Quattro giovanissimi, quattro storie, quattro vite.
Quattro vite contaminate da quel tumore sociale che si chiama “camorra”.
Questa “la storia nella storia” insita nei nomi dei responsabili del mancato agguato compiuto lo scorso 2 luglio in viale Margherita a Ponticelli e che per una fortuita casualità non si è tradotto in una strage di innocenti. Proprio come accadde in un passato non troppo lontano, quando i sicari del clan Sarno fecero irruzione nel bar Sayonara per colpire i rivali del clan Andreotti, uccidendo quattro persone estranee alle dinamiche camorristiche. Anche quel giorno era sabato. Proprio come nel tardo pomeriggio dello scorso 2 luglio, quando un commando composto da due scooter, a bordo dei quali viaggiavano quattro giovanissimi, ha esploso una raffica di proiettili lungo viale Margherita, una delle strade principali del quartiere Ponticelli. Doveva essere un agguato indirizzato a uno o più “obiettivi sensibili” del clan rivale. La mattanza, infatti, ha avuto inizio nei pressi del “Bar Super”, luogo di ritrovo abituale delle giovani reclute del clan De Martino. Almeno fino a quel giorno.
I due giovani armati di mitragliette hanno seguitato a sparare per circa 60 metri, verosimilmente cercando di colpire i rivali che avevano trovato riparo proprio tra le auto in sosta e che sono state danneggiate dai proiettili esplosi. Un’azione di fuoco compiuta in pieno giorno, alla luce del sole, a volto scoperto e tra decine e decine di persone, estranee alle dinamiche camorristiche che fuggivano terrorizzate ed incredule.
Un’azione camorristica che ha ufficializzato l’avvio dell’ennesima faida per il controllo dei traffici illeciti a Ponticelli e che è stata ricostruita in tempi record dagli inquirenti, grazie ai filmati estrapolati dalle videocamere dei sistemi di videosorveglianza delle attività commerciali presenti lungo la strada battuta dal commando. Come già detto, i quattro hanno agito a volto scoperto e con i tatuaggi in bella mostra. Agli inquirenti è bastato comparare le foto estrapolate dai profili social dei quattro ed equipararle con i frames dei video. Alcuni membri del gruppo di fuoco, hanno pubblicato sui social alcune foto in cui indossavano finanche gli stessi abiti del giorno del raid.
Così, all’alba di mercoledì 20 luglio, sono scattate le manette per tre dei quattro giovanissimi autori dell’azione di fuoco. Uno ha vent’anni, gli altri due 23. Il quarto, P.P., minorenne, si è reso irreperibile.
Giuseppe Damiano e Vincenzo Barbato, rispettivamente di 20 e 23 anni, originari del comune di Volla, sono due giovani già ben addentrati nelle dinamiche del clan De Luca Bossa. Tant’è vero che a settembre del 2021 furono arrestati, insieme a Giuseppe Veneruso e ad altri fedelissimi del clan del Lotto O, rei di non essersi fermati all’alt imposto dalla Polizia di Stato puntando una mitraglietta contro gli stessi agenti. Anche in quella occasione il minorenne era parte integrante del gruppo, ma anche in quell’occasione riuscì a fuggire. Un episodio per il quale il solo Veneruso è stato condannato, mentre Barbato e Damiano, una volta tornati in libertà sono immediatamente tornati a dare man forte al clan De Luca Bossa.
A completare il quartetto è Emmanuel De Luca Bossa, il figlio minore di Tonino ‘o sicco, che ha terminato di scontare gli arresti domiciliari lo scorso 18 giugno. Il ruolo apicale ricoperto dall’unico rampollo di casa De Luca Bossa a piede libero era stato già sottolineato nell’ambito dell’operazione che ha fatto scattare le manette per il boss Marco De Micco e gli altri affiliati all’omonimo clan rei di aver partecipato, a vario titolo, all’omicidio di Carmine D’Onofrio, il figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, quindi cugino di Emmanuel.
Giuseppe Damiano era alla guida di uno dei due scooter, intestato alla madre. Ad incastrarlo, anche altre immagini che il giorno seguente lo ritraggono alla guida dello stesso veicolo a due ruote, ma anche i vistosi tatuaggi sull’avambraccio e braccio destro e sull’avambraccio sinistro, oltre al borsello nero che usava abitualmente, dotato di una striscia centrale rossa, che spicca in bella mostra anche nelle immagini dei sistemi di sorveglianza che hanno immortalato il commando entrato in azione lo scorso 2 luglio. Il passeggero a bordo dello scooter guidato da Damiano è il minorenne, tuttora ricercato. Un giovanissimo che a fronte della sua tenera età gode di una temibile fama.
Il 23enne Vincenzo Barbato, invece, è alla guida dell’altro ciclomotore, risultato di proprietà del fratello. Anche in questo caso, il vistoso tatuaggio sull’avambraccio destro, comparato con le foto presenti sul profilo social di Barbato, hanno agevolato il riconoscimento. A bordo della moto guidata da Barbato, è seduto Emmanuel De Luca Bossa, anche lui sbugiardato dai tatuaggi sul braccio ed avambraccio destro. Inoltre, De Luca Bossa junior, ha pubblicato sui social network delle foto in cui indossa la medesima camicia del giorno del raid.
Un’azione dimostrativa volta a lanciare il guanto di sfida agli acerrimi rivali del clan De Micco e che invece ha fatto scattare le manette per alcune pedine cruciali dello scacchiere dei De Luca Bossa in tempi record.
All’indomani del blitz che ha decretato l’arresto del boss Marco De Micco, nel Lotto O, fortino del clan De Luca Bossa, si sono registrate sporadiche, ma incisive incursioni armate da parte dei reduci del clan De Micco, finalizzate a mantenere relegati nel loro rione i De Luca Bossa, intimandogli in maniera eloquente di guardarsi bene dall’approfittare del momento di oggettiva difficoltà attraversato dalla cosca egemone, proprio contestualmente all’arresto del proprio leader. Se in un primo momento i De Luca Bossa hanno subito in silenzio la furia dei rivali, lo scenario è mutato repentinamente proprio grazie ad una serie di scarcerazioni eccellenti. Al ritorno in libertà di Barbato e Damiano, ha fatto seguito quello di De Luca Bossa junior che ha per l’appunto terminato di scontare i domiciliari a metà giugno. L’evento cruciale si è tuttavia configurato quando lo scorso 27 giugno sono stati concessi i domiciliari a Christian Marfella, fratellastro di Tonino ‘o sicco, in quanto figlio della donna-boss Teresa De Luca Bossa e del boss di Pianura Giuseppe Marfella.
Galvanizzati da questo vortice di eventi che hanno concorso a consolidare il clan, i De Luca Bossa hanno lanciato un sonoro guanto di sfida ai rivali, mettendo la firma su un’azione eclatante, come quella andata in scena lo scorso 2 luglio, lungo una delle strade più popolari del quartiere.
A riprova dell’escalation di violenza che si percepisce tra le due compagini, la replica dei De Micco non è tardata ad arrivare: dapprima con un post-sfottò su TikTok e poi con ben 18 colpi d’arma da fuoco, esplosi all’incirca 24 ore dopo, in via Cleopatra, nei pressi dell’Eurobet frequentato dagli affiliati al clan De Luca Bossa, nel Rione Lotto O. In quella circostanza, rimase ferito alla scapola destra il giovane Francesco Sorrentino.
Seppure rimaneggiati dai fermi che hanno temporaneamente privato il clan di tre pedine fondamentali, i De Luca Bossa sembrano tutt’altro che intenzionati ad accantonare l’ascia di guerra.