“Nel Rione Luzzatti, si conferma il forte radicamento della famiglia Casella, i cui esponenti di vertice ed affiliati sono stati scarcerati nel mese di ottobre 2019 per un difetto procedurale dopo essere stati raggiunti, nel 2018, da un provvedimento restrittivo”: con queste parole, la Dia, nell’ambito della relazione che analizza il primo semestre del 2020, conferma e rilancia la presenza del clan Casella.
Una presenza sottolineata dagli agguati che si sono avvicendati in seguito al declino del clan De Luca Bossa, innescando una faida che ha visto la cosca di via Franciosa tra i protagonisti più attivi. Al centro della disputa, il controllo del territorio e il business dei traffici illeciti.
La cosca, nata sui relitti del clan Sarno, allo stato attuale è la più datata del quartiere, e vede minare la sua egemonia dalle giovani leve che scalpitano per troneggiare su Ponticelli. I giovani aspiranti leader del Rione Conocal, ma anche gli “XX”, marchio di fabbrica del cartello De Micco-De Martino. Giovani, irriverenti, spregiudicati, dal sangue caldo e con il colpo in canna sempre fumante: sono queste le caratteristiche principali delle due compagini che mirano a minare la brama di potere dei Casella, ma anche le motivazioni per le quali questi ultimi hanno cercato in tutti i modi di evitare di abbracciare le armi.
Dapprima vivendo da segregati in casa, limitando al minimo indispensabile uscite e spostamenti e non solo per osservare alla lettera le normative anti-covid, ma principalmente per sventare il concreto pericolo di finire nel mirino dei nemici.
L’episodio cruciale della faida che ha tenuto banco tra ottobre e novembre del 2020 è stato l’agguato indirizzato a Luigi Aulisio detto Alì, cognato dei Casella, raggiunto da un proiettile in strada, poco dopo le 21 del 29 ottobre 2020.
I sicari lo hanno stanato in via Napoli, strada adiacente a via Franciosa, quartier generale del clan Casella a Ponticelli.
A sottolineare quanto quell’azione violenta abbia inflitto un colpo durissimo al clan, seppure Aulisio sia stato solo ferito e non fosse in pericolo di vita, è la stessa reazione del cognato dei Casella.
Alì, mentre si trovava ancora all’ospedale Villa Betania di Ponticelli, in attesa di farsi visitare, contatta su Messenger il direttore di Napolitan, la giornalista Luciana Esposito, “per non far passare una notizia grave”, scrive testualmente.
Un messaggio chiaro ed esplicito, finalizzato a ridimensionare la portata criminale di quel raid, smorzandone la gravità. Tuttavia, seppure sia stato solo ferito dal proiettile che lo ha raggiunto alla schiena e che non ha intaccato organi vitali, Aulisio avrà bisogno di diversi giorni di convalescenza, prima di rimettersi completamente.
Non è stato un agguato mortale, ma neanche una ferita di striscio, ma quello che preme maggiormente ai Casella è preservare credibilità e reputazione.
Aulisio riferisce di non aver visto il killer che lo ha colpito alla schiena e che pertanto non è in grado di fornire informazioni utili circa la sua identità, precisando che non ha avuto screzi con nessuno e per questo non è in grado di motivare quell’agguato.
“Personalmente ho buoni rapporti con tutti”, precisa Aulisio nel corso della conversazione sulla chat di Messenger al direttore di Napolitan.
Alì ha aggiunto di aver trascorso gli attimi successivi all’agguato a “riavvolgere il nastro nella sua mente” proprio per ricostruire dinamiche ed episodi in grado di dare un senso a quei colpi di pistola.
Un sussulto che getta i fratelli Casella in un fondato stato di crescente paura e che li porta ad adottare comportamenti sempre più cauti.
Pochi giorni dopo, Rosario Rolletta – ritenuto contiguo al clan XX, oggi collaboratore di giustizia – finisce nel mirino dei killer. Per gli inquirenti, quell’agguato è la replica dei Casella al ferimento del cognato.
Una sequenza ravvicinata di spari che sembra introdurre uno scenario inquietante e temutissimo, soprattutto dalla gente comune.
Invece, su Ponticelli, cala un velo di silenzio, tanto misterioso quanto inquietante.