Uno dei pentimenti più temuti e inaspettati, quello di Tommaso Schisa, rampollo di una delle famiglie camorristiche più longeve di Ponticelli. Primogenito della “pazzignana” Luisa De Stefano – condannato all’ergastolo per l’omicidio Colonna-Cepparulo – e dell’ex Sarno Roberto Schisa – condannato all’ergastolo per la strage del bar Sayonara – Tommaso Schisa detto ‘o muccusiello, è destinato a fornire un prezioso contributo alle indagini in corso, volte a far luce sulle dinamiche camorristiche che si sono avvicendate a Ponticelli, dal declino del clan Sarno fino ai recenti fatti di cronaca. Ad onor del vero, gli esiti delle sue dichiarazioni sono temuti ben oltre i confini della periferia orientale di Napoli, in virtù delle alleanze strategiche intrecciate con i clan dell’entroterra vesuviano e che lo stesso Schisa ha concorso a consolidare, legandosi sentimentalmente alla figlia del boss di Marigliano Luigi Esposito detto ‘o Schiamarro,
Un pentimento maturato per effetto di una “vendetta d’amore”, poiché Schisa fu indotto a collaborare proprio dalla sua compagna che gli manifesto l’incapacità di resistere a lungo lontana da lui, mentre era in carcere. Un piano ordito dalla figlia dello Sciamarro per vendicarsi di un tradimento, in quanto non aveva nessuna intenzione di seguirlo in località protetta ed infatti, avviò una relazione sentimentale con un altro uomo, proprio mentre l’ex compagno palesava la volontà di pentirsi. Una decisione che Schisa non ha rinnegato, quella di collaborare con la giustizia, nemmeno quando ha scoperto le reali intenzioni della sua ormai ex fiamma che di recente ha anche avuto un figlio con il neocompagno.
Il timore degli interpreti della malavita si è fin da subito rivelato fondato, in quanto, a luglio del 2020 sono scattate le manette per il sindaco di Marigliano, Mario Pelliccia, accusato di voto di scambio politico-mafioso, proprio perchè Schisa ed altri due collaboratori hanno concorso a ricostruire i rapporti tra alcuni esponenti della politica locale e il boss di Marigliano Luigi Esposito, ex suocero di Schisa.
Un giovane cresciuto a pane e malavita, senza un padre, condannato al carcere a vita dalle dichiarazioni rese dai fratelli Sarno, ex capi indiscussi di Ponticelli e con una madre-matrona, in grado di sopperire all’assenza della figura paterna su tutti i fronti, indottrinando il figlio al culto del rispetto del codice d’onore della malavita. Per questo motivo, il pentimento del giovane, figlio di un uomo d’onore che ha accettato l’ergastolo senza battere ciglio, non lasciandosi tentare dall’idea di pentirsi, ha suscitato particolare scalpore negli ambienti camorristici.
Una vita trascorsa ad entrare ed uscire dal carcere, quella di Tommaso Schisa. Tant’è vero che dal 4 dicembre 2015 al 5 settembre 2016, ha avuto tempo e modo di condividere le redini del clan di famiglia, saldamente strette tra le mani della madre, per circa 9 mesi. Una volta finito nuovamente dietro le sbarre, erano sua madre e gli altri gregari ad informarlo sull’evoluzione delle dinamiche camorristiche, nel corso dei colloqui in carcere.
Ed è partito proprio dal clan di famiglia, Tommaso Schisa, ricostruendone le origini, indicando tutti gli affiliati e specificandone i ruoli, descrivendo minuziosamente il modus operandi delle piazze di spaccio, ma anche il sistema delle estorsioni, le modalità operative del clan e i rapporti intrecciati con le altre organizzazioni.
Fin dal primo verbale, datato 26 settembre 2019, Schisa ha indicato la famiglia Casella come cartello camorristico operante a Ponticelli e inserito nel clan capeggiato dalla sua famiglia. In particolare, Schisa indica Giuseppe Righetto come un affiliato al clan Minichini, oltre che uno dei capi della zona “dietro a Barra”, ovvero via Franciosa, e dedito alla gestione dello spaccio di stupefacenti in quella zona.
Schisa rivela alla magistratura un altro dettaglio interessante: Righetto, per un breve periodo, è stato detenuto al carcere di Secondigliano nel padiglione S2, insieme a Tommaso Schisa e Michele Minichini.
“Ho avuto modo di stare con Peppe ‘o blob quando sono stato messo, poco prima di iniziare a collaborare con la giustizia, in isolamento perchè mi avevano trovato in possesso di telefonino cellulare. In quei giorni, Peppe O ‘Blob mi confidò che, all’epoca della guerra con i De Micco, egli si era reso responsabile dell’omicidio di un ragazzo aret’ a barra di Ponticelli, per una questione di droga. In particolare, mi ha riferito di avergli sparato, senza specificare altro. Infatti, parlavamo prevalentemente dello stipendio mensile a noi detenuti che a volte arrivava puntuale, altre volte no. Peppe O ‘Blob scende anche per le stese occupandosi anche del settore delle estorsioni, insieme ad Ali ed al figlio di Ali. – si legge nel verbale firmato da Schisa – O’ blob rappresenta la famiglia Casella, anche se non porta quel cognome e a differenza degli altri fratelli Casella è molto operativo sul territorio in termini di partecipazione alle stese. Riveste all’interno del clan una posizione apicale, scendendo anche in prima persona quando si tratta di “impostare le piazze di spaccio”, determinando la quota che il clan deve avere dalla singola piazza di spaccio ed è presente sul territorio.
Posso indicare, tra gli affiliati al gruppo Schisa-Minichini-De Luca Bossa che percepiscono lo stipendio mensile di 1500 euro al mese i seguenti soggetti: Giuseppe Casella, Eduardo Casella, il fratello più piccolo di cui non ricordo il nome, Peppe o’ Blob ed Ali, padre e figlio. I più giovani prendono una quota inferiore. Voglio precisare infatti che nella cassa dell’organizzazione confluiscono anche i proventi delle attività illecite dei Casella, tranne i guadagni derivanti dalla piazza di spacco che gli stessi gestiscono dietro l’Asl di Ponticelli.”