Il 3 luglio del 1983, a Ponticelli, si è consumato il delitto più brutale ed efferato della sua storia. Seppure il quartiere della periferia orientale di Napoli sia stato più volte teatro di sanguinarie faide di camorra, l’omicidio avvenuto quel giorno, ha segnato e scosso fortemente l’opinione pubblica, soprattutto perchè a perdere la vita furono due bambine di 7 e 10 anni.
I cadaveri di Barbara Sellini di 7 anni e Nunzia Munizzi di 10 anni furono ritrovati sovrapposti, gettati in un canale, tra le sterpaglie, come fossero immondizia. Le piccole furono trovate assassinate in un canalone non molto distante dalle loro abitazioni, sotto il cavalcavìa di un tratto autostradale, una delle discariche a cielo aperto più quotate della zona. Erano state sequestrate, seviziate, violentate e uccise. Quasi a voler tentare di cancellare ogni traccia di umanità dai loro piccoli corpi, l’omicida ha tentato anche di bruciarli. I cadaveri erano infatti semicarbonizzati.
Ad effettuare la macabra scoperta furono i carabinieri, allertati dopo la sparizione delle bimbe, la sera di sabato 2 luglio 1983 intorno alle 19.00 dal piazzale antistante le loro abitazioni, dove abitualmente si fermavano a giocare, nei pressi del Rione Incis, nel quartiere Ponticelli, periferia orientale di Napoli.
Seppure la testimonianza di un’amichetta delle due bimbe inchiodi un uomo che il giorno precedente alla scomparsa di Barbara e Nunzia avrebbe dato un appuntamento alle tre bambine per la sera successiva, ma la coetanea delle due bimbe non si presentò perché la nonna non le diede il permesso di uscire, gli inquirenti identificano in tre giovani gli autori del massacro.
Seppure il profilo psicologico e attitudinale di quell’uomo collimi perfettamente con le caratteristiche dell’assassino, del barbaro duplice omicidio, dopo le rivelazioni fornite ai carabinieri da un ragazzo del posto, furono condannati tre giovani: Ciro Imperante, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca. Secondo gli investigatori, due dei sospettati avevano caricato sulla loro auto Barbara e Nunzia vicino ad una pizzeria. Le avevano portate in un luogo abbandonato dove avevano cercato di violentarle. Le uccisero dopo essersi spaventati per l’emorragia di una delle due vittime. L’omicidio fu compiuto con un ferro appuntito, trovato accanto ai cadaveri. Terminato il delitto, i sospettati hanno occultato i cadaveri nell’auto e sono andati a chiedere aiuto ad un terzo complice. Quest’ultimo ha dato loro una mano a spostare in un luogo distante i corpi, per poi darli alle fiamme con la benzina del serbatoio dell’auto. I tre si sono poi spostati in una discoteca per costruirsi un alibi.
Imperante, Schiavo e La Rocca sono stati processati e riconosciuti colpevoli in tutti e tre i gradi di giudizio.
Nel 1999 è stata chiesta una revisione processuale, ma questa è stata respinta. Invero, la ricostruzione degli inquirenti sembra vacillare in alcuni punti: problemi sull’orario del delitto (quindi l’alibi dei tre imputati potrebbe essere attendibile) e incongruenze con l’arma del delitto, principalmente.
Perché il medico legale ipotizzò che le ferite rivenute sui corpi delle piccole fossero compatibili con un coltello a serramanico e non il ferro appuntito trovato a non molta distanza dai due cadaveri. E poi nell’auto che secondo l’accusa fu impiegata per occultare momentaneamente i corpi, non furono rinvenute tracce di sangue.
Dell’innocenza dei tre giovani è fermamente convinta Luisa D’Aniello, psicologa, psicoterapeuta e Criminologa esperta in psicodiagnostica clinica e giuridico-peritale che nel corso degli anni ha condotto diverse indagini investigative. Avvalendosi del prezioso supporto dell’investigatore Giacomo Morandi, la dottoressa D’Aniello ha anche svolto numerose ricerche, tornando più volte sul luogo del ritrovamento dei corpi delle bambine e nel l’area giochi dove sono state viste l’ultima volta, prima di andare incontro a quel triste destino, sperando di imbattersi in qualche elemento o testimonianza inedita, in grado di consegnare alla memoria delle due bambine il vero colpevole.
Lo stesso team capitanato dalla D’Aniello, di recente, è riuscito a reperire preziosi elementi in grado di riaprire, dopo 15 anni, un altro caso irrisolto, quello di Romina Del Gaudio, il cui corpo fu rinvenuto nel bosco della Reggia di Carditello, nell’estate del 2004.
“Non si può dimenticare l’ atroce vicenda che ha visto come vittime Barbara Sellini e Nunzia Munizzi. – dichiara la criminologa Luisa D’Aniello – Un duplice omicidio per il quale, a mio avviso, non è stato condannato il vero colpevole. Una dinamica omicidiaria con evidenti spunti di tipo sadico: le bambine subirono numerose coltellate e molte di queste superficiali, azione tipica di un soggetto che voleva trarre godimento dalla loro sofferenza.
La gravità e l’atrocia del caso determinarono la necessità di consegnare in breve tempo un colpevole alla Giustizia, le indagini furono frettolose e poco accurate.
La ricostruzione dei fatti, indicata dall’accusa all’epoca dei fatti, mancava di logicità: le bambine erano state uccise alla luce del giorno, in un campo all’epoca coltivato, dove però non è stata trovata alcuna traccia riconducibile ad un omicidio così cruento e poi trasportate in un luogo assai frequentato per dare fuoco ai corpi delle piccole.
I presunti testimoni dell’evento furono evidentemente spinti ad allineare il loro racconto alla posizione dell’accusa con modalità manipolative e francamente anche aggressive, fino a costringerli ad accusare per poi ritrattare e nuovamente accusare Ciro Imperante, Luigi Schiavo e Giuseppe La Rocca.
Il duplice omicidio di Ponticelli ha tolto la vita a due tenere bambine che si erano appena affacciate alla vita, – conclude la criminologa – ma ha anche distrutto l’esistenza a tre giovani ragazzi a cui ingiustamente è stata tolta la libertà e l’onorabilità.”