A 48 ore di distanza dall’omicidio di Federico Vanacore, il 34enne assassinato a Ponticelli, intorno alle 16.30 di lunedì 6 febbraio, continuano ad emergere aneddoti e retroscena legati ai suoi concitati rapporti con gli esponenti malavitosi del quartiere in cui era nato e in cui è morto ammazzato.
Originario di San Rocco, zona storicamente controllata dal clan De Micco, organizzazione alla quale anche uno zio materno risulta affiliato, Federico Vanacore conquista le pagine di cronaca per la prima volta nel 2013, quando viene arrestato nell’ambito di un’operazione che portò all’arresto di numerosi soggetti invischiati in un giro di droga che si estendeva dai comuni dell’entroterra del vesuviano fino alle porte della città di Napoli. Le forze dell’ordine operanti sul territorio, in passato, avevano dedicato una meticolosa attività d’indagine all’attività di spaccio di stupefacenti nella quale anche Vanacore risultò invischiato.
Archiviata quell’esperienza, si sarebbe poi dedicato al furto di auto di lusso e alla pratica dei cosiddetti “cavalli di ritorno” ovvero una richiesta estorsiva indirizzata al legittimo proprietario di un’auto rubata. Un vero e proprio riscatto da consegnare ai malviventi per vedersi restituire la vettura. Un business illecito delicato e tutt’altro che esente da pericoli che in passato avrebbe creato non pochi problemi a Vanacore, finito in più circostanze nell’occhio del ciclone, quando si trovò a negoziare la restituzione dell’auto rubata alla “persona sbagliata”. Complice il carattere scaltro, furbo, ma anche l’impulsività che lo portava facilmente a perdere le staffe prediligendo le botte al dialogo, Vanacore avrebbe collezionato una caterva di liti e sgarri con personaggi poco raccomandabili.
Ritenuto vicino ad alcuni soggetti legati al clan De Micco che in passato in più di un’occasione si sarebbero anche prodigati personalmente per fare da pacieri, sedando dei contenziosi che rischiavano di tradursi in guai seri per il 34enne assassinato di recente a Ponticelli, sprezzante dei pericoli ai quali lo sovraesponeva quel modus operandi scellerato, Vanacore avrebbe comunque continuato a pestare i piedi ad esponenti del contesto malavitoso non solo ponticellese, soprattutto quando di mezzo c’erano gli affari.
Nel 2018, in particolare, quando il blitz che decapitò il clan De Micco favorì l’ascesa dei clan alleati di Napoli est, Vanacore ebbe una lite violenta con Michele Minichini, il killer per antonomasia dell’alleanza, nell’ambito della quale fu picchiato e gli fu intimato di non farsi vedere più a San Giovanni a Teduccio. Dopo un trascorso amichevole, Vanacore entrò in rotta di collisione anche con ‘o tigre. Di episodi analoghi, amici e conoscenti, ne narrano a dozzine.
Una testa calda, una carriera da fiancheggiatore del “sistema”, un soggetto principalmente dedito agli affari illeciti e più propenso a lavorare in proprio che si è sempre guardato bene dall’intraprendere la via dell’affiliazione, proprio perchè non voleva dividere i guadagni con nessuno. E proprio questa ferma ostilità nei riguardi dei clan potrebbe aver decretato la sua condanna a morte.
Non solo “cavalli di ritorno” che scaturivano dalla sua nota abilità nel rubare auto di lusso, servendosi di apparecchiature sofisticate e di espedienti ingegnosi, di recente Vanacore avrebbe intrapreso la pratica dell’usura, prestando somme di denaro alle quali applicava dei tassi d’interesse, oltre al business dei rolex.
Vanacore era uno avvezzo a maneggiare ingenti quantitativi di soldi, ma anche un businessman tutt’altro che propenso a versare nelle casse della camorra una percentuale dei suoi guadagni. Una mancanza di rispetto che un clan austero ed intransigente come quello capeggiato dal boss Marco De Micco, difficilmente potrebbe lasciare impunita. Seppure i rapporti tra Vanacore e diversi soggetti legati alla cosca dei “Bodo” fossero amichevoli, così come comprovano dozzine di fotografie pubblicate sui social network che lo ritraggono al mare, in auto piuttosto che in discoteca in compagnia di diversi affiliati ai De Micco. Negli ambienti malavitosi è risaputo che il concetto di “amicizia” va preso con le pinze, ancor più in un contesto sdrucciolevole come quello ponticellese, dove le dinamiche evolvono rapidamente e gli scenari si ribaltano di continuo.
Di recente, Vanacore aveva intrapreso una relazione con una donna imparentata ai De Luca Bossa con la quale avrebbe avuto anche un figlio. Un legame che può aver concorso a mettere in cattiva luce il 34enne agli occhi dei De Micco, soprattutto in un momento storico teso e concitato in cui si combatte l’ennesima faida per il controllo del territorio.
Amici e conoscenti di Vanacore non hanno dubbi in merito al fatto che la gambizzazione dello scorso novembre fu “un avvertimento”. Il 34enne si recò all’ospedale San Paolo di Fuorigrotta per farsi medicare plurime ferite d’arma da fuoco agli arti inferiori. Ai medici riferì di essere stato gambizzato mentre si trovava al Rione Traiano per fare visita ad alcuni parenti e di ignorare le motivazioni che avevano portato il sicario a sparare. Secondo gli inquirenti fu un avvertimento voluto per punire un conto non saldato.
Uno sgarro non regolato, probabilmente, nell’arco del tempo trascorso, oppure un altro affronto sopraggiunto di recente: queste le motivazioni che potrebbero aver decretato la condanna a morte resa esecutiva lo scorso lunedì 6 febbraio. Uno dei tanti enigmi da decifrare, unitamente ad un’altra circostanza poco chiara, sulla quale si interrogano i residenti nella zona di San Rocco. Seppure Vanacore fosse cresciuto in quel rione, si guardava bene dal recarsi nel fortino dei De Micco, malgrado sua madre – rimasta vedova a dicembre del 2020 – e molti altri suoi familiari vivono ancora lì. Dopo un periodo trascorso a Casalnuovo, Vanacore era tornato a Ponticelli. Abitava in una casa popolare in via Molino Salluzzo, zona ugualmente controllata dai De Micco. Motivo per il quale, agli occhi di amici e conoscenti, quella condotta prudente appare incomprensibile. A maggior ragione all’indomani del suo omicidio, avvenuto proprio a due passi da San Rocco.
Quando i killer lo hanno intercettato, mentre da viale Margherita svoltava in via Immacolata Concezione, probabilmente si stava recando ad un appuntamento chiarificatore. Una trappola tesa per stanarlo e rendere esecutiva quella condanna a morte. L’agguato costato la vita a Vanacore pochi dubbi lascia in merito al verdetto decretato dalla camorra: a differenza di quanto accaduto a novembre, lo scorso lunedì, il killer che ha sparato lo ha fatto con l’intenzione di ucciderlo.