E’ ancora latitante Ivan Ciro D’Apice, il 26enne affiliato al clan De Micco che è riuscito a sottrarsi alla cattura lo scorso 28 novembre. Anche il suo nome figura tra quello degli oltre 60 soggetti arrestati, in quanto addentrati nelle dinamiche malavitose dell’area orientale di Napoli, seppure sia riuscito a rendersi irreperibile.
Le forze dell’ordine lo stanno cercando senza sosta da ormai 10 giorni, consapevoli della pericolosità del giovane membro del gruppo di fuoco dei De Micco.
A fornire alla magistratura le informazioni utili a ricostruire il ruolo ricoperto da D’Apice nell’ambito del contesto camorristico ponticellese è suo cugino Antonio Pipolo, l’ultimo interprete della malavita locale passato dalla parte dello Stato nel cuore dell’estate scorsa, dopo aver messo la firma su un duplice omicidio: quello dell’affiliato al clan De Micco-De Martino Carlo Esposito e di Antimo Imperatore, vittima innocente della criminalità.
“Quando sono tornato al lotto 10 c’erano Giovanni Palumbo e Ciro Ricci come reggenti, con me, Nicola Onori e Ciro Ivan D’Apice. (…) Io, Palumbo, Ricci e D’Apice e la famiglia De Martino decidemmo di fare una scissione dai De Luca Bossa-Minichini-Casella perchè non arrivavano più soldi dalle piazze in quanto li prendevano loro.”
Palumbo e Ricci, dunque, erano i referenti che per conto del detenuto Roberto Boccardi curavano e gestivano gli affari illeciti. Dalla scissione dai De Luca Bossa scaturirono gli agguati e mancati agguati che si alternarono nell’autunno del 2020. In seguito agli arresti di Giuseppe Righetto e di Luigi Austero, rispettivamente reggenti del clan Casella e Minichini-De Luca Bossa, ebbe inizio l’ascesa camorristica delle giovani leve sotto le direttive di Roberto Boccardi: Giovanni Palumbo, Ciro Ricci, Antonio Pipolo, Giuseppe Damiano, Vincenzo Barbato e Ivan Ciro D’Apice.
Attraverso un fitto scambio di messaggi e telefonate, mentre era detenuto, Roberto Boccardi impartiva direttive e strategie e al contempo si sincerava della fedeltà dei suoi gregari. La maggior parte delle comunicazioni avvenivano con suo cugino Giovanni Palumbo, ma in diverse circostanze Boccardi ha comunicato in maniera diretta con D’Apice tramite messaggi. Nell’ambito di quelle conversazioni Boccardi esortava i suoi a non fidarsi di nessuno e a non lasciar mai trapelare i loro pensieri. A riprova del momento concitato, in virtù delle frizioni sorte in particolar modo con Giuseppe Righetto e Luigi Austero. A minare i rapporti tra Boccardi ed Austero anche un retroscena personale in quanto Boccardi in passato aveva intrattenuto una relazione sentimentale con Martina Minichini, attuale compagna di Austero, anche lei arrestata trasferita in carcere lo scorso 28 novembre.
Il fitto scambio di telefonate tra “il capo” Boccardi e i suoi gregari concorre a ricostruire una serie di episodi, tra i quali quello che vede i due cugini, Pipolo e D’Apice, messi alla prova da Ciro Ricci che gli ordinò una “commissione” facendogli guadagnare 100 euro ciascuno. A Natale del 2020, “i ragazzi di Boccardi” stapparono una bottiglia di champagne, brindando all’immediata scarcerazione del capo/mentore detenuto. Un rituale largamente in uso negli ambienti malavitosi, voluto sia per ostentare “lo stato di salute” dell’organizzazione sia per rinsaldare l’affiliazione attraverso un atto di fedeltà plateale indirizzato al leader in carcere.
In verità, Boccardi si dimostra assai abile ad irretire i giovani chiamati a curare i suoi interessi mentre si trova in carcere, annunciando la volontà di “lasciare che siano loro a fare la malavita”, ovvero, inculca nei suoi fedelissimi la convinzione che, una volta scarcerato, lascerà ai Minichini-De Luca Bossa-Casella la gestione delle spicciole attività illecite per privilegiare i business più proliferi, principalmente le estorsioni. Non è difficile capire perchè in questo clima “i ragazzi di Boccardi” abbiano difeso e curato i suoi interessi, preservandoli dagli attacchi dei clan alleati.
Di contro, quando D’Apice entra in contrasto con i De Martino, i quali si recarono perfino fuori la porta di casa per indirizzargli delle minacce, Boccardi si guarda bene dall’intervenire per sedare la disputa e chiede espressamente al cugino Giovanni Palumbo di non intromettersi, affinchè D’Apice potesse risolvere la situazione da solo. Particolarmente significativo in tale ottica, l’incontro avvenuto all’interno del bar Royal con Michele Cirella detto “Michelone”, affiliato al clan De Martino. Tutti i ragazzi del gruppo capeggiato da Boccardi, compreso D’Apice, salutano Cirella con un bacio a stampo: un gesto che non solo sancisce la fine delle ostilità, ma che sottolinea anche una stretta affiliazione.
Il curriculum fitto di precedenti penali, le dichiarazioni rese da suo cugino Antonio Pipolo, nonchè il ruolo ricoperto all’interno dell’organizzazione, unitamente alla disponibilità di armi, concorrono a delineare il profilo criminale di Ivan Ciro D’Apice, tuttora latitante insieme ad Antonio Morino.