Seppure le indagini condotte dalla Squadra Mobile di Napoli abbiano ricostruito in tempi record movente e dinamica dell’omicidio di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa, ucciso in un agguato la sera del 7 ottobre del 2021, i soggetti tratti in arresto non hanno mai smesso di professarsi innocenti.
Gli avvocati del boss Marco De Micco – accusato di essere il mandante dell’omicidio, ordinato per “punire” il 23enne, reo di aver piazzato un ordigno nel cortile dell’abitazione di casa del boss pochi giorni prima – fin dal riesame hanno sostenuto la tesi dell’equivoco e sarebbero pronti a scardinare punto per punto le intercettazioni che inchiodano il loro assistito.
Un ruolo determinante, nella ricostruzione delle fasi salienti che hanno portato all’omicidio di D’Onofrio, lo giocano proprio i dialoghi avvenuti in casa del boss, all’indomani dell’esplosione dell’ordigno. Al riesame, Marco De Micco ha puntato tutto sull'”equivoco”, spiegando che lui e i suoi sodali fossero intenti ad organizzare una partita al biliardo. Una motivazione che non ha convinto i giudici che hanno convalidato il fermo per il boss e per gli altri affiliati accusati, a vario titolo, di aver partecipato all’azione delittuosa: Ciro Ricci, Giovanni Palumbo, Ferdinando Viscovo e Giuseppe Russo Junior. Anche i familiari di quest’ultimo professano a gran voce l’innocenza del giovane conosciutissimo nel quartiere per l’attività di barbiere praticata in un salone gestito insieme ai fratelli.
Proprio dalle intercettazioni sarebbe emerso che ad indicare il figlio naturale di Peppino De Luca Bossa come l’autore del raid a lui indirizzato sarebbe stato un giovane affiliato al clan De Luca Bossa, Giovanni Mignano, al culmine di un interrogatorio tanto serrato quanto violento avvenuto in casa De Micco. Una circostanza che Mignano, arrestato pochi giorni dopo l’omicidio di D’Onofrio, ha sempre smentito chiedendo a gran voce di sottoporsi a perizia fonica.
Un contributo determinante per inchiodare gli autori del delitto alle loro responsabilità potrebbe essere fornito da Antonio Pipolo, 27enne ex affiliato al clan De Micco, oggi collaboratore di giustizia. Il pentimento di Pipolo è giunto in seguito al duplice delitto di Carlo Esposito, affiliato al suo stesso clan, e di Antimo Imperatore, vittima innocente della criminalità, estraneo alle dinamiche camorristiche, quando il 27enne avrebbe scoperto che i De Micco miravano a tappargli la bocca per sempre, temendo che laddove fossero scattate le manette per lui, non avrebbe esitato a pentirsi fornendo alla magistratura un prezioso tassello, utile a rafforzare le accuse a carico del boss Marco De Micco e dei suoi affiliati più fedeli.
Un evento che si è effettivamente configurato, perchè Pipolo ha fornito alla magistratura tutte le informazioni in suo possesso circa l’omicidio del 23enne, assassinato in via Crisconio, nei pressi dell’abitazione dove viveva con la madre, sotto gli occhi impietriti della compagna in procinto di partorire il loro primo figlio.
Nel riportare alla magistratura le informazioni di cui è a conoscenza circa l’omicidio di Carmine D’Onofrio, Pipolo smentisce il rumors di popolo che lo indicava con crescente insistenza come l’esecutore materiale di quel delitto: “Non ho ucciso Carmine D’Onofrio, anche se tutti pensano che sono stato io. Io ho solo preso l’auto e l’ho nascosta. La Nissan Qashqai utilizzata per l’omicidio. I killer sono partiti da casa mia: sono Giovanni Palumbo e Ferdinando Viscovo. La Nissan era parcheggiata sotto casa mia in un parcheggio. L’avevano messa loro lì una settimana prima. Quando li ho visti partire ho capito che dovevano fare qualcosa.
Ciro Ricci nell’omicidio di Carmine D’Onofrio ha avuto il mio stesso ruolo. Abbiamo preso l’auto e l’abbiamo nascosta.
Dopo l’omicidio sono venuti a casa mia a bordo della Nissan Palumbo e Viscovo. Ricci stava con me e Ivan Ciro D’Apice. Indossavano caschi ancora con l’adesivo attaccato; erano vestiti cn completi kway blu e scaldacolli con scrittura Kipsta.
Giovanni Palumbo quando è sceso dall’auto aveva il sangue addosso sulla visiera del casco.
Sono saliti a casa mia ma non parlavano dell’omicidio. Avevano una pistola calibro 45. La pistola la teneva Palumbo.
Io e Ricci abbiamo preso la macchina, Palumbo e Viscovo hanno messo gli indumenti e i caschi in un sacco nero che hanno lasciato in una scuola abbandonata nelle palazzine tra lotto 10 e lotto 6, adibita a discarica.
Non so chi ha fatto il filo.
Che poi Giuseppe lo stilista (Giuseppe Russo Junior) abbia fatto il filo o no questo non lo so.
Non ho mai partecipato alle riunioni a casa di Marco De Micco nel corso delle quali è stato organizzato l’omicidio di Carmine D’Onofrio.
Preciso che quando abbiamo aspettato i killer a casa mia c’erano Ricci e D’Apice. Io e Ricci siamo andati a posare la Nissan mentre D ‘Apice e i killer aspettavano a casa mia.
Quando siamo tornati ci stavano aspettando.
Non so chi dei due abbia sparato.
L ‘arma l’ha data marco De Micco a Giovanni Palumbo. Lo dico perché di solito era Marco De Micco a procurare le armi.
Non ho visto personalmente da chi Palumbo abbia ricevuto la pistola.”
Pipolo svela un altro retroscena: “l‘omicidio si doveva consumare il giorno prima, ma D’Onofrio non tornò a casa. Il giorno prima vennero a casa mia i killer, si cambiarono, presero la macchina e andarono già a cercare Carmine D’Onofrio, ma poi tornarono.
Ho saputo che doveva essere ammazzato Carmine D’Onofrio due giorni prima dell‘omicidio. A dirmelo furono Ricci, Palumbo, Viscovo e D’Apice, non ricordo dove eravamo. Mi dissero che Carmine D’Onofrio doveva essere ucciso perché aveva messo la bomba a Marco De Micco.
Non mi dissero come lo avevano saputo.
In precedenza sapevo che doveva essere uccisa Martina Minichini. Ne parlarono a casa mia Marco De Micco, D’Apice e Palumbo in mia presenza.
Non ho partecipato a nessuna delle riunioni nelle quali è stato deciso ed organizzato l’omicidio con la divisione ed attribuzione dei ruoli di killer, filatore e di chi si dovesse occupare dell‘occultamento del veicolo, dei vestiti e dell‘arma.
La sera dell’omicidio di Carmine D’Onofrio io, Ricci e forse mio cugino giravamo a bordo di una 500 L non ha niente a che vedere con l’organizzazione dell‘omicidio di Carmine D’Onofrio. Era un giro anche per vedere se e erano delle ragazze o gli amici. Volevamo anche farci riprendere dalle telecamere di sorveglianza per far capire clic noi non c’entriamo niente con l’omicidio.“
Rispetto al ruolo di mandante ricoperto dal boss Marco De Micco, Pipolo non ha dubbi: “i killer non si sarebbero mossi senza l’ordine di Marco De Micco.”
Infine, Pipolo tira in ballo una persona che non figura nelle indagini ufficiali: “So che Salvatore Volpicelli abita a San Roco e parlava spesso con Marco De Micco. Mio cugino Ivan Ciro D’Apice, dopo l’omicidio, mi disse che Salvatore Volpicelli c’entrava qualcosa con l’omicidio di Carmine D’Onofrio.“