All’indomani della “stesa” nei pressi dell’abitazione di diversi elementi di spicco del clan De Micco, un inaspettato colpo di scena concorre ad accrescere il clima di tensione che già da diversi mesi aleggia su Ponticelli, quartiere dell’ala orientale di Napoli teatro di una faida di camorra.
Ad animare le ostilità due famiglie, due clan, storicamente ostili: i De Luca Bossa su un fronte, i De Micco sull’altro.
Se all’indomani degli arresti che nell’ottobre del 2020 avevano concorso ad indebolire il clan De Luca Bossa, i De Micco-De Martino avevano progressivamente iniziato a recuperare terreno per poi affermare definitivamente la propria egemonia, soprattutto in seguito alla scarcerazione eccellente del boss Marco De Micco, lo scenario che si sta delineando di recente, invece, concorre a tracciare un quadro ben diverso.
In seguito al blitz che lo scorso aprile ha tradotto in carcere Marco De Micco e altre figure di spicco del clan, contestualmente alla scarcerazione di Christian Marfella, fratellastro di Antonio de Luca Bossa, la cosca del Lotto O ha iniziato a rialzare la testa. Un’altra scarcerazione eccellente ha concorso a ringalluzzire le velleità del clan fondato da Tonino ‘o sicco: quella di Giuseppe De Luca Bossa, fratello di quest’ultimo. Arrestato insieme a suo nipote Umberto e ad altre figure apicali del clan, Peppino, accusato di estorsioni e minacce aggravate dal metodo mafioso, avrebbe beneficiato di uno sconto di pena.
Una carriera camorristica travagliata e controversa, quella di Peppino De Luca Bossa.
Negli anni di magra del clan fondato da Tonino ‘o sicco, scaturiti dal pentimento delle figure apicali del clan Sarno, suo fratello Peppino ha infatti deciso di allontanarsi da Ponticelli, trasferendosi nel casertano. Quando il clan di famiglia, dopo anni trascorsi alla mercé di sodalizi camorristici più forti ed autorevoli, hanno imbastito l’alleanza con le altre famiglie d’onore di Napoli est, fu chiamato a tornare nel quartiere della periferia orientale di Napoli, in quanto unico membro della famiglia De Luca Bossa rimasto a piede libero, per ricoprire il ruolo di reggente dell’omonimo clan. In seguito alla scarcerazione di Umberto, il primogenito di Antonio De Luca Bossa, lo zio Peppino ha dominato la scena camorristica locale operando in simbiosi con il nipote. Tant’è vero che le manette sono scattate per entrambi nell’ambito del medesimo blitz, nell’ottobre del 2020.
Giuseppe De Luca Bossa torna a Ponticelli con una vistosa fascia di lutto avvolta intorno al cuore e con una morte pesante da vendicare. Dettaglio tutt’altro che trascurabile che concorre ad imbruttire i toni di per sè già accesi e concitati della faida in corso.
Il 7 ottobre del 2021, il figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, il 23enne Carmine D’Onofrio, ha pagato con la vita pochi mesi di affiliazione al clan di famiglia. Un’affiliazione maturata contro il volere del padre, in seguito al suo arresto, in quanto Peppino avrebbe cercato di tenere lontano dalle brutture della camorra quel figlio che ha conosciuto quando era già maggiorenne, in quanto frutto di una relazione avuta in gioventù, tant’è vero che la madre del giovane diede al suo primogenito il cognome di suo marito. Poche, pochissime persone conoscevano la vera identità del padre di Carmine. Un segreto custodito per decenni e che ha determinato le sorti di quel giovane cresciuto lontano dalle dinamiche malavitose e coltivando il sogno di diventare attore frequentando una compagnia teatrale amatoriale, messa su da un gruppo di volontari in una parrocchia di Ponticelli.
La scoperta che ha portato quel giovane a maturare la consapevolezza di appartenere ad una delle famiglie camorristiche più longeve del quartiere in cui è nato e cresciuto lo ha profondamente turbato e cambiato, fino ad indurlo a ricoprire il ruolo di factotum del clan De Luca Bossa, sotto le direttive del cugino Emmauel, secondogenito di Tonino ‘o sicco, successivamente all’arresto di Peppino.
Quando Emmanuel era detenuto agli arresti domiciliari si serviva di suo cugino Carmine per sbrigare tutte le faccende: da quelle di carattere familiare a quelle finalizzate a consegnare “imbasciate” e non solo. Carmine D’Onofrio avrebbe pagato con la vita il raid indirizzato a Marco De Micco la sera del 29 settembre scorso, quando un ordigno artigianale esplose nel cortile dell’abitazione del boss. Ignaro di essere intercettato è lo stesso Carmine a raccontare ad un’amica le sue gesta, spiegandole che oltre alla bomba, avrebbe lanciato nel cortile di casa De Micco un biglietto sul quale c’era scritto: “Siete le palle dei De Luca Bossa”.
La replica del boss di Ponticelli non è tardata ad arrivare, tant’è vero che il 23enne è stato ucciso pochi giorni dopo, nei pressi dell’abitazione della madre, mentre rincasava in compagnia della fidanzata, incinta e in procinto di partorire, costretta ad assistere all’assassinio dell’amore della sua vita.
Il boss Marco De Micco è in carcere dallo scorso aprile, insieme agli altri affiliati al clan accusati, a vario titolo, di aver partecipato alla pianificazione e all’esecuzione dell’omicidio di Carmine D’Onofrio, ma questo, nel gergo camorristico, non equivale a ripristinare quel senso di giustizia che gli uomini d’onore mirano ad agguantare con le loro mani al cospetto di una ferita insanabile.