All’indomani del tanto atteso e discusso ritorno tra i banchi, a regnare nei discorsi e nelle chat dei genitori è ancora la paura, soprattutto per le sorti dei bambini.
Come regolarsi davanti a una forma di “semplice” raffreddamento? Quando è opportuno che il bambino resti a casa? Sono solo alcune delle domande che rimbombano nella mente dei genitori italiani.
A chiarire la situazione è il professor Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria, in un’intervista rilasciata al Sole 24ore: «La scuola sarà uno degli ambienti più sicuri perché sono state date delle regole chiare e precise e ci sarà chi controllerà che siano rispettate, personale docente e non docente.»
Se nella fase iniziale della pandemia i più piccoli sembravano essere quasi del tutto risparmiati dalle conseguenze del SARS-CoV-2; tuttavia, mano a mano, è apparso evidente come non fosse così, seppure il virus si manifesti in maniera assai meno grave nei più piccoli. Sul punto, uno studio fra tanti pubblicato di recente sul British Medical Journal, il più ampio realizzato finora in tutto il mondo, rassicura: il rischio di un ricovero in ospedale rimane bassissimo e lo spettro di conseguenze letali addirittura infinitesimale sia tra i più piccoli, sia tra i ragazzi fra i 10 e i 14 anni, incluse categorie potenzialmente più esposte per condizioni fisiche o sociali.
Anche se è doveroso non abbassare mai la guardia.
«Nel periodo epidemico si deve fare molta attenzione perché si ha il dovere di tutelare la salute propria e dei propri cari, ma si ha anche la responsabilità della salute delle persone con le quali si condivide la scuola, il lavoro, ogni tipo di attività. Chi non sta bene in salute non deve rischiare di contagiare altre persone». Detto questo, per il numero uno dei pediatri italiani che è anche membro del Comitato tecnico scientifico valgono gli stessi criteri di sempre e una dose di buon senso. «Se il bambino presenta una condizione che è il preludio a un peggioramento, e i genitori questo lo sanno, o se ha dei sintomi tali per i quali è meglio che sta a casa, sta a casa. In linea di massima la temperatura è sicuramente un elemento decisivo». Di per sé, la presenza di un po’ di secrezione non rappresenta una controindicazione. «Un bambino senza febbre ma che ha delle situazioni già note ai genitori deve lasciarli tranquilli. Se ha rinite acquosa, trasparente, fa qualche starnuto ma è un allergico, non c’è motivo di preoccuparsi». Soltanto nell’eventualità di manifestazione più marcate il ricorso al medico diventa una strada obbligata.
Il problema principale cui far fronte nasce dal fatto «che i sintomi con cui si manifesta l’infezione da SARS-CoV-2 sono comuni a tutte le infezioni respiratorie e in particolare alle forme influenzali e «non è possibile fare diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 solo in base ai sintomi clinici».Ma occhio a quando non si sentono più odori e sapori: anosmia e ageusia (mancanza di olfatto o del gusto) costituiscono segnali abbastanza tipici della malattia perché, precisa Villani, «sono rarissime le altre situazioni in cui questo si verifica». Il ministero della Salute ha elaborato, come ogni anno, una circolare dove è indicato chi deve praticare la vaccinazione anti-influenzale: agli anziani e ai soggetti con comorbilità si aggiungono anche i bambini tra 6 mesi e 6 anni. Perché «al di là di quello che possono fare agli altri, in termini di trasmissione del contagio, anche i bambini piccoli possono andare incontro a problemi seri con l’influenza quindi è giusto vaccinarli».
All’indomani del tanto atteso e discusso ritorno tra i banchi, a regnare nei discorsi e nelle chat dei genitori è ancora la paura, soprattutto per le sorti dei bambini.
Come regolarsi davanti a una forma di “semplice” raffreddamento? Quando è opportuno che il bambino resti a casa? Sono solo alcune delle domande che rimbombano nella mente dei genitori italiani.
A chiarire la situazione è il professor Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria, in un’intervista rilasciata al Sole 24ore: «La scuola sarà uno degli ambienti più sicuri perché sono state date delle regole chiare e precise e ci sarà chi controllerà che siano rispettate, personale docente e non docente.»
Se nella fase iniziale della pandemia i più piccoli sembravano essere quasi del tutto risparmiati dalle conseguenze del SARS-CoV-2; tuttavia, mano a mano, è apparso evidente come non fosse così, seppure il virus si manifesti in maniera assai meno grave nei più piccoli. Sul punto, uno studio fra tanti pubblicato di recente sul British Medical Journal, il più ampio realizzato finora in tutto il mondo, rassicura: il rischio di un ricovero in ospedale rimane bassissimo e lo spettro di conseguenze letali addirittura infinitesimale sia tra i più piccoli, sia tra i ragazzi fra i 10 e i 14 anni, incluse categorie potenzialmente più esposte per condizioni fisiche o sociali.
Anche se è doveroso non abbassare mai la guardia.
«Nel periodo epidemico si deve fare molta attenzione perché si ha il dovere di tutelare la salute propria e dei propri cari, ma si ha anche la responsabilità della salute delle persone con le quali si condivide la scuola, il lavoro, ogni tipo di attività. Chi non sta bene in salute non deve rischiare di contagiare altre persone». Detto questo, per il numero uno dei pediatri italiani che è anche membro del Comitato tecnico scientifico valgono gli stessi criteri di sempre e una dose di buon senso. «Se il bambino presenta una condizione che è il preludio a un peggioramento, e i genitori questo lo sanno, o se ha dei sintomi tali per i quali è meglio che sta a casa, sta a casa. In linea di massima la temperatura è sicuramente un elemento decisivo». Di per sé, la presenza di un po’ di secrezione non rappresenta una controindicazione. «Un bambino senza febbre ma che ha delle situazioni già note ai genitori deve lasciarli tranquilli. Se ha rinite acquosa, trasparente, fa qualche starnuto ma è un allergico, non c’è motivo di preoccuparsi». Soltanto nell’eventualità di manifestazione più marcate il ricorso al medico diventa una strada obbligata.
Il problema principale cui far fronte nasce dal fatto «che i sintomi con cui si manifesta l’infezione da SARS-CoV-2 sono comuni a tutte le infezioni respiratorie e in particolare alle forme influenzali e «non è possibile fare diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 solo in base ai sintomi clinici».Ma occhio a quando non si sentono più odori e sapori: anosmia e ageusia (mancanza di olfatto o del gusto) costituiscono segnali abbastanza tipici della malattia perché, precisa Villani, «sono rarissime le altre situazioni in cui questo si verifica». Il ministero della Salute ha elaborato, come ogni anno, una circolare dove è indicato chi deve praticare la vaccinazione anti-influenzale: agli anziani e ai soggetti con comorbilità si aggiungono anche i bambini tra 6 mesi e 6 anni. Perché «al di là di quello che possono fare agli altri, in termini di trasmissione del contagio, anche i bambini piccoli possono andare incontro a problemi seri con l’influenza quindi è giusto vaccinarli».