In un anno sono 50 le aggressioni fisiche ai danni del personale sanitario nella sola città e provincia di Napoli, episodi che si susseguono con drammatica frequenza e che spesso hanno origine dalle difficoltà relazionali tra medico e paziente. «Ritmi di lavoro sempre più stressanti e lungaggini burocratiche, a volte anche la scarsa formazione dei medici agli aspetti relazionali – dice il presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli Bruno Zuccarelli – hanno impoverito notevolmente la dimensione umana dell’arte medica, rendendo il rapporto con il paziente sempre più distaccato e frettoloso. Il malessere di questa relazione si riflette anche nella crescente conflittualità tra i medici e i loro pazienti, come evidenziato dall’aumento vertiginoso dei contenziosi e purtroppo anche delle aggressioni. Una migliore comunicazione può ridurre queste situazioni, ma contro gli atteggiamenti camorristici serve presenza delle istituzioni e lo status di pubblico ufficiale».
Proprio per sostenere i camici bianchi nel difficile compito di relazionarsi con chi ha bisogno di cure, all’Ordine dei Medici di Napoli si è tenuto un importante confronto sui vari aspetti della comunicazione medico-paziente. Un rapporto che può essere molto importante anche per gli esiti della cura, come ormai da tempo confermano le evidenze cliniche. La capacità del medico di comunicare efficacemente e di creare una buona relazione è un elemento fondamentale del processo di cura, poiché influenza la prognosi sia indirettamente, attraverso l’osservanza delle prescrizioni, sia direttamente. Ancora poco, invece, sono conosciuti gli aspetti della diffusione delle notizie mediche attraverso i mezzi di comunicazione e i nuovissimi social-media. «Questo è un campo nel quale non ci si può improvvisare – ha detto – è essenziale che i colleghi che si occupano di sanità siano opportunamente formati e che abbiano gli strumenti conoscitivi per adempiere ad un compito così delicato. Direi che una grande responsabilità ricade anche sui direttori nell’assegnazione dei servizi», dice Ottavio Lucarelli (Presidente dell’Ordine dei Giornalisti).
Ovviamente, la violenza ai danni dei medici è un fenomeno legato ad una molteplicità di casi, ma di certo c’è ancora molto da fare sulla comunicazione medico come mette in luce il segretario regionale di Cittadinanzattiva Lorenzo Latella. Un rapporto nel quale esiste ci sono ancora molti ostacoli da superare, «legati allo stile di comunicazione dei medici e alla concomitante incapacità da parte di alcuni pazienti nel recepire le indicazioni indispensabili ad una piena attuazione del percorso».
La comunicazione tra medico e paziente necessita di una preparazione specifica da parte di entrambi. In prima istanza il clinico dovrebbe indagare il livello socio-culturale del paziente al fine di adottare uno stile di comunicazione idoneo alle sue capacità e tale da poter permettere al secondo di comprendere quale sia il ruolo individuale nel percorso di cura. Lo stesso vale per la comunicazione con i caregiver, spesso persone di famiglia o badanti che, nonostante il ruolo di accompagnamento alla cura, potrebbero non avere le giuste competenze culturali per svolgere il ruolo che ricoprono. «Il grande problema da affrontare è che bisogna fare i conti con i ritmi imposti da un’organizzazione sanitaria che sia costruita sulla finalità del risparmio esclusivamente economico e quindi sulla sommarizzazione delle cure e sulla loro trasformazione in criteri puramente oggettivi di terapia», dice Antonio Palma, presidente dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. «Tutto questo non tiene conto dei bisogni delle persone, che sono diversi da individuo a individuo così come i bisogni terapeutici sono diversi da una persona all’altra. Il grande tema della comunicazione è sganciare questo tipo di interlocuzione umana, dalla posizione di potere, che il medico per sua tecnica oggettivamente assume nei confronti dell’ammalato, il quale così è reificato ma invece è una persona con i suoi bisogni». Determinante è anche la capacità dei pediatri di comunicare da parte dei pediatri, che devono affrontare il delicatissimo compito di prendersi cura della salute dei bambini. «Il nostro impegno è massimo – ricorda il presidente nazionale della Fimp Antonio D’Avino – siamo infatti ben consapevoli delle grandi difficoltà, anche emotive, che spesso interferiscono nel rapporto medico – paziente, e nel nostro caso medico – genitori. Tutti noi pediatri sentiamo forte la responsabilità di essere i primi a dare inizio alla costruzione di quel rapporto di fiducia che sarà determinante nel corso di una vita». All’incontro di stamane hanno preso parte, tra gli altri, il professor Gianfranco Tajana (ordinario di Istologia dell’Università di Napoli), Daniela Lucangeli (ordinario di Psicologia alla Facoltà di Scienze dell’Università di Padova) e Sarantis Thanopulo (Presidente della Società Italiana di Psicoanalitica).».
In un anno sono 50 le aggressioni fisiche ai danni del personale sanitario nella sola città e provincia di Napoli, episodi che si susseguono con drammatica frequenza e che spesso hanno origine dalle difficoltà relazionali tra medico e paziente. «Ritmi di lavoro sempre più stressanti e lungaggini burocratiche, a volte anche la scarsa formazione dei medici agli aspetti relazionali – dice il presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli Bruno Zuccarelli – hanno impoverito notevolmente la dimensione umana dell’arte medica, rendendo il rapporto con il paziente sempre più distaccato e frettoloso. Il malessere di questa relazione si riflette anche nella crescente conflittualità tra i medici e i loro pazienti, come evidenziato dall’aumento vertiginoso dei contenziosi e purtroppo anche delle aggressioni. Una migliore comunicazione può ridurre queste situazioni, ma contro gli atteggiamenti camorristici serve presenza delle istituzioni e lo status di pubblico ufficiale».
Proprio per sostenere i camici bianchi nel difficile compito di relazionarsi con chi ha bisogno di cure, all’Ordine dei Medici di Napoli si è tenuto oggi un importante confronto sui vari aspetti della comunicazione medico-paziente. Un rapporto che può essere molto importante anche per gli esiti della cura, come ormai da tempo confermano le evidenze cliniche. La capacità del medico di comunicare efficacemente e di creare una buona relazione è un elemento fondamentale del processo di cura, poiché influenza la prognosi sia indirettamente, attraverso l’osservanza delle prescrizioni, sia direttamente. Ancora poco, invece, sono conosciuti gli aspetti della diffusione delle notizie mediche attraverso i mezzi di comunicazione e i nuovissimi social-media. «Questo è un campo nel quale non ci si può improvvisare – ha detto – è essenziale che i colleghi che si occupano di sanità siano opportunamente formati e che abbiano gli strumenti conoscitivi per adempiere ad un compito così delicato. Direi che una grande responsabilità ricade anche sui direttori nell’assegnazione dei servizi», dice Ottavio Lucarelli (Presidente dell’Ordine dei Giornalisti).
Ovviamente, la violenza ai danni dei medici è un fenomeno legato ad una molteplicità di casi, ma di certo c’è ancora molto da fare sulla comunicazione medico come mette in luce il segretario regionale di Cittadinanzattiva Lorenzo Latella. Un rapporto nel quale esiste ci sono ancora molti ostacoli da superare, «legati allo stile di comunicazione dei medici e alla concomitante incapacità da parte di alcuni pazienti nel recepire le indicazioni indispensabili ad una piena attuazione del percorso».
La comunicazione tra medico e paziente necessita di una preparazione specifica da parte di entrambi. In prima istanza il clinico dovrebbe indagare il livello socio-culturale del paziente al fine di adottare uno stile di comunicazione idoneo alle sue capacità e tale da poter permettere al secondo di comprendere quale sia il ruolo individuale nel percorso di cura. Lo stesso vale per la comunicazione con i caregiver, spesso persone di famiglia o badanti che, nonostante il ruolo di accompagnamento alla cura, potrebbero non avere le giuste competenze culturali per svolgere il ruolo che ricoprono. «Il grande problema da affrontare è che bisogna fare i conti con i ritmi imposti da un’organizzazione sanitaria che sia costruita sulla finalità del risparmio esclusivamente economico e quindi sulla sommarizzazione delle cure e sulla loro trasformazione in criteri puramente oggettivi di terapia», dice Antonio Palma, presidente dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. «Tutto questo non tiene conto dei bisogni delle persone, che sono diversi da individuo a individuo così come i bisogni terapeutici sono diversi da una persona all’altra. Il grande tema della comunicazione è sganciare questo tipo di interlocuzione umana, dalla posizione di potere, che il medico per sua tecnica oggettivamente assume nei confronti dell’ammalato, il quale così è reificato ma invece è una persona con i suoi bisogni». Determinante è anche la capacità dei pediatri di comunicare da parte dei pediatri, che devono affrontare il delicatissimo compito di prendersi cura della salute dei bambini. «Il nostro impegno è massimo – ricorda il presidente nazionale della Fimp Antonio D’Avino – siamo infatti ben consapevoli delle grandi difficoltà, anche emotive, che spesso interferiscono nel rapporto medico – paziente, e nel nostro caso medico – genitori. Tutti noi pediatri sentiamo forte la responsabilità di essere i primi a dare inizio alla costruzione di quel rapporto di fiducia che sarà determinante nel corso di una vita». All’incontro di stamane hanno preso parte, tra gli altri, il professor Gianfranco Tajana (ordinario di Istologia dell’Università di Napoli), Daniela Lucangeli (ordinario di Psicologia alla Facoltà di Scienze dell’Università di Padova) e Sarantis Thanopulo (Presidente della Società Italiana di Psicoanalitica).