14 maggio 1993: una Fiat Uno imbottita di novanta chilogrammi di mix di tritolo, T4, pentrite e nitroglicerina, esplode in via Ruggero Fauro, vicino al Teatro Parioli di Roma, dove da poco si erano concluse le registrazioni della puntata del Maurizio Costanzo Show.
L’obiettivo dell’attentato di stampo mafioso era Maurizio Costanzo, il giornalista, autore, presentatore e conduttore televisivo morto all’età di 84 anni.
Costanzo, da sempre impegnato nella lotta alla mafia, al termine delle registrazioni era salito su un’auto insieme alla futura moglie Maria De Filippi.
L’attentato fallì, perché i mandanti dell’attacco attendevano un’Alfa Romeo. Invece, quel giorno, a causa di uno scambio di turno tra due colleghi del servizio di trasporto privato, Costanzo e De Filippi salirono su una Mercedes. L’esplosione causò il ferimento di 22 persone, oltre alla devastazione dell’intera area circostante. La Mercedes blu guidata da Stefano Degni che trasportava Maurizio Costanzo e Maria De Filippi e che era seguita dalla Lancia Thema della scorta con le guardie del corpo Fabio De Palo e Aldo Re (entrambi poi feriti) passò vicino a una Fiat Uno parcheggiata a poca distanza dal Parioli.
Una colonna di cemento e un muretto assorbirono l’onda d’urto che avrebbe causato la morte certa dei passeggeri di quelle auto: l’esplosione sfogò altrove l’enorme potenza distruggendo le facciate dei palazzi di quel tratto di via Fauro e ferendo gli inquilini.
Secondo quanto raccontato da Costanzo stesso nel corso di una puntata di Domenica In nel 2019, fu Totò Riina a indicarlo come un obiettivo da eliminare, «perché aveva rotto i co*****». Maurizio Costanzo più volte parlò in tv dell’episodio. Durante una puntata del Costanzo Show, nel corso della quale era presente Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo raccontò: «Sono scampato per caso dall’attentato. Gli autori mafiosi sono stati arrestati in primo e secondo grado dal Tribunale di Firenze. Le indagini hanno testimoniato che sono stato pedinato per oltre un anno e mezzo. Per fortuna c’è stato un “conflitto d’interessi” fra Corleonesi e Catanesi su chi doveva avere il “privilegio” (di ucciderlo, ndr). Poi il privilegio lo hanno avuto i Corleonesi. E poi per tre secondi e un provvidenziale muretto qua fuori…sto ancora qua».
La pista mafiosa fu quella seguita fin dall’inizio, da almeno due anni, dall’omicidio dell’imprenditore palermitano Libero Grassi nel 1991, il giornalista e conduttore era diventato protagonista di una coraggiosa campagna contro la la criminalità organizzata. Arrivò a bruciare in diretta una maglietta che aveva stampata la scritta “Mafia made in Italy” e insieme Michele Santoro convinsero i vertici di Rai e Mediaset ad allestire una lunghissima trasmissione in diretta. Costanzo aveva invitato spesso all’Maurizio Costanzo Show il giudice Giovanni Falcone e aveva maturato una forte amicizia con lui e con i suoi ideali.
Le indagini accertarono poi che già nel febbraio 1992 Cosa Nostra, su ordine del boss Totò Riina, aveva mandato a Roma una banda composta da mafiosi di Brancaccio fra i quali Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Vincenzo Sinacori, Lorenzo Tinnirello, Cristofaro Cannella e Francesco Geraci. Con loro portarono decine di chili di esplosivo nascoste nell’abitazione di un complice.
Tra gli obbiettivi, oltre a Maurizio Costanzo, il giudice Falcone e il ministro della Giustizia, Claudio Martelli. Alla fine, date le difficoltà di colpire il giudice e il ministro, il gruppo decise di puntare su Costanzo che venne pedinato per alcune sere mentre tornava a casa dal Parioli, Poi però Riina decise di far rietrare in Sicilia la banda.
L’anno successivo, in maggio, nuova trasferta a Roma, sempre di malavitosi di Brancaccio: fra questi Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Salvatore Benigno, Giuseppe Barranca e Francesco Giuliano Scarano. Per prima cosa rubarono la Fiat Uno che venne caricata di tritolo in un garage a Tor Bella Monaco e quindi parcheggiata in via Fauro. la sera del 13 maggio il telecomando non funzionò. Ventiquattro ore dopo i mafiosi riuscirono a far esplodere la vettura, ma Salvatore Benigno, preso in contropiede dall’arrivo di una Mercedes e non dell’attesa Alfa Romeo 164, azionò in ritardo il congegno. Oltre ai palazzi di Fauro vennero danneggiati anche quelli di via Boccioni. Decine le auto distrutte o danneggiate. Un vero miracolo che non si piansero morti.
Cinque anni dopo, grazie ai pentiti, gli attentatori vennero riconosciuti in Cristofaro Cannella, Salvatore Benigno, Cosimo Lo Nigro, Giuseppe Barranca, Gaspare Spatuzza, Francesco Giuliano e Antonio Scarano. Oltre agli esecutori (vendi sentenza sotto) vennero condannati come mandanti i boss Riina, Bagarella, Giuseppe e Filippo Graviano, Matteo Messina Denaro, Bernardo Provenzano, Giuseppe Ferro e Brusca.