Verrà tramandato ai posteri come il camorrista più social di tutti i tempi, Domenico Amitrano detto Mimì, arrestato insieme a Giuseppe ed Umberto De Luca Bossa e ad altre 5 persone, lo scorso lunedì 26 ottobre, nell’ambito di un’operazione congiunta tra polizia e carabinieri che ha decapitato il sodalizio camorristico che dal 2018 era riuscito ad imporre la propria egemonia a Ponticelli. Un sodalizio del quale Domenico Amitrano era parte integrante, oltre ad essere il tassello più chiacchierato.
Classe 1975, Domenico Amitrano ha compiuto 45 anni lo scorso 16 settembre regalando a Ponticelli una notte contornata da fragore, musica e spettacoli pirotecnici. Una festa in pompa magna celebrata nel Lotto O, il bunker dei De Luca Bossa, a riprova di quanto fosse solido il legame tra le parti, malgrado le “vecchie ruggini” nate quando a capo della cosca vi era Antonio De Luca Bossa detto “Tonino ‘o sicco”, sanguinario macellaio della camorra di Napoli est, oggi detenuto al 41 bis e condannato all’ergastolo per l’omicidio di Luigi Amitrano, nipote del boss Vincenzo Sarno e marito della figlia di Luigi Piscopo, ma soprattutto cugino di Mimì.
Tonino ‘o sicco aveva deciso di scindersi dal clan Sarno e intendeva farlo mettendo la firma su un attentato eclatante: per questo ordinò ai suoi gregari di posizionare un ordigno esplosivo nel ruotino di scorta dell’auto di Luigi Amitrano, nipote ed autista del boss Vincenzo Sarno, reale obiettivo dell’agguato pianificato dal sanguinario boss del Lotto O. Qualcosa, però, andò storto e la bomba esplose mentre Luigi Amitrano transitava lungo via Argine, mentre rientrava a casa dopo aver trascorso la serata all’ospedale Santobono di Napoli, al capezzale di sua figlia di 4 anni.
Il 25 aprile del 1998, Amitrano esce di casa alle 20.30, proprio in compagnia di suo cugino, Domenico Amitrano. Pochi minuti dopo, i due vengono fermati da una pattuglia della polizia. Tuttavia, gli agenti non trovano nulla a bordo della sedici valvole blindata. Amitrano si allontana dal posto di blocco e si fionda nel reparto di pediatria dove è ricoverata dal giorno precedente sua figlia Rita.
Amitrano lascerà l’ospedale intorno alle 23: una tempistica calcolata alla perfezione dai killer che entrano in azione nel parcheggio, forzano il portabagagli e posizionano l’ordigno telecomandato all’interno di una ruota di scorta, intorno alle 21.
L’auto blindata non basta: Amitrano muore sul colpo, carbonizzato nell’incendio, quando l’ordigno esplode intorno alle 23.30.
Mimì Amitrano, quella sera, doveva rincasare insieme al cugino Luigi ed è sopravvissuto a quell’attentato solo per una fortuita casualità.
Quella sera, infatti, diversi parenti erano accorsi all’ospedale Santobono, non appena si ebbe notizia del ricovero della figlia di Luigi Amitrano. Suo cugino Mimì che aveva raggiunto l’ospedale insieme a lui, a bordo di quella auto mandata in frantumi dall’attentato pianificato dai De Luca Bossa, lasciò l’ospedale insieme a Pasquale Bevilacqua, dando a suo cugino Luigi la possibilità di trattenersi ancora al capezzale di sua figlia.
Solo per questo motivo, Domenico Amitrano oggi è ancora vivo.
Tanto basta a spiegare perché la sua scelta di allearsi con il clan De Luca Bossa ha destato scalpore ed indignazione, creando una frattura profonda tra i vari membri della famiglia che tutt’oggi soffrono per la morte violenta del giovane Luigi Amitrano, a dispetto dei decenni trascorsi e che per questo hanno condannato duramente quell’alleanza.
Sono tante e varie le suggestioni che aleggiano intorno alla figura di Mimì Amitrano.In primis, seppure gli inquirenti fossero certi che i sicari entrati in azione a bordo di uno scooter per uccidere Pasquale Palermo fossero Domenico Amitrano e Vincenzo Cece, solo quest’ultimo venne menzionato dai collaboratori di giustizia e, di fatto, condannato. I pentiti avrebbero “risparmiato ” Domenico Amitrano per espressa volontà di Vincenzo Sarno che lo avrebbe graziato per un motivo ben preciso: una volta tornato in libertà, dopo aver scontato una pena per reati minori, sperava che Mimì potesse compiere quella vendetta utile a sanare la ferita generata dalla morte violenta di Luigi Amitrano.
Un desiderio di vendetta legittimato anche da un altro dettaglio, tutt’altro che di poco conto: una volta uscito dal carcere, Domenico Amitrano avrebbe potuto optare per un’altra alleanza che lo avrebbe fatto approdare alla corte dei De Micco, sfruttando un canale privilegiato, ovvero, il vincolo di parentela che intercorre tra sua moglie e Davide Pirncipe, fedelissimo del clan dei tatuati.
Invece, Mimì ha trascorso gli ultimi due anni a sbandierare sui social network il patto di ferro che lo lega a filo doppio ai De Luca Bossa. Chiacchieratissime le dirette e le stories su facebook e Instagram, sullo scooter con Peppino De Luca Bossa, fratellastro dell’artefice della morte di suo cugino Luigi.
I due ras hanno dimostrato che nel 2020 la camorra muove le pedine sul suo scacchiere anche così: tra linguacce e fragorose risate, sprezzanti della pioggia di critiche e sentimenti iracondi che scaturisce dalla visione di quelle immagini, nei cuori di chi ancora non trova pace per la morte del giovane Luigi Amitrano.
Peppino De Luca Bossa e Mimì Amitrano hanno insegnato all’opinione pubblica che per gli interpreti del “sistema” non è importante per quanto tempo resti al comando, ma come spendi il tempo vissuto da leader della camorra.
Un feeling, quello tra i due ras di Ponticelli che va ben oltre il mero interesse per gli affari, così come comprova la vacanza trascorsa in Sicilia ad agosto 2020, ampiamente documentata sui social network.
Un’altra immagine che ha sancito un punto di non ritorno sul fronte camorristico ponticellese è quella che immortala Mimì Amitrano accanto ad Umberto De Luca Bossa, figlio di Tonino ‘o sicco, all’indomani della scarcerazione di quest’ultimo, avvenuta a settembre del 2019. Il giovane, non appena è tornato in libertà, ha preteso che suo zio Giuseppe gli cedesse il posto che gli spettava di diritto al vertice del clan di famiglia. Facendosi fotografare in quella posa, mentre tiene una mano sulla spalla del nuovo compare di suo zio, Umberto conferma, rilancia e consolida quell’alleanza con il cugino della vittima di quell’agguato per il quale suo padre è stato condannato all’ergastolo in via definitiva.
Un coltello che taglia una lingua: questa l’immagine del profilo di Instagram di Mimì Amitrano, blindatissimo e aperto solo alle “persone giuste”, quelle che devono sbirciare quello che i nuovi amici ed alleati a capo di Ponticelli vogliono che si sappia negli ambienti malavitosi. Un’immagine che condanna “i pentiti” e la scelta di rinnegare la camorra per allearsi con lo Stato.
Se il suo profilo Instagram è top secret, quello di facebook è invece platealmente aperto a tutti ed è attraverso quel canale che Amitrano ha documentato minuziosamente il suo percorso camorristico negli ultimi due anni, a suon di dirette e storie dai contenuti tutt’altro che causali che gli consegnano di diritto il titolo di “camorrista più social di tutti i tempi”.
Amitrano s’identifica nella tigre: questa l’emoticon che lo rappresenta sui social, questo l’animale che ostenta sul braccio destro e sulle t-shirt.
Un animale che negli ambienti malavitosi di Napoli est viene però più facilmente attribuito ad un elemento di spicco della malavita: Michele Minichini.
“‘O tigre” o “tiger”, questo il soprannome del giovane killer
condannato all’ergastolo per l’omicidio del boss dei Barbudos Raffaele Cepparulo e che porta scalfito sul capo il tatuaggio di una tigre con le fauci spalancate. Motivo per il quale, tutte le volte che è entrato in azione per mettere la firma su omicidi, stese e raid intimidatori,
Minichini non ha mai coperto il capo: voleva essere riconosciuto, voleva che tutti lo vedessero. L’ostentazione di un’icona, simbolo di forza e ferocia, quasi a voler indicare un passaggio del testimone:
con Minichini relegato in carcere e costretto ad incassare il fine pena mai, Amitrano lancia una sorta di segnale di continuità, seppure la sua tempra camorristica sia ben più morigerata di quella del figlio del boss Ciro Minichini. più avvezzo a parlare con i fatti che con le parole.
Sui social Amitrano lancia anche messaggi di sfida, ben codificati e facili da decifrare per chi deve comprendere quello che il ras vuole dirgli. Si avvale di toni fortemente provocatori e non manca di ostentare lo sfarzo e il lusso della “vita da ras”: dalle giornate trascorse tra spa e ristoranti stellati ai regali costosi per moglie e figlie.
Tantissimi anche i momenti di dolcezza a suon di dediche strappalacrime rivolte alla moglie. Per la serie: “anche i camorristi amano”.
E poi c’è il Rione De Gasperi: un luogo fatiscente e degradato, ma che per un ras come Amitrano, simboleggia il punto cruciale di una storia ben precisa. La roccaforte dei Sarno, quel clan che per oltre un trentennio ha tenuto sotto scacco l’intero entroterra vesuviano, spingendosi fino al ventre caldo della città di Napoli. Un clan impossibile da emulare, le cui gesta riecheggiano ancora con compianta malinconia tra i relitti di quei palazzi.
Come detto, Amitrano si è fatto promotore di una politica camorristica ben precisa, incentrata sulla qualità del tempo trascorso in veste di leader e non della quantità.
Per questo, probabilmente, ad Amitrano sarà bastato guardare quel rione dall’alto verso il basso per il limitato tempo vissuto ai vertici del clan che ha detenuto il controllo del quartiere Ponticelli dal 2018 fino allo scorso lunedì, anche se questo ha voluto dire fingere di non sentire i sospiri e le lacrime che ancora riecheggiano tra le rovine di quei palazzi, insieme al ricordo di suo cugino Luigi.