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Ponticelli, gennaio 2017: ecco come l’arresto di Umberto De Luca Bossa condizionò le dinamiche camorristiche

Luciana Esposito di Luciana Esposito
14 Gennaio, 2021
in Cronaca, In evidenza
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Ponticelli, gennaio 2017: ecco come l’arresto di Umberto De Luca Bossa condizionò le dinamiche camorristiche
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napoli_umberto_de_luca_bossaCorreva l’anno 2017 e nel Lotto O di Ponticelli si respirava un clima profondamente diverso rispetto all’aria di disfattismo che attualmente spira sul clan De Luca Bossa.

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Il nuovo anno venne introdotto da un evento eclatante che fece tirare un sospiro di sollievo al clan del Lotto O: l’arresto di Umberto De Luca Bossa. Il primogenito di Tonino ‘o sicco fu fermato dalla Guardia di Finanza mentre transitava per le strade del comune di Torre Annunziata, a bordo di una Smart guidata da un’altra persona.

Trovato in possesso di una Beretta calibro 9×21 con matricola abrasa e colpo in canna, nascosta sotto al sedile passeggero sul quale era seduto proprio Umberto, le fiamme gialle sequestrano anche 445 euro in contanti, un grammo e mezzo di marijuana e tre telefoni cellulari.

Un arresto che probabilmente ha salvato la vita al giovane rampollo di casa De Luca Bossa che da diversi mesi era finito nel mirino dei sicari del clan De Micco. 

I “Bodo”, i leader della scena camorristica ponticellese in quel periodo, si erano convinti che a capo dell’alleanza nata tra i clan in declino di Napoli est, ci fosse proprio lui, Umberto De Luca Bossa, il figlio di Tonino ‘o sicco. 

Una convinzione che si tramuta in un’incrollabile certezza, all’indomani dell’omicidio del boss dei Barbudos del Rione Sanità Raffaele Cepparulo, amico di Umberto, e che proprio per questo motivo era approdato nel Lotto O di Ponticelli, a caccia di un rifugio sicuro per sfuggire ai nemici del clan Vastarella. L’agguato si consuma proprio nel circolo ricreativo di proprietà di Umberto De Luca Bossa e questo induce i De Micco a credere che sia stato proprio il primogenito di ‘o sicco a consegnare ai killer le coordinate utili per stanare “Ultimo”, questo il soprannome del leader dei Barbudos che si definiva “l’ultimo predestinato” a sopravvivere alle faide in atto su tutto il territorio partenopeo e che quindi ben presto sarebbe diventato l’unico ed incontrastato boss dell’intera città di Napoli.

Un sogno di gloria stroncato sul nascere da Michele Minichini detto tiger, cugino di Umberto, condannato all’ergastolo per quell’omicidio. Un agguato che porta la firma dei clan alleati che decretano la morte di Cepparulo perchè stava cercando di tessere rapporti con i Mazzarella e i De Micco, costituendo un pericolo tangibile per il sodalizio camorristico composto dai De Luca Bossa, i Minichini, i Rinaldi, le “pazzignane” per ritornare in auge, dopo anni trascorsi in sordina e in balia dei clan meglio equipaggiati.

A rappresentare gli interessi del clan del Lotto O all’interno dell’alleanza, però, non è il primogenito di Tonino ‘o sicco, ma sua sorella Anna. Una deduzione errata, dunque, quella dei De Micco, che costituisce una concreta minaccia per Umberto, ancor più all’indomani di quell’omicidio che conferma al clan egemone a Ponticelli la presenza di un nuovo focolaio camorristico.

Probabilmente, i De Micco puntano Umberto De Luca Bossa anche per infliggere una dura stangata alla cosiddetta “camorra emergente”, stroncandone sul nascere ambizioni e velleità mettendo a segno un omicidio eclatante.

L’estate del 2016, per questo motivo, si rivela particolarmente rovente tra i grigi e fatiscenti palazzoni del Lotto O, dove a notte fonda, in più di una circostanza, si registrano incursioni armate dei guerriglieri dei De Micco, animati proprio dall’intento di stanare Umberto.

Il giovane è consapevole di essere in pericolo e inizia una vita da nomade, elemosinando rifugio e protezione ai parenti ben più forgiati ai rischi della camorra. In primis, trova riparo e protezione tra le mura di casa Minichini, dove la presenza di suo cugino Michele gli assicura sogni tranquilli.

Umberto non dispone della tempra e della maturità camorristica necessarie per ereditare le redini del clan fondato dal padre, ne sono consapevoli i membri della famiglia e dell’alleanza, per questo lo tutelano e lo estromettono. Tagliato fuori dal clan di famiglia, a Umberto viene dato il contentino affidandogli “faccende di entità minore”, come la gestione del circolo ricreativo che giace ai piedi del Plesso P4, l’arsenale della famiglia De Luca Bossa, teatro dell’agguato costato la vita a Cepparulo, ma anche all’innocente Ciro Colonna, un ragazzo di 19 anni.

Il giovane, però, non recepisce di buon grado l’estromissione dagli affari che contano e freme e scalpita per rivendicare il posto che gli spetta di diritto, in quanto primogenito del fondatore del clan. 

L‘omicidio del fedelissimo Salvatore Solla poco prima di Natale, condanna Umberto ai domiciliari forzati: il pericolo che incombe sulla sua vita, diventa sempre più concreto, ma i killer dei Bodo non rappresentano l’unica minaccia che rischia di minare la libertà del giovane. Pochi giorni dopo l’omicidio Solla, la squadra anticrimine del commissariato di Polizia di Ponticelli perquisisce l’abitazione di Umberto De Luca Bossa da cima a fondo: i poliziotti cercano un’arma, ma non riescono a trovarla. 

Verosimilmente, pochi giorni dopo, quella pistola verrà ritrovata dalle fiamme gialle che arresteranno il primogenito di Tonino ‘o sicco.

Il giovane teme il carcere al pari dei sicari della camorra e tutto il rione assiste alle liti violente che si consumano in casa De Luca Bossa e che ben spiegano la volontà indomabile di Umberto di agire, seppur contrastato dai familiari che temono per la sua incolumità.

Probabilmente, proprio perchè sa di non poter contare sull’appoggio del clan di famiglia, Umberto decide di uscire di casa per recarsi a Torre Annunziata, forse a caccia di nuovi alleati, disposti a garantirgli appoggio in un’ipotetica guerra contro i De Micco. Una guerra che i clan alleati hanno sventato fino alla fine per poi approfittare di una circostanza fortuita che ha favorito la loro ascesa: l’arresto delle figure-simbolo del clan a novembre del 2017.

Di tutt’altro avviso Umberto, intenzionato a riappropriarsi dei suoi spazi e forse anche desideroso di dimostrare di essere il degno erede del temuto e sanguinario boss Antonio De Luca Bossa, abbandonerà la sua abitazione in pochissime circostanze, una delle quali risulterà fatale, proprio perchè verrà tratto in arresto.

Una vicenda sulla quale aleggia una leggenda metropolitana secondo la quale sarebbe stato proprio il padre di Umberto, Tonino ‘o sicco, ad ordinare di farlo arrestare, per due valide ragioni: in primis, per salvargli la vita, e poi per consentire alla carcerazione di temprare ed incattivire il suo carattere, consentendogli così di maturare la stoffa da leader della camorra. Un rumors al quale si aggiunge un’altra suggestione: ‘o sicco avrebbe dato disposizione ai suoi fedelissimi di fare in modo che l’arresto avvenisse lontano da Ponticelli per evitare che a mettergli le manette fossero proprio gli “odiati” poliziotti della squadra anticrimine. “Tutti, tranne Vittorio ‘o guardie” – riferendosi al sostituto commissario Vittorio Porcini – questo il monito con il quale ‘o sicco avrebbe impartito l’ordine che poi avrebbe portato all’arresto di suo figlio, secondo il rumors che da allora serpeggia nell’arsenale dei De Luca Bossa.

L’unico dato certo è che in quella circostanza, Umberto viene arrestato per la seconda volta dopo che, poco più che 18enne, nell’estate del 2011 accoltella un coetaneo su un treno della circumvesuviana diretto a Sorrento, al culmine di una lite per futili motivi. 

Un arresto che, di fatto, “solleva” la famiglia De Luca Bossa dalla paura e dalla responsabilità di monitorare le gesta del giovane ribelle ed irriverente e che consente ai clan alleati di organizzarsi in sordina e con discrezione, senza temere colpi di testa o azioni spropositate.

Dopo 2 anni e 8 mesi, a settembre del 2019, Umberto viene scarcerato e ben presto dimostra che in effetti il periodo trascorso in carcere è servito a rafforzarne lo spessore camorristico: rivendica così il posto che gli spetta di diritto a capo del clan di famiglia, fino a quel momento gestito dallo zio Giuseppe, dando così il via alla seconda era del clan De Luca Bossa che durerà all’incirca un anno e principalmente segnata da violente estorsioni a tappeto.

Ad ottobre del 2020, in barba ai suoi 27 anni, il primogenito di ‘o sicco è stato arrestato per la terza volta.

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