Un omicidio che ha destato scalpore e che continua ad alimentare le chiacchiere di quartiere, quello andato in scena a Ponticelli, poco dopo la mezzanotte di domenica 14 marzo 2021. I sicari entrarono in azione in via Esopo, nel fortino del clan De Martino, dove il 29enne Giulio Fiorentino e il 23enne Vincenzo di Costanzo erano seduti su una panchina. A segnalare l’accaduto alle forze dell’ordine, una telefonata anonima al 113 che ha consentito ad una volante della Polizia di Stato di recarsi sul posto. Gli agenti hanno quindi trovato i due giovani, riversi in una pozza di sangue ed hanno allertato i soccorsi. Fiorentino è morto poco dopo l’arrivo all’ospedale Villa Betania per la gravità delle ferite riportate, mentre Vincenzo di Costanzo, che riportò ferite alle gambe e all’inguine, fu immediatamente sottoposto ad un intervento chirurgico, non appena giunse al pronto soccorso dell’Ospedale del Mare. Il 23enne, nelle ore successive, fu nuovamente sottoposto ad un delicato intervento chirurgico per procedere all’asportazione di un testicolo.
Un agguato efferato che ha fortemente scosso l’opinione pubblica, non solo per la giovane età dei due ragazzi finiti nel mirino dei sicari, ma anche per la modalità d’esecuzione. Un delitto che avvenne quando l’emergenza coronavirus era tutt’altro che superata ed era in vigore il coprifuoco proprio per contenere i contagi. Motivo per il quale, la presenza dei due giovani su una panchina, nel cuore del rione-fortino del clan d’appartenenza, fin da subito, fu uno dei primi elementi sui quali si è concentrata l’attenzione collettiva. Anche perchè Fiorentino era solito trascorrere le sue serate a casa della fidanzata, rientrando presso la sua abitazione quando era ora di andarsene a dormire.
Che ci facevano quei due ragazzi seduti su quella panchina, a notte fonda? Aspettavano qualcuno? Gli assassini gli avevano dato appuntamento per tendergli una trappola? Sono stati i killer del clan rivale ad entrare in azione nel fortino dei De Martino o questi ultimi hanno provveduto a mettere la firma su un atto di epurazione interna per siglare la pace con i rivali?
Domande alle quali ha risposto Antonio Pipolo, ex affiliato al clan De Martino, poi diventato collaboratore di giustizia.
In primis, Pipolo chiarisce il contesto in cui è maturato l’omicidio del 29enne: “La tregua che ho trovato al mio rientro a Napoli è durata ben poco, in quanto successivamente si sono verificati contrasti relativi alla spartizione dei proventi delle piazze di spaccio, tra il cartello De Luca Bossa-Minichini-Casella e i de Martino, motivo per il quale c’è stato l’omicidio di Giulio Fiorentino. Io, Palumbo, Ricci, D’Apice e la famiglia De Martino decidemmo di fare una scissione dai Minichini-De Luca Bossa-Casella perchè non arrivavano più i soldi dalle piazze in quanto i soldi li prendevano i Minichini-De Luca Bossa- Casella. Solo con il Conocal non avevamo rancori.”
Particolarmente interessante un altro retroscena rivelato da Pipolo: pochi giorni prima dell’omicidio di Giulio Fiorentino, la pace fu ripristinata in seguito ad un incontro chiarificatore avvenuto a Portici, dove la disputa in atto a Ponticelli fu sottoposta al vaglio dei Mazzarella. In quel frangente, questi ultimi appoggiarono i De Martino per recuperare i soldi, in quanto avevano provveduto loro a fornire la che avevano venduto, i cui proventi erano stati incassati dai clan alleati. La mediazione ei Mazzarella si rese necessaria anche per evitare altre azioni di sangue. L’accordo fu che l’alleanza s’impegnava a versare nelle casse dei De Martino la percentuale che avevano prelevato al posto loro. Seppure Luigi Austero non fosse d’accordo, acconsentì al patto che tuttavia durò pochi giorni, fino all’arresto di Giuseppe Righetto e Nicola Aulisio che avvenne esattamente una settimana dopo l’omicidio di Giulio Fiorentino.
Il collaboratore Pipolo contribuisce a far luce anche sul misterioso ferimento di Righetto, raggiunto da un colpo d’arma da fuoco ad una mano, pochi giorni prima dell’omicidio di Giulio Fiorentino. Un episodio che fu inevitabilmente associato all’assassinio del 29enne, lasciando ipotizzare che si fosse trattato di un botta e risposta, proprio come avvenne in seguito all’agguato indirizzato a Luigi Aulisio al quale i Casella replicarono cercando di uccidere Rosario Rolletta.
Pipolo sbugiarda questa tesi spiegando che fu lo stesso Giuseppe Righetto a raccontargli che si era ferito da solo mentre recuperava una pistola all’interno di un tubo, premendo accidentalmente il grilletto.
Le dichiarazioni rese dall’ex De Martino alla magistratura, di contro, introducono uno scenario che lascia dedurre che l’omicidio di Giulio Fiorentino fosse il prezzo da pagare per ripristinare la pace tra i clan in conflitto. Proprio come accadde all’indomani del tentato agguato a Rolletta. In quel frangente, infatti, i De Martino s’impegnarono ad ucciderlo per mettere fine alle ostilità.
Un’ipotesi rafforzata da un altro dettaglio fornito da Pipolo: “Giovanni Palumbo e Ciro Ricci o subito prima o subito dopo l’omicidio mi dissero che Salvatore De Martino, nel corso di un summit, tenutosi quando ancora c’era la tregua, a cui avevano partecipato esponenti del clan Casella, sottolineò che in ogni caso, lui teneva particolarmente ad Alessio Velotti, il quale non doveva essere toccato in nessun caso, in particolare disse: “toccatemi tutti, tranne Alessio Velotti.“
In effetti, dopo l’omicidio del 29enne, così come ricostruito da Pipolo, vi fu un periodo di tregua che s’interruppe per un motivo ben preciso, dando il via alla “stagione delle bombe” che andò in scena nel mese di maggio dello stesso anno: “Dopo l’omicidio di Fiorentino, vi fu una sorta di tregua tra noi e i De Luca Bossa, tregua che tuttavia si interruppe quando apprendemmo che stavano organizzando un omicidio nei nostri confronti. Luca La Penna fu tratto in arresto nel momento in cui stava portando un’auto rubata nel Lotto 6, nei pressi dell’abitazione di “gettone” che doveva fare da punto d’appoggio per l’azione. Capimmo quindi che stavano organizzando un omicidio nei nostri confronti. Ci fu un’accesa discussione telefonica tra Giovanni Palumbo e Luigi Austero che, per ritorsione, diede fuoco all’auto di Francesco Clienti, suocero di Palumbo ed affiliato al clan De Micco.”