sui De Luca Bossa. Desta particolare scalpore che ben due di quei giovani membri del gregge di fedelissimi allevato dai De Micco abbiano messo su famiglia con due sorelle, nonchè figlie del boss Antonio D’Amico. Un dettaglio tutt’altro che trascurabile.
Così come nell’occhio del ciclone è finita anche la palese consacrazione del cugino di Vanacore che si trovava insieme a lui in auto quando i killer sono entrati in azione per ucciderlo. Il giovane è infatti riuscito a mettersi in salvo aprendo la portiera dell’auto per fuggire a gambe levate. Un dettaglio reso ancor più macabro dal fatto che, fin da subito, la madre della vittima ha puntato il dito contro di lui, accusandolo senza mezzi termini di “aver venduto” suo figlio, il suo stesso sangue, ai sicari che lo hanno ucciso.
Un’ipotesi inquietante che fa ripiombare Ponticelli nel clima di sanguinaria ferocia che ha segnato l’era dei Sarno. Anni durante i quali gli affiliati si sono rivelati pronti a tutto, pur di dimostrare lealtà e fedeltà al clan, arrivando a uccidere anche i fratelli. Un’affiliazione cruda, crudele, estrema che impone perfino di rinnegare il proprio sangue per privilegiare gli interessi del clan. Oggi come quarant’anni fa.
Uno scenario cruento, confermato proprio dalla consacrazione alla quale è andato rapidamente incontro il cugino di Vanacore. Un salto di qualità sottolineato proprio dal suo inserimento nell’elenco dei pezzi grossi del clan meritevoli di essere scortati dagli altri sodali, al termine di una “dura giornata di lavoro”, al calar del sole.
La recente “promozione” del cugino di Vanacore concorre inoltre a confermare una strategia ben delineata perseguita dai De Micco-De Martino secondo la quale, i soggetti che si rendono autori di gesta criminali determinanti per favorire l’ascesa del clan d’appartenenza, meritano una ricompensa sostanziosa. Prima del cugino di Vanacore, infatti, altri giovanissimi si sono visti riservare lo stesso trattamento.
Soldi, potere, rispetto: questo è quanto, allo stato attuale, il clan De Micco-De Martino si mostra capace di riconoscere a quei ragazzi pronti ad uccidere o a creare le circostanze utili all’esecuzione di un agguato, delineando uno scenario pericoloso agli occhi di altri giovani che rischiano di essere fagocitati dalla macchina dell’affiliazione, perennemente a caccia di nuove braccia da assoldare.