Il 6 marzo del 2016, a Ponticelli, un killer misterioso entra in azione per uccidere Giovanni Sarno. Il fratello degli ex numeri uno di Ponticelli, invalido e con problemi di alcolismo, viene stanato nel letto della sua abitazione, nel giorno del compleanno di suo padre: un dettaglio tutt’altro che trascurabile e che concorre a rafforzare l’ipotesi che dietro quella lunga scia di sangue, alimentata dagli omicidi che si susseguono a distanza ravvicinata, vi sia la firma dei clan alleati di Napoli est.
E’ proprio la vendetta il collante che unisce i membri di quel sodalizio camorristico nel quale convergono i relitti dei clan sopravvissuti al declino dei Sarno, costituito dai superstiti delle famiglie d’onore che piangono la condanna definitiva all’ergastolo per la strage del Bar Sayonara, incassata pochi mesi prima dai loro cari, e maturata proprio per effetto delle dichiarazioni rese dai mandanti di quell’azione camorristica in cui persero la vita 4 vittime innocenti, estranee alle dinamiche camorristiche: i fratelli Vincenzo e Ciro Sarno.
Un altro delitto eccellente infittisce il mistero intorno a quel vortice di violenza, dopo l’agguato in cui ad avere la peggio fu Mario Volpicelli, cognato di Ciro Sarno, freddato dai sicari mentre rincasava a piedi al termine di una giornata di lavoro, la sera del 30 gennaio 2016, quindi alla vigilia dell’onomastico dell’ex boss di Ponticelli.
I sicari hanno fatto irruzione nel basso in cui Giovanni Sarno viveva nel Rione De Gasperi di Ponticelli, l’ex bunker del clan, mentre dormiva e lo hanno ucciso nel sonno.
Giovanni Sarno, 54 anni, con precedenti risalenti agli anni Novanta, è stato freddato con due colpi alla testa.
Contro il fratello degli ex boss di Ponticelli sono stati sparati 4 o 5 colpi di pistola, sicuramente con un revolver, poichè a terra non sono stati trovati bossoli. L’uomo era invalido e viveva in un “basso” con la porta sempre aperta, in condizioni di indigenza e con problemi di alcol, trascorreva la maggior parte delle sue giornate in quella abitazione, aiutato dai parenti che gli portavano da mangiare. Usciva raramente, di solito per recarsi in un bar vicino alla sua abitazione dove beveva e acquistava la birra che poi portava anche a casa. Non aveva timori, non si sentiva in pericolo, Giovanni Sarno lasciava la porta del basso aperta, in modo da consentire ad amici e conoscenti di affacciarsi nell’abitazione per sincerarsi delle sue condizioni e per chiedergli se avesse bisogno di qualcosa.
Le abitudini del fratello di Ciro Sarno, ex boss di Ponticelli che con le dichiarazioni rese da collaboratore di giustizia ha decretato l’ergastolo per tutti gli affiliati al suo clan che a vario titolo parteciparono alla strage del bar Sayonara, erano ben note al killer entrato in azione nel basso di via De Meis per eliminare Giovanni Sarno.
Un omicidio che ha destato particolare clamore per l’esplicita volontà manifestata dagli artefici della “vendetta contro i pentiti del clan Sarno” di colpire un “punto debole”, un uomo inerme, incapace di difendersi.
Un delitto dal quale, inoltre, emerge il sadico desiderio di “tastare il dolore” che ha impedito ai membri dell’alleanza di attendere che i parenti scoprissero da soli quanto accaduto perchè impazienti di “gustarsi la scena” del ritrovamento del cadavere, come sottolinea la citofonata, nelle ore successive all’agguato, ai parenti del defunto, per consegnargli quel “messaggio di morte”.
Il cadavere di Giovanni Sarno, infatti, è stato ritrovato il giorno seguente all’omicidio, in seguito alla citofonata da parte di una delle figure-simbolo dell’alleanza alla nipote: «Zio Giovanni è morto. Andatevi a prendere il cadavere a casa». Fin dalle prime fasi investigative, gli inquirenti non hanno mai escluso che ad avvertire la famiglia Sarno possa essere stato proprio chi l’ha ucciso.
Un delitto maturato nel giorno del compleanno di Antonio Sarno, padre dei fondatori dell’omonimo clan: un dettaglio che secondo il linguaggio in codice della camorra concorre a disegnare la firma dei clan alleati anche su quell’omicidio.
La morte di Giovanni Sarno sarebbe “il regalo” che i parenti degli ex uomini d’onore di Ponticelli hanno rivolto ai Sarno, oggi collaboratori di giustizia, per “ringraziarli” del fine pena mai fatto incassare ai loro cari con le dichiarazioni rese alla magistratura e utili a ricostruire 30 anni di camorra all’ombra del Vesuvio.