Gli arresti avvenuti alle prime luci dell’alba di martedì 17 gennaio nel quartiere napoletano di Ponticelli hanno concorso a far luce su uno degli eventi più eclatanti che ha segnato la faida tra i De Luca Bossa e i De Micco De Martino: l’ordigno esploso la sera dello scorso 23 luglio.
Immagini apocalittiche che richiamarono in strada i residenti in zona, increduli di assistere a quell’increscioso spettacolo: automobili in preda alle fiamme, in seguito alla fragorosa esplosione di un ordigno piazzato sotto una vettura parcheggiata in via Virginia Woolf, a due passi dalla stazione dei Vigili del fuoco.
Scene di guerriglia urbana che ben narravano l’escalation di violenza che si registrava tra le strade del quartiere erto a teatro dell’ennesima faida di camorra tra i De Luca Bossa e i De Micco-De Martino.
Appena tre settimane prima, il 2 luglio, un commando costituito da quattro sicari a bordo di due scooter, esplose una raffica di colpi d’arma da fuoco ad altezza d’uomo in viale Margherita, nei pressi del “Bar Super“, luogo di ritrovo abituale dei giovani rampolli del clan De Micco-De Martino. I carabinieri identificarono in un batter d’occhio i responsabili, grazie al contributo fornito dai sistemi di videosorveglianza delle attività commerciali della zona: quattro giovanissimi contigui al clan De Luca Bossa, capeggiati da Emmanuel De Luca Bossa, secondogenito di Antonio alias Tonino ‘o sicco, boss fondatore dell’omonimo clan, condannato all’ergastolo e detenuto al 41 bis.
L’arresto del commando, però, non ha ridimensionato le velleità dei De Luca Bossa, galvanizzati dalla scarcerazione di una figura apicale del clan: Christian Marfella, fratellastro di Tonino ‘o sicco, in quanto figlio di Teresa De Luca Bossa e del boss di Pianura Giuseppe Marfella. Il soprannome di quel fratellastro che venera come una divinità lo porta scalfito sul collo, come un lussuoso collier da sfoggiare con sfrontato senso d’appartenenza. Tornato in libertà, dopo aver trascorso circa 10 anni in carcere, prima ai domiciliari e controllato a distanza con il braccialetto elettronico, poi a piede libero, Christian Marfella è la figura che ha ispirato il recente e violento ritorno sulla scena camorristica del clan di famiglia.
In particolare, il raid che distrusse l’auto del reggente del clan De Micco la sera del 23 luglio cela una strategia ben precisa, perchè matura in un momento storico preciso e delicato.
Due giorni prima, il 20 luglio, un episodio eclatante aveva concorso a minare sensibilmente l’armonia tra i De Micco-De Martino: Antonio Pipolo fece irruzione nel basso del rione-fortino del clan De Martino in cui Carlo Esposito – affiliato al suo stesso clan – era in procinto di trasferirsi e lo uccise a sangue freddo. Quando Pipolo bussò alla porta, si trovò davanti il 53enne Antimo Imperatore, factotum del rione che era lì per montare una zanzariera. Sparò prima al 53enne per poi addentrarsi nell’abitazione ed uccidere Esposito. L’atto impulsivo di un affiliato che ha agito arbitrariamente mettendo la firma su un’azione che ha provocato la morte di un uomo estraneo alle dinamiche camorristiche. Infine, Pipolo, poche ore dopo il duplice delitto, si presentò spontaneamente in Procura per avviare il percorso di collaborazione con la giustizia.
Una sequenza frenetica ed eclatante di eventi della quale i De Luca Bossa approfittarono immediatamente per seguitare a minare la leadership dei rivali, seppure fino alla scarcerazione di Marfella avessero optato per una condotta più prudente per limitare i danni.
L’ordigno piazzato sotto l’auto della moglie di Ciro Naturale soprannominato ‘o mellone, indicato dai collaboratori di giustizia come l’erede di Marco De Micco, s’interseca tra le crepe della frattura tra i De Micco e i De Martino, palesando il chiaro intento dei De Luca Bossa di approfittare del momento di difficoltà dei rivali per conquistare terreno.
Seppure la strategia delle bombe sia prettamente riconducibile ai De Luca Bossa che fin dai tempi di Tonino ‘o sicco beneficiano in tal senso del supporto dell’Alleanza di Secondigliano, il raid indirizzato a ‘o mellone si prestava a plurime interpretazioni, proprio perchè maturava in un momento in cui rapporti tra i De Micco e i De Martino erano particolarmente tesi.
Tuttavia, l’intenzione covata dalla cosca del Lotto O di riappropriarsi del controllo del territorio, fu inequivocabilmente chiarita quella stessa sera: poche ore dopo l’esplosione dell’ordigno che distrusse l’auto della figura apicale del clan De Micco, un altro ordigno fu lanciato dal cavalcavia che sovrasta via Vera Lombardi, nei pressi delle cosiddette “case di Topolino”, un tempo fortino dei Sarno, oggi quartier generale di Francesco Clienti detto Tatà, figura di spicco del clan De Martino.
Due azioni eclatanti, compiute a distanza ravvicinata ed indirizzate a due pezzi da novanta della scena camorristica locale: uno scenario che lasciava intendere che di lì a poco sarebbe maturata la replica dei rivali, proprio come accadde all’indomani del raid in viale Margherita, quando un gruppo di soggetti armati fece irruzione nei pressi del centro scommesse del Lotto O in cui sono soliti ritrovarsi i giovani contigui al clan De Luca Bossa e spararono una raffica di colpi, provocando il ferimento di uno dei presenti.
Tuttavia, la replica dei De Micco-De Martino al duplice attentato subìto nel corso di quella notte movimentata, non fu immediato. Un mese dopo, il 24 agosto, quando Christian Marfella che in quel momento beneficiava di un paio d’ore di permesso per concedersi una boccata d’aria, fece la sua consueta irruzione nel rione De Gasperi, in sella alla sua imponente motocicletta, trovò ad attenderlo un commando pronto ad ucciderlo a bordo di un’auto, nella zona delle cosiddette “case murate” dell’ex fortino dei Sarno.
Quando i sicari del clan rivale – secondo gli elementi forniti dai residenti in zona che hanno assistito alla scena, riconducibili al clan De Martino – videro arrivare Marfella, iniziarono a sparargli contro mentre lo inseguivano. Il fratellastro di Tonino ‘o sicco riuscì a salvarsi grazie alla sua nota dimestichezza nel guidare la moto, praticando una serie di manovre rocambolesche per poi dileguarsi rapidamente, una volta giunto in via Angelo Camillo De Meis.