L’ex boss di Ponticelli, Giuseppe Sarno, e sua cognata Patrizia Ippolito, moglie di Vincenzo Sarno, collegati in diretta facebook, mentre sorseggiano un caffè, seduti al tavolino di un bar, dalla località protetta in cui vivono da quando hanno scelto di passare dalla parte dello Stato: inizia con un fragoroso sussulto l’anno 2018 a Ponticelli, quartiere dal quale la cosca del Rione De Gasperi ha tenuto sotto scacco per decenni l’intera periferia orientale e l’entroterra vesuviano, arrivando ad estendere il suo impero fino al cuore della città di Napoli.
Tutt’altro che causale la tempistica con la quale i Sarno fanno fragorosamente irruzione sulla scena camorristica e non solo, servendosi del social network più popolare, perchè quella diretta dai toni e dai contenuti espliciti, matura in un momento storico ben preciso: all’indomani del declino del clan De Micco per causa di forza maggiore, in seguito agli arresti che hanno fatto scattare le manette per le figure apicali della “cosca dei tatuati”, ad avere la meglio sono i clan alleati di Napoli est, ossia le vecchie famiglie camorristiche ridotte in rovina proprio dalle dichiarazioni rese dai Sarno, una volta passati dalla parte dello Stato.
“Le pazzignane” capeggiate da Luisa De Stefano, moglie di Roberto Schisa, ex “macellaio” della cosca del rione De Gasperi, condannato all’ergastolo soprattutto per effetto dei dettagli forniti alla magistratura dai fratelli Sarno circa il suo livello di coinvolgimento nell’esecuzione di efferati omicidi, ma anche Michele Minichini, figlio del boss Ciro detto “Cirillino”, oltre ad Anna De Luca Bossa, sorella di Tonino ‘o sicco, uno dei nemici più acerrimi dei Sarno, a dispetto del debutto sulla scena camorristica in veste di killer spietato proprio della cosca del rione De Gasperi.
Un mix di rancori, vecchie ruggini, conti in sospeso covati per decenni: i Sarno con una semplice ed apparentemente innocua diretta mirano a stroncare i sogni di gloria dei clan alleati di Napoli est che pur di sopravvivere all’impeto dei De Micco convergono in un unico sodalizio camorristico. Giuseppe Sarno, detto ‘o mussillo, sembra impartire ordini quando afferma “chi vuole male ai fratelli Sarno” e termina la frase mimando il segno della croce, quasi a voler decretare una condanna a morte per coloro che palesano dissenso e disappunto verso i fondatori del clan che ha saputo disseminare morte e terrore nel corso di una delle ere camorristiche più sanguinarie della storia napoletana.
Un video del quale non dovevano restare tracce, secondo i calcoli dei fratelli Sarno, che hanno provveduto a rimuoverlo, una volta terminata la diretta e che invece è stato fornito alla nostra redazione, consentendo ad un pool di magistrati di avviare un’indagine che nel giro di pochi mesi porta Giuseppe Sarno dritto in carcere per aver violato le limitazioni imposte dal programma di protezione e quindi costretto a scontare le pene residue che ancora pendevano sul suo capo.
Eppure, nell’immediatezza dei fatti, quel video generò un vero e proprio terremoto nei rioni di Napoli est in odore di camorra.
Le figure apicali dell’alleanza, finalmente riuscita a riappropriarsi di Ponticelli e perfino senza impelagarsi in una pericolosa guerra contro i De Micco, sentivano il bisogno di replicare in qualche modo a quell’attacco, per allontanare il fantasma del clan Sarno che, improvvisamente, era tornato ad aleggiare sul quartiere e, ancor più, per zittire i fedelissimi della cosca, intimando loro di guardarsi bene dal covare strane trame oscure appoggiando un ipotetico ritorno a Ponticelli dei fratelli Sarno. Infatti, proprio nel periodo in cui i Sarno tornarono alla ribalta grazie a quella diretta, nel quartiere serpeggiava con insistenza un rumors secondo il quale gli ex boss erano stati avvistati a Ponticelli, precisamente mentre raggiungevano il loro ex bunker, il Rione De Gasperi, dove avrebbero partecipato ad alcune riunioni.
Più fattori rischiano di minare il potere e l’autorità dei clan alleati che quindi decidono di affidare la loro replica ad un personaggio “neutro”: la scelta ricade su “Pina la diva” per una serie di ragioni. La donna, molto popolare sui social e seguita soprattutto da amici e conoscenti del quartiere, è la persona ideale alla quale chiedere di rivolgere una caterva di ingiurie ed insulti agli ex boss di Ponticelli, seppure estranea alla dinamiche camorristiche. La donna non ha “conti in sospeso” con i Sarno, ma agli occhi dei diretti interessati è palese che parla per conto di terze persone. Tutt’altro che casuale, infatti, la scelta della location in cui girare il video: “Pina la diva” è seduta sul divano di casa Minichini.
Un divano piuttosto appariscente che non passa inosservato e che tutti coloro che hanno avuto modo di frequentare casa Minichini – le forze dell’ordine in primis – hanno immediatamente riconosciuto.
“Pina la diva” è anche la madre di Giuseppe Prisco, un giovane che ha saputo subito attirare l’attenzione degli inquirenti: protagonista dei moti di ribellione andati in scena nel corso dell’estate del 2016 nella zona delle piazze di spaccio che si estendono dal Lotto O al cimitero di Barra, era uno dei dissidenti che a muso duro si opponeva al pagamento del pizzo ai De Micco. Fedelissimo di Michele Minichini, insieme al quale, secondo diverse fonti, avrebbe messo la firma su una serie di sanguinarie azioni volte a consolidare l’egemonia del sodalizio camorristico subentrato proprio ai “Bodo”. Arrestato a luglio del 2018, in quanto parte integrante della banda di rapinatori seriali che in quel periodo partiva dal Lotto O per compiere rapine violente, Prisco era “il tuttofare” della cosca. Secondo quanto emerso dalle indagini volte a far luce sulla faida tra i Mazzarella e i Minichini-Rinaldi-De Luca Bossa per il controllo dei traffici illeciti nella zona di Porta Nolana, la mattina in cui i sicari dei Mazzarella indirizzarono alcuni colpi di pistola contro Gabriella Onesto, la cassiera del clan era accompagnata proprio da Giuseppe Prisco. All’indomani di quell’agguato, fu Prisco, in compagnia di Alfredo Minchini – fratello di Michele – ed altri due affiliati al clan Rinaldi, a mettere la firma sulla replica del clan, sparando diversi colpi di pistola in prossimità dell’abitazione del boss Ciro Mazzarella.
Un giovane che ha manifestato la tempra e la foga necessarie per ambire ad una carriera in ascesa tra le file della camorra, uno dei tanti che vede in Michele Minichini un esempio da seguire ed emulare.
Di motivazioni per ingraziarsi e compiacere Michele Minichini, “Pina la diva” ne aveva più di una ed è così che fa sua quella ghiotta occasione, ergendosi a portavoce dei clan inguaiati dalle dichiarazioni rese dai fratelli Sarno, indirizzando a questi ultimi una raffica di insulti irripetibili, pur non avendo motivazioni personali per inveire contro di loro, in quanto negli anni in cui i Sarno erano camorristicamente attivi a Ponticelli suo figlio non era nemmeno nato e nessun membro della sua famiglia risulta invischiato nelle dinamiche malavitose dell’epoca.