S’intitola “Napolinegra” il libro del giovane giornalista napoletano Vincenzo Sbrizzi e raccoglie venticinque storie di persone che hanno dovuto affrontare il mare per mettere in salvo la propria vita. Persone rapite e vendute come schiavi nel deserto. Persone che hanno visto la morte appropriarsi di tutto intorno a loro. Storie vere di migranti intervistati da Sbrizzi che in comune hanno il viaggio e la sofferenza, ma anche la voglia di prendersi il futuro che hanno sempre sognato.
“Napolinegra” rientra nella collana “Cronisti scalzi” della iod Edizioni, dedicata alla memoria di Giancarlo Siani, il giovane giornalista ucciso dalla camorra. Vogliamo dare spazio, insieme ad autorevoli voci del giornalismo d’inchiesta, a quei giovani giornalisti precari, che continuano a essere presenti sul posto, e che conservano la memoria, lo stile e il metodo di Giancarlo.
Ad elencare tre validi motivi per i quali vale la pena di leggere “Napolinegra” è l’autore del libro, Vincenzo Sbrizzi:
“Il primo motivo è cancellare l’idea secondo cui i migranti sono numeri. Dietro le statistiche con le quali viene raccontato il fenomeno delle migrazioni ci sono delle persone. L’obiettivo del libro è quello di raccontare le singole storie dietro ai numeri. Persone con le loro sofferenze ma anche con le loro speranze e soprattutto con una grande coraggio. Le 25 storie raccontate nel libro sono un pezzetto di memoria che è necessario custodire. Memoria di persone le cui storie ci passano accanto tutti i giorni ma non sappiamo cosa stiamo ignorando. Quale forza e dolore non stiamo tenendo in considerazione quando parliamo di migranti.
Il secondo motivo è che non dobbiamo assuefarci mai al dolore. Ogni singola storia è una pietra scagliata contro il muro dell’indifferenza dietro il quale l’Occidente si sta riparando. Stiamo decidendo di ignorare coscientemente l’ennesimo Olocausto della storia dell’umanità. Un olocausto che si consuma nelle acque del Mediterraneo, nei campi di prigionia in Libia o nei campi profughi lungo la rotta balcanica. Questa volta, però, non abbiamo attenuanti. Viviamo in un mondo dell’informazione. Possiamo sapere in tempo reale cosa sta succedendo dall’altra parte del pianeta e non abbiamo scuse. Non potremo dire “noi non lo sapevamo”. Questo libro ha l’intento di ricordarci questo e di colpire sistematicamente chi prova a girarsi dall’altra parte. Ogni storia è una pietra che non ci permette di assuefarci alla disumanità del nostro atteggiamento nei confronti di ciò che sta accadendo dall’altra parte del Mediterraneo.
Il terzo motivo è che il libro dà una visione diversa di Napoli e dell’accoglienza. Tutte le persone di cui si racconta la storia vivono in città. Ognuno di loro ha trovato in Napoli un porto sicuro. Una città lontana dalla oleografia ma che ha permesso loro di rimanere a galla e sopravvivere nella speranza di integrarsi. Una madre che riserva lo stesso trattamento sia ai suoi figli naturali che a quelli “adottivi”. A tutti riserva le stesse possibilità che gli stessi pericoli. Un posto dove essere povero non è considerato un delitto. Una città da sempre considerata irregolare come molti migranti ma capace di andare oltre e accogliere chiunque.”
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