Una realtà ben nota agli abitanti di Ponticelli, quella introdotta negli ultimi tempi dalla politica camorristica adottata dal clan De Luca Bossa.
Il clan del Lotto O, egemone dal 2018, ovvero da quando sono scattate le manette per le figure-simbolo dell’alleanza tra i clan di Napoli est, accusate a vario titolo dell’omicidio del boss dei Barbudos Raffaele Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna, ha mantenuto il controllo delle attività illecite, permettendo alla bandiera dei De Luca Bossa di tornare a sventolare su Ponticelli, dopo lunghi decenni bui, pieni di umiliazioni e ristrettezze.
Durante il periodo di detenzione di Umberto De Luca Bossa, le redini del clan di famiglia sono passate tra le mani di Giuseppe De Luca Bossa, fratello di Tonino ‘o sicco, ma non appena è tornato in libertà, il primogenito di Tonino ‘o sicco ha immediatamente rivendicato velleità da boss, pretendendo di occupare il posto che gli spettava di diritto, in quanto figlio del fondatore dell’omonimo clan.
Un anno intenso e ricco di avvenimenti per il giovane rampollo di casa De Luca Bossa che fin da subito ha compreso che quella scarcerazione fosse nata sotto una cattiva stella: durante la prima sera trascorsa a fare baldoria con amici e parenti per festeggiare la ritrovata libertà, con il Lotto O bardato a festa e irradiato dal fragore dei tanti fuochi d’artificio esplosi per suggellare il lieto evento, a rovinare il baccanale giunsero i carabinieri per effettuare degli accertamenti, ma soprattutto per consegnare al giovane e alle sue reclute la consapevolezza di avere i riflettori delle forze dell’ordine puntati addosso.
Una scarcerazione avvenuta contestualmente al diffondersi di una notizia che ha turbato e non poco gli equilibri della malavita locale: il pentimento di Tommaso Schisa, primogenito dell’ex Sarno Roberto Schisa e della donna-boss Luisa De Stefano, figura apicale dell’alleanza nata tra i clan in rovina di Napoli est. Un pentimento destinato a generare una pioggia di arresti: troppe le informazioni di cui dispone il giovane Schisa per non temere che lo scenario camorristico ponticellese sia destinato ad essere stravolto.
Umberto De Luca Bossa, quindi, ha sempre saputo di essere un bersaglio sensibile su più versanti e per questo ha inizialmente deciso di non esporsi, relegando alla manovalanza il “lavoro sporco”. Erano gli scagnozzi del clan a praticare le estorsioni, così come comprovato dagli arresti avvenuti lo scorso anno.
Tuttavia, dopo il lockdown, qualcosa è cambiato.
La nascita di nuovi focolai camorristici in diversi punti caldi del quartiere, spesso teatri di “stese” e raid intimidatori, hanno “costretto” il giovane boss a “metterci la faccia” per non compromettere la sua credibilità di leader del clan egemone a Ponticelli.
In questo contesto, con altri giovani aspiranti boss che a suon di spari rivendicano soldi e potere, e con il pericolo dell’arresto dietro l’angolo, il primogenito di Tonino ‘o sicco ha tentato il tutto per tutto, impartendo un’ordine ben preciso: estorsioni a tappeto. Nessun esente, nessun escluso: tutti, a Ponticelli, hanno vissuto mesi infernali, stretti nella morsa del ricatto estorsivo praticato dai De Luca Bossa.
L’intento del 26enne boss era quello di soddisfare l’esigenza che accomuna tutti i clan in fase di declino: racimolare il maggior quantitativo di denaro per fronteggiare le tante esigenze consequenziali agli arresti.
In quest’ottica, a Ponticelli, sono maturate estorsioni senza precedenti storici che hanno sfatato vecchi tabù che la camorra aveva introdotto in tempi non sospetti e che mai erano stati violati.
In particolare, in più di una circostanza, il ras del Lotto O e i suoi fedelissimi, avrebbero imposto a diverse famiglie estranee alle dinamiche malavitose il pagamento di un’ingente somma per continuare a vivere nelle loro case.
In una circostanza, in seguito al diniego di vedersi corrispondere i 5mila euro richiesti, De Luca Bossa e company tentarono di occupare di forza un appartamento con l’intento di “punire” quella famiglia e successivamente esplosero diversi colpi d’arma da fuoco contro la stessa abitazione. Un colpo di pistola perforò la cucina-veranda dell’abitazione, conficcandosi nella parete interna dell’abitazione con il concreto rischio di colpire uno dei componenti della stessa famiglia.
Una condotta che ha generato malcontento ed indignazione perfino tra gli interpreti della malavita locale che hanno aspramente condannato le angherie del giovane boss del Lotto O di Ponticelli tradotto in carcere quest’oggi, a distanza di 13 mesi dal suo ritorno in libertà.