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Chi era George Floyd, l’afroamericano ucciso da un poliziotto a Minneapolis

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
8 Giugno, 2020
in In evidenza, News
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Chi era George Floyd, l’afroamericano ucciso da un poliziotto a Minneapolis
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george_floyd_mural_mauerpark_berlin_2020-05-30_01 Per circa 9 minuti, un uomo robusto di colore, a terra, schiacciato da un ginocchio che gli premeva con violenza il collo, ha supplicato il suo carnefice, un poliziotto.
Poi ha chiuso gli occhi e ha smesso di supplicare. La sua morte è stata dichiarata poco dopo.

L’afroamericano George Floyd, suo malgrado, è così diventato un simbolo mondiale della lotta al razzismo. Numerose le manifestazioni organizzate in tutto il mondo per ricordare l’afroamericano ucciso a Minneapolis lo scorso 25 maggio nel corso di un brutale arresto della polizia.

Floyd venne condotto in ospedale dopo aver perso conoscenza nel corso mentre era stato tratto in arresto da quattro agenti di polizia in risposta ad una chiamata di un negoziante locale.

Un episodio immortalato in un filmato diventato virale sui social network e che ha fatto il giro del mondo dal quale sono successivamente scaturite proteste e manifestazioni contro l’abuso di potere da parte delle forze di polizia, che ha agito animata da odio razziale perpetrato. Nel filmato viene mostrato l’agente di polizia Derek Chauvin premere il suo ginocchio sul collo di George Floyd per 8 minuti e 46 secondi e gli altri agenti non fare nulla per fermarlo.

Tutto il mondo ha visto le terribili immagini e ascoltare la voce supplichevole del morente: un evento che ha scosso la comunità mondiale e ha messo in profondità il dito nella piaga del razzismo che ancora è presente nella vita di tutti i giorni negli USA e in tanti altri paesi del mondo.

Floyd è diventato l’icona del movimento Black Lives Matter, dei gruppi Antifa che si ribellano in tutta l’America.

Ma chi era George Floyd?

 Nato a Fayetteville, nella Carolina del Nord e cresciuto a Houston, in Texas, George era alto 1,92 metri ed era un atleta di punta della Yates High School, dove ha fatto parte sia della squadra di calcio che di quella di basket. I suoi compagni di scuola lo ricordano come un “gigante gentile”: ferocemente competitivo sul campo, silenzioso e riservato nella vita privata. Dopo il liceo, Floyd ha frequentato il South Florida Community College dal 1993 al 1995 e ha giocato nella squadra di basket della scuola, ma è tornato a casa a Houston prima di laurearsi. Tra i suoi amici c’era l’ex giocatore della NBA Stephen Jackson, cresciuto con Floyd nella metropoli di Houston. In un’intervista della NBC News, Jackson lo ha descritto come il suo “gemello”, a causa della loro forte somiglianza fisica. Ricorda affettuosamente che non ha mai sfruttato la sua amicizia per soldi o carriera. A Minneapolis, Floyd non era un solitario. Nella sua nuova città, era conosciuto, stimato e benvoluto ed aveva una relazione con una donna bianca.

Floyd aveva avuto diversi figli da diverse relazioni. Quincy, il figlio 27enne, aveva pochi contatti con il padre e non lo ha riconosciuto immediatamente dalle immagini divulgate in televisione.

A causa del lockdown che ha portato a molti licenziamenti nel Minnesota, Floyd era disoccupato al momento del suo arresto. Precedentemente aveva svolto due lavori come buttafuori presso il Conga Latin Bistro e come camionista. Prima di trasferirsi a Minneapolis da Houston per iniziare una nuova vita, Floyd aveva svolto diversi lavori saltuari, tra cui la personalizzazione delle auto. Era stato anche un aspirante rapper.

Dalla morte di Floyd in diverse città americane è scoppiata una violenta rivolta, animata non solo da afroamericani, ma anche da molti cittadini bianchi che hanno deciso di unirsi alle proteste per dire no al razzismo e ai brutali episodi di violenza mossi dall’odio razziale.

8’ 46’’ è il simbolo del nuovo movimento per i diritti civili. 8’ 46’’: il tempo in cui il collo di George Floyd è rimasto sotto il ginocchio del poliziotto Derek Chauvin. 8’46’’ sono bastati a uomo bianco per togliere il respiro e la vita a un uomo afro-americano in una strada di Minneapolis. In queste ore il feretro di George Floyd tornerà a Houston, la città dove si era trasferito da giovane e che era diventata la sua casa. Qui gli sarà reso l’ultimo omaggio, dopo quelli tributategli nella Carolina del Nord dove era nato e a Minneapolis, il luogo della morte. Qui durante la cerimonia si sono alternati deputati, cantanti, attori, Martin Luther King III, il reverendo Jess Jackson, il capo della polizia di Minneapolis che si è inginocchiato al passaggio del feretro e tanti semplici afro-americani e bianchi che al cospetto di quella bara si sono inginocchiati e hanno pianto, come il sindaco della città, implorando riconciliazione, impegnandosi per la fine del razzismo e delle violenze ingiuste.

Lo stesso è accaduto in centinaia di città nel mondo scese in piazza per manifestare contro discriminazioni, disuguaglianze, ingiustizie, ispirate tutte da quest’uomo afro-americano morto dopo aver implorato aria, respiro, vita da chi avrebbe dovuto proteggerlo. Negli Usa oltre 350 città anche dell’America rurale hanno protestato non solo occupando piazze ma sdraiandosi sull’asfalto per mimarne arresti e omicidi.

 

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