Sono ancora tanti i dubbi che aleggiano intorno all’ultimo omicidio andato in scena a Ponticelli.
Carmine D’Onofrio, figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, fratello del sanguinario killer ergastolano Tonino ‘o Sicco, incensurato e apparentemente avulso dalle dinamiche malavitose, sarebbe finito nel mirino die rivali del clan De Micco per assecondare le logiche dell’imminente replica, in seguito al raid subito lo scorso 28 settembre, quando è stato fatto esplodere un ordigno artigianale in via Luigi Piscettaro, quartier generale del clan De Micco.
Dalle indagini volte a far luce sulla morte del 23enne, emergono diversi retroscena.
In primis, nel mirino dei sicari del clan De Micco, all’indomani del raid subito, sarebbe finito il rampollo di un’altra famiglia camorristica di Ponticelli che aveva contestato l’egemonia del sodalizio fondato da Marco De Micco, con il supporto dei fratelli Salvatore e Luigi, all’indomani del declino del clan Sarno.
Un’egemonia conquistata a suon di omicidi eclatanti e durata fino a quando, nel novembre del 2017, un blitz ha concorso a decapitare la cosca dei “Bodo” – questo il soprannome degli affiliati al clan – privandola di 23 figure cardine.
Il sodalizio camorristico costituito dalle famiglie d’onore di Napoli est messe all’angolo proprio dai De Micco, i Minichini-De Luca Bossa, le pazzignane del Rione De Gasperi, forti dell’appoggio degli Aprea di Barra e dei Rinaldi di San Giovanni a Teduccio, non tardò ad approfittare della circostanza propizia per impadronirsi del quartiere. Poche ore dopo il blitz, infatti, le “pazzignane” capeggiate da Luisa De Stefano, si recarono nel garage del padre dei De Micco – che si trova proprio nelle adiacenze della zona in cui è stata fatta esplodere la bomba lo scorso 28 settembre e che funge da “reception” del clan – per palesare la volontà di disconoscere, da quel momento, l’egemonia del clan e pertanto da quel momento avrebbero smesso di pagare il pizzo sulle piazze di droga da loro gestite.
Da quell’atto di ribellione scaturì una sanguinaria guerra di camorra che portò alla facile consacrazione dei clan alleati. Un affronto che una mente cinica e sanguinaria come quella di Marco De Micco, tornato in libertà dallo scorso marzo, difficilmente potrà dimenticare.
Il passato che s’intreccia con il presente nella fragorosa esplosione di una bomba, nel cuore del quartier generale del clan: l’ennesimo atto di irriverenza al quale De Micco doveva replicare rapidamente e mettendo la firma su un’azione eclatante, per non venir meno alle regole imposte dal codice d’onore della malavita. Non poteva rischiare di perdere credibilità, non solo agli occhi dei rivali, ma soprattutto al cospetto dei clan appollaiati a ridosso di Ponticelli e che guardano con interesse al susseguirsi delle dinamiche dell’ennesima guerra di camorra, dagli esiti tutt’altro che scontati.
Se è vero che sulla bomba esplosa in via Luigi Piscettaro c’è la granitica firma dei De Luca Bossa, è altrettanto vero che la cosca del Lotto O, indebolita dagli arresti e ormai alla stregua delle forze, difficilmente avrebbe tentato il tutto per tutto senza l’appoggio di un clan autorevole.
I De Luca Bossa possono contare ancora sull’appoggio degli Aprea?
C’è ancora la regia dell’Alleanza di Secondigliano a dettare le direttive agli eredi del clan fondato da Tonino ‘o sicco? Seppure rimaneggiati e sull’orlo del tracollo, i De Luca Bossa possono essere riusciti ad intrecciare nuove alleanze per tentare di scalzare l’egemonia dei De Micco e preservare il controllo degli affari illeciti a Ponticelli?
Per comprendere appieno cosa sta accadendo a Ponticelli in questo momento storico, questi quesiti devono necessariamente trovare una risposta.
L’unico dato certo è l’ordine impartito da Marco De Micco, all’indomani dell’esplosione di quell’ordigno nella sua zona: replicare immediatamente, “lasciando un morto a terra”.
Dalle prime indiscrezioni emerse, trapela che la vittima designata fosse il giovane figlio di un boss, attualmente detenuto ed appartenente proprio ad una delle famiglie alleate che aveva concorso a scalzare i De Micco nel 2018.
Tuttavia, i giovani rampolli delle famiglie in odore di camorra contigui alla malavita, da tempi non sospetti, adottano uno stile di vita prudente, evitando di esporsi al pericolo di un agguato.
Proprio perchè impossibilitati a stanare la vittima prescelta, i De Micco avrebbero ripiegato su un bersaglio più facile, ma non per questo meno eclatante.
Paradossalmente, il colpo inflitto alle cosche alleate uccidendo un giovane incensurato è stato molto più sonoro, perchè inaspettato.
Non temeva di essere in pericolo, Carmine D’Onofrio, il giovane figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa. Non aveva mutato di una virgola le sue abitudini, continuava a vivere in quella casa umile e modesta, in via Luigi Crisconio e ad arrangiarsi con lavori saltuari. Andava in giro disarmato e senza protezione.
Una preda tanto facile quanto appetibile per i sicari del clan dei “Bodo” che in pochissimi giorni sono riusciti a mettere a segno un agguato, senza sbavature nè imprevisti.
La vittima era appena uscita dall’abitacolo della sua auto, in compagnia della sua fidanzata che tra un mese darà alla luce un bambino, quando è stato avvicinato da un solo killer che ha esploso sette colpi di calibro 45 a distanza ravvicinata, tutti andati a segno.
Il primo colpo al volto, cinque al corpo, di cui almeno due al petto. Quando il 23enne era ormai al suolo, infine, il colpo di grazia: un colpo alla testa.
Dopo l’agguato, il killer solitario può essere fuggito con il suv ritrovato nelle ore successive all’agguato in una zona isolata del quartiere e risultato rubato.
Può aver aspettato la vittima nascosto tra i pilastri delle palazzine adiacenti all’abitazione di Carmine D’Onofrio o potrebbe aver trovato appoggio e rifugio in una delle case vicine. Non è un segreto che nella zona di San Rocco, un tempo sotto il dominio dei De Micco, la cosca conti la presenza di numerosi affiliati, parenti di affiliati ed amici.
Senza tralasciare il fatto che, con i tempi che corrono, nessuno negherebbe “un favore” ai De Micco.
Resta da chiarire da dove sia partita “la filata”, ovvero la soffiata che ha segnalato al sicario l’imminente arrivo della vittima.
A far luce su quest’aspetto saranno le dichiarazioni rese dalla fidanzata di D’Onofrio. Fondamentale per il buon esito delle indagini, la ricostruzione degli spostamenti dei due giovani nelle ultime ore di vita del 23enne figlio di Giuseppe De Luca Bossa. I due potrebbero essere stati seguiti o traditi da qualcuno che hanno incontrato e che può aver fornito preziose informazioni al killer.
L’unico dato certo è che Carmine ha pagato con la vita quel legame di sangue rinsaldato pochi anni fa. Giuseppe De Luca Bossa, infatti, negli anni di magra del clan, si era allontanato da Napoli ed era tornato a Ponticelli nel 2018, contestualmente alla nuova ascesa del clan fondato da suo fratello Antonio e del quale è stato il reggente per circa un anno. Fino a quando, nel settembre del 2019, è stato scarcerato Umberto De Luca Bossa, primogenito di Tonino ‘o sicco che ha rivendicato il posto da capoclan che gli spettava di diritto. Proprio con il supporto di suo zio Giuseppe, ha messo la firma su una serie di efferate estorsioni, praticate sequestrando i familiari degli imprenditori taglieggiati ed intimandogli di pagare mostrandogli i loro cari in videochiamata, sotto la minaccia di una pistola.
Motivo per il quale, ad ottobre del 2020, sono scattate le manette per zio e nipote, oltre che per altre 3 figure di spicco del clan De Luca Bossa.
Quindi, Carmine aveva avuto modo di rinsaldare i rapporti con il padre naturale solo di recente e per poco tempo. Il giovane, inoltre, era tornato a Napoli da qualche tempo, dopo un periodo di permanenza all’estero.
Le immagini che li ritraggono sul profilo social del 23enne assassinato, raccontano attimi di vita normale vissuti e condivisi tra padre e figlio. Uno scenario ben distante dalla livorosa logica malavitosa che ha sopraffatto la vita del giovane, in procinto di diventare padre, a sua volta.