E’ durata solo poche ore la latitanza di Salvatore Romano detto “il nippolo”, destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare, insieme ad altre 5 persone, accusate a vario titolo del reato di spaccio di sostanze stupefacenti. L’operazione condotta all’alba di oggi, giovedì 18 marzo, ha sgominato la piazza di droga più importante del quartiere Ponticelli radicata da diversi anni nell’isolato 2 del Rione De Gasperi di Ponticelli e capeggiata proprio da Romano. Oltre a quest’ultimo, le manette sono scattate per il suo braccio destro Umberto Sermone, Antonietta Luongo e Pasquale Busiello, agli arresti domiciliari Emanuele Busiello e Alfonso Iannelli.
“Il nippolo” era riuscito a sottrarsi alle manette, rendendosi irreperibile. La sua latitanza però è durata solo qualche ora. Romano si è recato spontaneamente presso il commissariato di Polizia di Stato di Ponticelli, intorno alle 12, ed è stato condotto in carcere.
Il Nippolo ha consolidato, nel corso degli anni, un nuovo modello di business dello spaccio che ha fatto scuola, tanto da essere adottato anche in altri rioni non solo della periferia orientale di Napoli.
Un assetto completamente rivoluzionato nel “modello Ponticelli” introdotto dal “nippolo” che negli ultimi anni è riuscito a fondare un impero economico ragguardevole, basandosi sull’utilizzo di telefoni “usa e getta” e di pusher-corrieri che, in barba allo sfruttamento e alle condizioni ben più precarie dei loro colleghi funzionali alla causa del delivery e del cibo da asporto, macinano meno chilometri e guadagnano molti più soldi.
A fare la differenza, consentendo a quella piazza di godere di ottime credenziali tra i tossici di Napoli e provincia era la varietà e la qualità della merce che “il nippolo” assicurava alla sua clientela, riuscendo finanche a trasformare l’isolato in cui vive in un autentico supermarket della droga, dove la vendita degli stupefacenti veniva diversificata in base ai piani: al primo piano era possibile acquistare hashish e marijuana, al secondo la cocaina e al terzo la droga più richiesta del momento e clamorosamente tornata in auge, il crack.
Un aspetto inedito del nuovo modello di spaccio proposto ed imposto dal “nippolo” va rilevato negli schiamazzi notturni che trasformano quella pratica notoriamente clandestina e svolta con discrezione, in un baccanale al quale partecipare con gaudio ed esaltazione, sprezzanti delle tante famiglie ubicate negli appartamenti adiacenti, desiderosi solo di trascorrere le loro notti dormendo sonni sereni.
“Il nippolo e il suo team” per smorzare la noia dell’attesa ed esaltare i grappoli di clienti che puntualmente rispondono con la presenza al quotidiano appuntamento con quel veleno letale, urlavano a più riprese frasi motivazionali. “Si vola”, “è gas”, “il gas migliore di Napoli lo teniamo noi”.
Sono solo alcune delle “frasi ad effetto” urlate a squarciagola nel cuore della notte dai “signori della droga” di Ponticelli, anche per decantare ed ostentare il primato guadagnato sul campo, facendo così sapere ai “competitors” che gli affari andavano a gonfie vele.
Quello della droga è un business che non conosce inflazioni né condizionamenti climatici. La piazza del “nippolo” non ha risentito nemmeno dell’emergenza coronavirus e del lockdown. Ha sempre lavorato a pieno ritmo, garantendo la dose quotidiana a tutti gli avventori.
Per “i signori della droga” dell’isolato 2, l’unica priorità era il business.
Lo sanno bene i clienti abituali che pur di assicurarsi la roba hanno portato al vaglio dei pusher le stramberie più impensabili, quando erano sprovvisti di denaro in contante: dalle cabine del telefono alle casse di bibite, talvolta, perfino gli indumenti adagiati sugli stendini dei balconi del rione.
Quando “il pegno” proposto dal tossico di turno non andava a genio al “nippolo”, la contrattazione sfociava nel sangue. Il tossico si dimenava, sopraffatto dalla crisi d’astinenza, amplificata dalla percezione di essere ad un passo dall’agognata conquista, ed incattivito dal reiterato diniego. “Il nippolo”, dal suo canto, non amava perdere tempo. Abituato ad andare dritto al sodo, per lui il tempo è denaro e una sterile contrattazione che si protrae senza assicurargli alcun tipo di vantaggio, altro non è che un’inutile perdita di tempo e denaro.
“Il sabato e la domenica non vi posso dare niente…. tengo i carcerati… ve ne dovete andare“: queste le parole che il “Nippolo” urlò in faccia ad un tossico smanioso di credito, una domenica sera, senza battere ciglio, prima di infierire ripetutamente su di lui, prendendolo a pugni e poi a calci, perchè con quelle moine stava rallentando il lavoro della piazza che di domenica era più affollata di un centro commerciale.
Il pestaggio di quel cliente fu una sorta di “punizione” per aver cercato di estorcere una dose senza poterla pagare, seppure in passato quell’“atto di fiducia” gli era stato accordato in più di una circostanza. Una politica cinica, lucida e con un intento ben preciso, quella praticata dal “nippolo”: spingere i tossici sempre più in basso. Più sono disperati e più sono disposti a tutto, pur di riuscire a farsi. Non solo disperati: in quel sommesso angolo di periferia, segnato da sanguinarie faide di camorra e da un piano di assegnazione di alloggi popolari che stenta a decollare, giungevano clienti da diverse zone della città, non solo dai comuni del vesuviano, ma anche dai salotti della “Napoli bene”, perché la cocaina del “nippolo” ha rapidamente conquistato un’ottima fama tra i cultori del genere.
Un mix di livore criminale e brama di potere, frutto di una gavetta da “figlio della strada”, cresciuto tra le maglie del “sistema” come fedelissima recluta. Imparentato finanche con gli ex “padroni del Rione De Gasperi”, quei Sarno che dagli anni ’80 e per circa un trentennio sono riusciti ad imporre la propria egemonia criminale ben oltre i confini ponticellesi, servendosi di metodi feroci e spietati.
Il “nippolo” è tornato in libertà da qualche anno, dopo aver trascorso 10 anni in carcere per spaccio di droga. Proprio durante la detenzione del capofamiglia, oltre che capo-piazza, il business della droga dell’isolato 2 è andato incontro ad un incremento esponenziale, forte dell’esenzione dal pedaggio del pizzo applicata dal clan De Micco, il sodalizio camorristico che ha colmato il vuoto di potere generatosi a Ponticelli in seguito al declino del clan Sarno e che ha dominato la scena camorristica fino al novembre del 2017. Un’esenzione dovuta a quella famiglia, in virtù della carcerazione del “capo”, secondo quanto previsto dal codice d’onore della camorra. Questo ha consentito alle finanze di quella piazza di spaccio di andare incontro ad una crescita progressiva.
Sua moglie Annarita, detta “Scianel”, proprio per rimarcarne analogie e somiglianze con il celebre personaggio di “Gomorra” interprete di quella camorra in gonnella sempre più in voga negli ultimi tempi, annovera una parentela “pesante” con gli ex boss di Ponticelli che rischiava di mettere a repentaglio la sua vita e quella dei suoi congiunti, in seguito al pentimento delle figure-simbolo del clan Sarno. Nel periodo storico in cui si consumarono sanguinari omicidi, nell’ambito della cosiddetta “vendetta contro i parenti dei pentiti di Sarno”, a morire sotto gli spietati colpi d’arma da fuoco della camorra furono tante vite innocenti, estranee alle dinamiche criminali, uccise solo perché legate alla famiglia Sarno da vincoli di parentela, diretti o indiretti. Anche gli affetti della “Scianel di Ponticelli” rischiavano di restare irretiti in quel vortice di livorosa vendetta da dissetare con il sangue dei parenti dei “traditori”.
Un pericolo sventato in maniera scaltra dal “nippolo”, mordace e impudente uomo d’affari, capace di far fruttare i soldi, meglio di un titolato banchiere. Il marito di “Scianel”, scontata la condanna e tornato ad occupare il suo posto da capo-famiglia e da leader maximo del business della droga ponticellese, ha generato un indotto economico ragguardevole del quale buona parte della collettività congeniale al sistema ha innegabilmente beneficiato. Non solo in termini di assunzioni, consentendo a tantissimi giovani e, di riflesso, alle loro famiglie, di poter contare su un ingente stipendio settimanale, ma ancor più facendo girare l’economia.
Una vita sfarzosa, fatta di week-end in resort lussuosi, vacanze da sogno, noleggi di auto e scooter importanti, pranzi e cene a base di champagne e crostacei pregiati. La donna delle pulizie a disposizione di “Scianel” tutti i giorni, al pari del garzone della spesa che quotidianamente consegnava buste gremite di ogni ben di Dio, l’estetista, la parrucchiera e molto, molto altro. Alla moglie e ai figli del “Nippolo” non deve mai mancare nulla: dagli abiti griffati agli accessori, senza tralasciare quel genere di confort che nell’immaginario collettivo concorrono a consacrare lo status di una persona, ergendola ad “icona”, in quanto capace di condurre quello stile di vita al quale “il gregge” ambisce e che si fonda sul pericoloso principio del “guadagnare tanto senza lavorare” che, grazie al sistema introdotto dal “Nippolo” a Ponticelli non è più percepito come un traguardo utopistico, ma è diventato un obiettivo da afferrare ed emulare.
I cultori di quel modello delinquenziale personificato dal “Nippolo e Scianel”, sui social network non ci finiranno mai, soprattutto perché non ne hanno bisogno. Tutti a Ponticelli ricordano il loro sfarzoso matrimonio, con tanto di sontuoso banchetto a “La Sonrisa”, in tempi non sospetti e molti anni prima che quella location per eventi diventasse “Il Castello delle cerimonie” scimmiottato dal celeberrimo programma di Real Time.
Il “Nippolo” sulla carta è un nullatenente che per mantenere la famiglia ha bisogno del sussidio statale, tant’è vero che percepirebbe anche il reddito di cittadinanza. Per giunta, durante l’emergenza coronavirus ha usufruito del pacco alimentare messo a disposizione dalla protezione civile alle famiglie indigenti. Era sua moglie Scianel a ritirarlo, precipitandosi lungo le scale, avvolta nella sua eccentrica vestaglia in pile, quasi a voler sbeffeggiare gli sguardi dei tanti “veri poveri” che vivono nel Rione, costretti a mandar giù anche quell’amaro boccone, farcito da una generosa razione di giustificata rabbia e forzata omertà.
Il Nippolo non faceva nulla per nascondere la profonda avversione che covava per le forze dell’ordine, contro le quali imprecava tutte le volte che gli avessero arrestato qualche pusher che poi si era dovuto prendere la briga di rimpiazzare e si spazientiva quando arrivavano “le guardie”, nel bel mezzo dell’attività lavorativa.
“Tanto niente trovano e niente ci fanno, ci fanno perdere solo tempo”, commentava nervosamente con le sue reclute, mentre gli agenti dell’anticrimine di Ponticelli salivano le scale che conducono alla sua abitazione.
Negli arsenali della camorra, le partite le vince chi riesce ad avere la meglio nell’ambito di quel teso e nervoso braccio di ferro tra bene e male. Ne erano consapevoli gli agenti del commissariato di Ponticelli che hanno condotto le indagini, capeggiate dal sostituto commissario Vittorio Porcini.
Il “Nippolo” era convinto che quelle “guardie” non sarebbero mai riuscite a scovare i posti in cui nascondeva la droga. E, invece, uno ad uno, li hanno stanati tutti: dai cavi della corrente elettrica, nei quali le dosi venivano disposte già pronte per essere vendute, alle lastre di marmo dei gradini delle scale, tagliate per trafugare gli stupefacenti, fino ai cunicoli e alle baracche abusive, ufficialmente edificate per fungere da box auto.
Dal suo canto, il “Nippolo” ha dimostrato alle forze dell’ordine che disponeva di una rete fidelizzata ed organizzata di contatti. Uno sciame di fedelissimi che orbita intorno alla sua redditizia piazza di droga per difenderne gli introiti.
Nell’ambito di una delle tante perquisizioni eseguite dalla “squadra di Vittorio” dal 2017 fino a poco tempo fa, il Nippolo spazientito affermò: “Seppure trovate la droga che me facite!? Mi faccio altri 10 anni in galera? E quando esco, mi metto a fare un’altra volta quello che faccio ora. Je sto miezz’ a via e questa è la vita mia, c’aggia fa!??!”