Il 28 aprile scorso i Carabinieri del Comando Provinciale di Napoli, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, hanno inferto un duro colpo al clan “Sibillo”, eseguendo 21 misure cautelari nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti vicini al gruppo criminale operante nel centro storico partenopeo.
Lo stesso giorno la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli emise un decreto di sequestro e contestuale rimozione di un altarino edificato nella corte condominiale di Vico Santissimi Filippo e Giacomo 26, luogo in cui dimorava Emanuele Sibillo e dove tuttora vivono alcuni suoi familiari. Nell’edicola votiva fu rinvenuto anche un busto in gesso con le sembianze del giovane “Es17”, ucciso in un agguato nel luglio del 2015.
Emanuele Sibillo fu il fondatore del clan che porta il suo cognome e che seminò il panico tra i vicoli del centro storico di Napoli nell’estate del 2015. Il clan capeggiato da Sibillo venne ribattezzato dai media “la paranza dei bambini” per sottolineare la giovane età degli affiliati.
L’edicola votiva in cui venivano custodite le ceneri e il mezzo busto di Emanuele Sibillo divennero un vero e proprio simbolo, nonchè meta di “pellegrinaggio” per affiliati al clan ma anche per giovanissimi estranei alle logiche criminali, affascinati da un’immagine che, per quanto deviante, ha assunto col tempo carisma e popolarità crescenti.
E proprio in quest’ottica che le istituzioni stanno smuovendo le coscienze della popolazione, promuovendo una campagna votata alla distruzione di questi altarini, simboli che spesso mitizzano e celebrano la parte malata della città.
Questa mattina, presso gli uffici della Procura della Repubblica di Napoli, il Procuratore Capo Dott. Giovanni Melillo, insieme al Comandante Provinciale dei Carabinieri di Napoli Gen. Enrico Scandone, ha consegnato il busto di Emanuele Sibillo al Consigliere Riccardo Turrini Vita, Direttore Generale della Formazione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Sarà esposta in una delle sale del Museo Criminologico di Roma insieme a tanti altri strumenti e reperti legati al mondo della criminalità italiana.
“Un percorso” – si legge sul sito del polo museale – “che offre spunti di riflessione per chi voglia approfondire temi che riguardano ambiti meno noti della nostra storia”. Un modo per “fornire alle nuove generazioni gli strumenti interpretativi di una realtà in gran parte sconosciuta”.
