La maggior parte degli abitanti del quartiere napoletano di Ponticelli ignorava quel vincolo di parentela e sono rimasti increduli ed attoniti nell’apprendere la notizia della morte del giovane Carmine D’Onofrio, il 23enne giustiziato come un boss dai sicari della camorra, in via Luigi Crisconio, nei pressi della sua abitazione, lui che un boss non lo era affatto, ma che ha pagato con la vita il conto salatissimo che la malavita presenta ai figli dei boss. Carmine D’Onofrio era il figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, il fratello del boss ergastolano Tonino ‘o sicco, arrestato un anno fa insieme alle altre figure-simbolo del clan che aveva contribuito a rifondare, in seguito al declino dei De Micco, maturato contestualmente al blitz che a novembre del 2017 aveva fatto scattare le manette per gli elementi di spicco del clan, indebolendolo notevolmente e creando una circostanza che ha favorito la naturale ascesa del sodalizio camorristico costituito dalle famiglie d’onore in rovina e messe alla berlina proprio dai De Micco, tra le quali primeggiavano soprattutto i De Luca Bossa.
Vicende, dinamiche, fatti di sangue nei quali Carmine non è mai stato invischiato, seppure tra lui e il suo padre naturale intercorressero buoni rapporti. Si vedevano, si frequentavano. Giuseppe De Luca Bossa era fiero ed orgoglioso di quel figlio, lo presentava a tutti come tale e non ha mai tenuto nascosto che nelle vene di quel ragazzone dagli occhi verdi scorresse il suo stesso sangue.
Un vincolo di parentela che quel giovane non ha mai sfruttato a suo vantaggio, neanche quando avrebbe potuto, soprattutto durante i diverbi con i suoi coetanei, per zittirli ed imporgli rispetto. Carmine aveva tutt’altra visione della vita e del mondo. Praticava la vita di un ragazzo normale, coccolato da due genitori che lo hanno cresciuto ed educato nel rispetto delle regole imposte dalla società civile, tenendolo lontano dalla strada.
Un ragazzo come tanti che provava affetto per il suo padre biologico, ma che non si era lasciato soggiogare dalla tempra della sua figura criminale.
Appassionato di teatro, Carmine frequentava la compagnia teatrale della sua parrocchia.
Cullava il sogno di una vita normale, Carmine, ancor più alla vigilia della nascita di suo figlio che vedrà la luce tra un mese, senza conoscere mai suo padre, perchè i killer del clan De Micco hanno stabilito che la sua morte fosse necessaria per ripristinare gli equilibri e zittire definitivamente i De Luca Bossa.
Lo hanno aspettato per tutta la sera, un dettaglio che conferma che i sicari sono entrati in azione con il chiaro intento di uccidere proprio il 23enne, pur consapevoli che si trattasse di un giovane estraneo alle dinamiche malavitose. Un delitto che matura contestualmente alla notizia dell’assoluzione di Salvatore De Micco e Gennaro Volpicelli in relazione all’omicidio di Gennaro Castaldi – reale obiettivo dell’agguato – e Antonio Minichini, cugino di Carmine, in quanto figlio di Anna De Luca Bossa.
Almeno 7 i colpi esplosi a bruciapelo e a distanza ravvicinata contro Carmine D’Onofrio, fatali probabilmente i due proiettili che lo hanno raggiunto al cuore. I killer dei “Bodo” non hanno esitato a sparare neanche al cospetto della compagna del 23enne, all’ottavo mese di gravidanza. La donna, ancora in forte stato di shock, è tuttora ricoverata in ospedale.
Il movente dell’omicidio appare evidente: la morte violenta di Carmine D’Onofrio rappresenta la replica dei De Micco all’agguato subito esattamente 7 giorni prima, quando la sera del 28 settembre scorso, è stato fatto esplodere un ordigno artigianale in via Luigi Piscettaro, quartier generale dei De Micco.
Un affronto pari ad un ceffone in pieno viso agli occhi dell’irriverente Marco De Micco, tutt’altro che intenzionato a ridimensionare le sue velleità camorristiche e subito pronto a rilanciare le credenziali del suo clan, mettendo la firma su un’azione ancora più eclatante, consegnando ai De Luca Bossa il cadavere di un altro morto innocente da piangere.
Giustiziando Carmine D’Onofrio, giovane figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, estraneo alle dinamiche camorristiche, i De Micco hanno indirizzato un messaggio forte e perentorio alla cosca del Lotto O: non sono disposti ad indietreggiare e se non deporranno le armi, non si faranno scrupoli ad uccidere i loro familiari, anche quelli che con la malavita non hanno nulla da spartire.