Rione Incis, Rione Fiat e Lotto 10: questi gli arsenali sui quali sventola ancora la bandiera dei “Bodo”.
Una fetta di quartiere piuttosto cospicua, della quale i De Luca Bossa non hanno saputo appropriarsi, malgrado la disfatta del clan, consequenziale al blitz della Polizia di stato che nel novembre del 2017 decretò la fine dell'”era dei Bodo” a Ponticelli, facendo scattare le manette per le figure-simbolo del clan fondato dai fratelli Marco, Salvatore e Luigi De Micco per colmare il vuoto di potere generato dal declino del clan Sarno.
Un territorio difeso con le unghie e con i denti, fin dai primi istanti successivi agli arresti del 28 novembre 2017, quando le giovani reclute del clan, rimaste a salvaguardare interessi ed onore della cosca dei tatuati, diedero il via ad una nuova stagione di spari, andando a compiere una “stesa” nella zona delle “pazzignane” del Rione De Gasperi in replica alla richiesta delle donne a capo dello stesso clan di non corrispondere più il pizzo sulle piazze di droga da loro gestite.
Il primo di una lunga serie di sussulti che si sono alternati, senza esclusione di colpi, da una parte e dall’altra.
Su un fronte, i clan alleati, che fino a quando hanno potuto contare sul livore camorristico di Michele Minichini e di altre “cattive reclute”, sono riusciti a contrastare i rivali ubicati sull’altro fronte che convergono in una temibile sigla: “XX”.
Una sigla riconducibile al clan De Martino, costola dei De Micco che tuttora dispone di giovani temibili e sanguinari, pronti a tutto pur di non cedere neanche un centimetro di territorio ai nuovi padroni di Ponticelli.
Una guerra sena esclusione di colpi, stroncata, ancora una volta da un’operazione delle forze dell’ordine che ha tradotto in carcere 8 figure di spicco del sodalizio camorristico tornato in auge dopo la resa dei De Micco.
Michele Minichini e sua madre Cira Cepollaro, la lady camorra del Lotto O, Anna De Luca Bossa, “le pazzignane” Luisa De Stefano e Vincenza Maione, il boss del rione Villa Ciro Rinaldi: questi gli arresti che hanno notevolmente compromesso i sogni di gloria dei clan alleati di Napoli est, privando il sodalizio camorristico di pedine fondamentali. Ragion per cui, secondo quanto confermato da fonti investigative, il posto più autorevole in cabina di regia, lo ha occupato prima Giuseppe De Luca Bossa, fratello di Antonio detto Tonino ‘o sicco, fondatore dell’omonimo clan attualmente detenuto, e dopo Umberto, primogenito di quest’ultimo, scarcerato nel settembre del 2019.
Un giovane tornato in libertà dopo un periodo trascorso in carcere e che ha trovato ad attenderlo una situazione ben diversa rispetto a quella che aveva lasciato quando per lui sono scattate le manette: un clan alla ribalta che ha scongiurato il pericolo di soccombere alle angherie dei De Micco senza impelagarsi in quella guerra che lui per primo ha schivato in tutti i modi.
Non è un segreto che prima dell’arresto, il giovane rampollo di casa De Luca Bossa era finito nel mirino dei De Micco, convinti che ricoprisse un ruolo di primo ordine tra le fila del clan. I Bodo erano intenzionati ad uccidere Umberto De Luca Bossa per stroncare sul nascere le velleità del clan. Ne era consapevole in giovane che non usciva quasi mai di casa e quando lo faceva era sempre scortato, soprattutto inseguito all’omicidio di Salvatore Solla che pagò con la vita il diniego di corrispondere ai De Micco il pizzo sulle piazze di spaccio gestite nel Lotto O. Per un periodo di tempo, Umberto trovò ospitalità e protezione anche a casa di Michele Minichini. ‘O tigre sì che era in grado di salvaguardare la sua incolumità, perchè a sua differenza, possedeva la tempra del camorrista, necessaria per mettere in guardia i temibili “Bodo”.
Il cruccio più grande di ‘o sicco dietro le sbarre era proprio l’acerba inesperienza del suo primogenito, unitamente a quell’assenza di ferocia criminale, che lo portava a temere per la sua incolumità. Tant’è vero che negli ambienti in odore di camorra si vocifera che fu proprio il padre ad ordinare che il figlio venisse arrestato, sottraendolo così dal mirino dei cecchini dei De Micco.
Un arresto provvidenziale che ha quindi salvato la vita ad Umberto e gli ha consentito di praticare quel genere di “Palestra” che tempra il carattere di un camorrista: il carcere.
In effetti, dopo la detenzione, il rampollo del clan del Lotto O, ha subito dimostrato di avere le idee chiare, intimando allo zio Giuseppe di consegnargli quel posto di rilievo a capo del clan fondato da suo padre, chiedendogli quindi di farsi da parte.
Il giovane, però, continua a palesare i limiti dettati dalla sua inesperienza: le reclute a suo servizio fanno “il lavoro sporco” percependo uno stipendio “da fame”, 200 euro a settimana. Una situazione che genera rumors e malcontenti, poichè dal suo canto, l’aspirante nuovo boss del Lotto O e la sua famiglia se la passano più che bene, ostentando lusso e un tenore di vita agiato. Una politica che dissemina malumori tra le fila del clan, unitamente all’atteggiamento di Umberto De Luca Bossa, mal recepito anche da altri membri della stessa alleanza, in primis dai “barresi” che il giovane avrebbe ridimensionato, impedendogli di prendere decisioni, perchè quando il clan De Luca Bossa era in difficoltà, non hanno percepito aiuti nè da loro nè da altri.
Umberto De Luca Bossa vuole tutto solo per lui: un atteggiamento che attira inimicizie ed antipatie. Se tra i palazzoni grigi del Lotto O e in altri scampoli di quartiere in cui la supremazia del clan De Luca Bossa è riconosciuta e temuta, è lui, invece, a temere quei giovani, feroci e spietati, che continuano ad alimentare la leggenda di “XX”.
Giovani soldati della camorra, cresciuti ed addestrati come veri e propri soldati, militarizzati, spietati, con un’ottima mira e il sangue freddo necessario per puntare senza esitazioni un’arma contro un bersaglio umano ed andare a segno: ragioni più che valide per temere lo scontro con gli “XX”.
Tant’è vero che le giovani reclute raggruppate in quella sigla e riconducibile al clan De Micco-De Martino, detengono il controllo dei loro arsenali. Il Rione Incis, il Rione Fiat e il Lotto 10 non rientrano nelle competenze territoriali dei De Luca Bossa. Un’autonomia rivendicata e consacrata dagli “XX” a suon di spari e raid intimidatori.
Uno smacco per il primogenito di ‘o sicco che non impugnerà mai le armi per contrastare gli “XX”, perchè consapevole che non sarebbe lui ad avere la meglio.
Di contro, in vista di possibili ed imminenti scarcerazioni di diverse reclute dei De Micco, lo scenario potrebbe clamorosamente ribaltarsi e gli “XX” potrebbero irrompere sulla scena camorristica per tornare ad imporre l’egemonia del clan dei tatuati.
Sempre se, a determinare l’ennesimo colpo di scena, non sopraggiunga prima l’ennesimo arresto. Ipotesi tutt’altro che remota, considerando che la magistratura sta setacciando le dichiarazioni rese da Tommaso Schisa, figlio della “Pazzignana” Luisa De Stefano e dell’ex Sarno Roberto Schisa, più che ben informato sulle dinamiche camorristiche ponticellesi.