L’emergenza coronavirus ha generato un mix esplosivo di criticità che non espongono la popolazione al solo pericolo di contrarre il virus. L’esasperazione dello stato di povertà delle cosiddette fasce deboli, generato dal lockdown e dalla zoppicante ripresa dell’economia, ha innescato una letale arma a doppio taglio che porta migliaia di facili bersagli a finire nel mirino della camorra.
Se la prima fase della pandemia e del consequenziale lockdown sono stati animati da un’ondata di solidarietà che ha visto tantissimi gruppi di volontari rimboccarsi le maniche per distribuire aiuti umanitari a chi faticava perfino a reperire quanto necessario per sopravvivere, con il passare del tempo, questa politica è andata scemando, seppure lo stato di difficoltà dei meno abbienti fosse tutt’altro che superato, inducendo così il tessuto sociale più povero e disperato a prestare il fianco scoperto alle organizzazioni criminali.
Una ghiotta ed irripetibile occasione per la camorra che ha fiutato in quella crisi di portata globale, la palpabile opportunità di speculare sulle sciagure dei poveri per trarre plurimi benefici.
Nella gestione dei negozi di alimentari e delle salumerie “abusive” che pullulano nei rioni di edilizia popolare delle periferie napoletane, in particolare, sono subentrati personaggi di spicco della malavita locale o prestanome che curano il “business d’oro” del momento per conto dei clan.
In questo modo la camorra può dare libero sfogo alla sua finta magnanimità permettendo anche alle famiglie più bisognose di fare la spesa “a credito”, annotando sul “Libro nero” del clan la somma da corrispondere, convinti che quando disporranno del denaro necessario, potranno saldare il debito.
In realtà, saranno costretti ad elargire una cifra ben più elevata di quella segnata per cancellare il loro nome dall’elenco nel quale nessuna persona onesta meriterebbe di finire, complici gli esorbitanti tassi di interesse applicati alle “spese della camorra”.
In questo modo, inoltre, per la camorra è molto più facile entrare in contatto e in empatia con il tessuto sociale più povero e quindi più disperato, potendogli prospettare con estrema disinvoltura la possibilità di un prestito che potrebbe sancire una vera e propria condanna a morte per chi in questo momento è talmente disperato da scendere a compromessi con la criminalità organizzata.
Un prestito che non potranno mai restituire, complici, ancora una volta, i tassi di interesse esorbitanti applicati dagli esattori della camorra e che, probabilmente, i clan locali potrebbero contrarre per vedersi corrispondere altre forme di ricompensa.
I clan necessitano principalmente e perennemente di manovalanza: negli arsenali della camorra, i casting per la chiamata alle armi sono perennemente aperti. I giovani, disperati, disoccupati e a caccia di una collocazione che possa sfamare le famiglie e al contempo garantirgli quella tanto ambita forma di autonomia, rappresentano l’obiettivo principale degli emissari dei clan che proprio in questo momento storico così difficile hanno fiutato la possibilità di mettere in piedi un vero e proprio esercito.
L’intento potrebbe essere più facilmente perseguibile circuendo madri disperate e pronte a tutto pur di fare la spesa. Di contro, i figli farebbero di tutto per sottrarre le madri dalla morsa della camorra, soprattutto se in quel vortice pericoloso ci sono finite per rimediare il necessario per sfamarli.
Attraverso la strategia attuata durante questo momento di emergenza, inoltre, la malavita locale potrebbe conquistare una serie infinita di benefici. Oltre ai tanto ambiti “soldati della camorra”, potrebbero disporre di insospettabili covi dove nascondere armi e droga, servendosi delle abitazioni delle famiglie oneste, oltre che di corrieri di armi e droga incensurati, camerieri, servi, sudditi, costretti ad obbedire a qualsiasi ordine e ad assecondare qualsiasi richiesta, perchè “in tempo di guerra” ci ha pensato “l’anti-stato” a salvargli la vita, mentre lo Stato li ha abbandonati al loro triste status di indigenti.
Un momento storico che ha inoltre creato le premesse ottimali per consentire l’esplosione di uno dei business d’oro per eccellenza della malavita. Coltivato in tempi non sospetti, quando gli occhi dell’opinione pubblica e degli inquirenti erano puntati sulle più illustri attività illecite, la camorra, in silenzio, affinava i metodi e rifocillava le sue finanze investendo in un mercato apparentemente innocuo: la produzione e la vendita di detersivi contraffatti.
Ammorbidenti, igienizzanti, bagnoschiuma, shampoo, sapone, e tutte le vastissime versioni di detersivi per l’igiene della casa e della persona che rimpinguano gli scaffali delle mercerie e dei negozi “tutto 50 centesimi”, molto spesso, sono il prodotto finale di un “mercato parallelo” attrezzato dalla camorra per mettere le mani su un business redditizio che espone a pochi rischi, perchè difficile da sgominare.
La produzione dei detersivi da immettere sul mercato avviene all’interno di capannoni ed impianti abusivi, allestiti alla meno peggio per conseguire l’obiettivo primario: minimo spesa, massima resa. Un ciclo produttivo che, inoltre, genera posti di lavoro che la camorra può “mettere all’asta”, assicurandoli al miglior offerente o che può scegliere di utilizzare per ingraziare il popolo, accorrendo in aiuto di famiglie disagiate a caccia di soldi onesti. La fidelizzazione delle masse, passa anche attraverso dinamiche sottili e sommerse, come queste. Individuata la struttura da adibire a fabbrica abusiva di detersivi e selezionato il personale, reperire le materie prime è un gioco da ragazzi per gli interpreti della malavita che manifestano una certa dimestichezza con il mercato nero.
Una macchina affinata ad arte e che include anche la fedele riproduzione di flaconi ed etichette delle più celebri marche. Detergenti e detersivi preparati in barba alle norme sanitarie e alle rigide normative europee che prevedono il rispetto di direttive molto severe, sia per quanto riguarda la percentuale di composti chimici utilizzati, sia per le diciture da includere nelle etichette che contengono una serie di informazioni importanti. Un aspetto, quest’ultimo, molto spesso ignorato dall’acquirente.
Dunque, i lavoratori delle filiera del business dei detersivi contraffatti non dispongono delle competenze necessarie per ricoprire l’incarico. Non di rado, infatti, le forze dell’ordine hanno smascherato queste industrie del falso, in seguito ad incendi, talvolta scaturiti dall’assenza di impianti elettrici a norma o da banali incidenti che hanno portato alla rapida combustione dei liquidi utilizzati per la realizzazione dei prodotti. Anche questo genere di grane sono annoverate tra “i rischi del mestiere”.
In un ingranaggio così grossolano, ma al contempo meticoloso, nulla è lasciato al caso, nemmeno la scelta delle attività destinate alla vendita dei detersivi della camorra. Una delle conseguenze più visibili del boom di questo business illecito è la diffusione a macchia d’olio di rivendite di detersivi a prezzi low cost.
Mettendo a confronto due detersivi “identici”, uno “Made in camorra”, l’altro originale, una delle differenze più lampanti si riscontra proprio nel prezzo dimezzato.
Motivo per il quale, le offerte a “prezzi stracciati” richiamano l’attenzione di dozzine e dozzine di acquirenti. L’irrisorio prezzo del prodotto finale, inoltre, consente ai vari punti vendita di dare il via ad un “testa a testa” all’insegna del gioco a ribasso con articoli che arrivano ad esibire un prezzo scontato dell’80% rispetto a quello dello stesso prodotto realizzato dalla casa madre originale. Del resto, fornire merce a prezzi stracciati per la camorra è anche una forma di controllo sociale. Un’economia parallela che distrugge la concorrenza ed ammazza l’economia legale.
Buona parte dei prodotti vengono destinati agli ambulanti che si dilettano nella vendita delle più disparate mercanzie agli angoli delle strade, ma anche nei mercati, nei rioni e nei quartieri popolari, perfino nei supermarket e nei negozietti “insospettabili”.
La camorra, nel tempo, ha imparato a farsi scudo del mercato nero dei detersivi contraffatti per imporre il pizzo ai negozianti, intimandogli di rifornirsi attraverso il mercato del falso: soldi in cambio di merce, un passaggio che non lascia tracce e che accontenta tutti, tranne il consumatore che molto spesso ignora di acquistare – e di conseguenza di utilizzare – un prodotto non a norma, con tutti i rischi che questo comporta per la salute.
Un business d’oro che ha perfino attirato l’attenzione della mafia. Nel 2013, le indagini condotte dalla Guardia di Finanza, smascherarono l’asse Palermo-Napoli per lo smercio di droga e merce contraffatta. Tonnellate di prodotti contraffatti che partono da Napoli per finire nelle case dei siciliani.
Al cospetto dell’emergenza coronavirus, la camorra non ha dovuto fare altro che destinare un ramo della filiera alla produzione di alcool e igienizzante per le mani, introvabili sugli scaffali dei negozi nei più concitati momenti di isteria collettiva, per assicurarsi un facile introito ed affondare le grinfie su un mercato diventato ben presto saturo per i rivenditori ufficiali, ma non di certo per gli sciacalli della malavita che si dilettano a preparare solventi e soluzioni con ingredienti di fortuna.
Così, mentre il resto dell’Italia piange, la camorra se la ride, pensando ai tontoloni convinti di proteggersi dal coronavirus disinfettandosi le mani con igienizzanti fasulli che avrebbero potuto preparare autonomamente.