Antonio Pipolo, il 27enne autore del duplice omicidio di Carlo Esposito e dell’innocente Antimo Imperatore, sarebbe finito nel mirino dei De Micco, clan al quale era affiliato, perchè gli altri sodali temevano che se fosse stato arrestato avrebbe potuto avviare un percorso di collaborazione con la giustizia. Un evento che ha trovato effettivamente riscontro nella realtà, poichè Pipolo si è recato spontaneamente in Procura per avviare il percorso di collaborazione, poche ore dopo il duplice omicidio dell’affiliato al suo stesso clan d’appartenenza, Carlo Esposito detto Kallon e del 53enne factotum del rione Fiat Antimo Imperatore.
Sullo sfondo un tumultuoso vortice di sanguinari eventi, scaturiti da un altro delitto eccellente: quello di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa, ucciso ad ottobre del 2021.
“Sono l’unico rimasto fuori dall’omicidio di Carmine D’Onofrio e avevano paura che se fossi stato arrestato avrei parlato“, si legge nei verbali contenenti le dichiarazioni rilasciate da Pipolo all’indomani dell’omicidio di Esposito ed Imperatore. Sarebbe stata la nonna, nelle ore successive al duplice delitto, a convincerlo a consegnarsi alla polizia.
“Mi sono presentato spontaneamente perché non riuscivo più a reggere questa situazione dopo stamattina.
Ho sparato a due persone, Carlo Esposito ed un altro che non conosco, nel Rione Fiat. Erano in casa in un basso. Sono andato lì, Carlo Esposito era dentro casa, l’altro era all‘esterno in una veranda. La porta era aperta.
Carlo Esposito era all‘interno vicino ad una finestra, Ho usato una pistola calibro 7.65 parabellum.“
In sostanza, Pipolo conferma di essere entrato in azione per uccidere il solo Esposito e di aver assassinato Antimo Imperatore, seppure non lo conoscesse, solo perché testimone dell’agguato.
“Faccio parte del clan De Micco e ho saputo che sabato mattina c’era stato un summit tra i De Micco, i De Martino, i Mazzarella e i De Luca Bossa nel corso del quale hanno deciso di uccidermi perché ritenevano che io fossi quello più debole, nel senso che in caso di arresto avrei potuto collaborare con la giustizia. Avevano deciso di uccidermi fingendo che ci fòsse una rissa nella discoteca Club Partenope, all‘interno dell‘ippodromo.
Preciso che il fatto che volessero uccidermi perché temevano che io in caso di arresto avrei potuto collaborare con la giustizia è una mia supposizione.
In giro nel quartiere si diceva che Carmine D’Onofrio lo avevo ucciso e per gli altri clan ero io quello più pericoloso dei De Micco e dunque la persona da eliminare. Dunque, poiché ero l’unico a non essere stato arrestato per l’omicidio di Carmine D ‘Onofrio, oltre a D ‘Apice Ciro Ivan, pensavano che in caso di arresto avrei collaborato.”
Pipolo racconta con dovizia di particolari dei frequenti colloqui in videochiamata con il boss Marco De Micco in collegamento dal carcere: un modus operandi necessario per soddisfare la necessità di dialogare con i suoi affiliati guardandoli negli occhi, malgrado la detenzione. Un elemento che sottolinea il bisogno impellente del boss di controllare tutto e tutti, anche dopo l’arresto.
Il neo-collaboratore ha spiegato alla magistratura che dietro la condotta apparentemente tranquilla manifestata dagli altri affiliati al clan, in realtà, si celava l’intenzione di eliminarlo simulando “un incidente”, perchè non intendevano insospettire l’affiliato Ivan Ciro D’Apice, cugino di Pipolo: “da quello che ho saputo volevano evitare che mio cugino Ivan Ciro D’Apice, che pure fa parte del gruppo, immaginasse che potessero essere stati loro. Volevano farmi fare la stessa fine di Flavio Salzano, mio amico, anche lui appartenente al clan De Micco, ucciso qualche anno fa sempre dai De Micco, in particolare, per come mi hanno riferito, in quanto io ero detenuto all‘epoca, da Luigi De Micco.”
Secondo i rumors che serpeggiano nel rione Fiat, fortino del clan De Martino, teatro dell’omicidio di Esposito ed Imperatore, Pipolo avrebbe puntato Kallon perchè gli sarebbe stato indicato come l’affiliato incaricato di “sbrigare la faccenda” provvedendo a rendere esecutiva la condanna a morte emessa a margine del summit tra i clan operanti sul territorio.
Perché Pipolo ha deciso di uccidere il suo possibile aguzzino, togliendo la vita anche ad un innocente, per poi consegnarsi alla magistratura, quando avrebbe potuto optare per il percorso che conduce alla collaborazione, senza spargimenti di sangue?
Questa la domanda che dallo scorso luglio aleggia sul rione Fiat e non solo e che forse troverà una risposta nei prossimi verbali.