Lo scorso 9 maggio il governo è corso ai ripari per mettere una toppa all’emorragia di scarcerazioni eccellenti scaturite per effetto dell’emergenza coronavirus e che hanno spinto il ministro della giustizia Alfonso Bonafede nell’occhio del ciclone.
Le nuove norme sulla revisione della scarcerazione dei detenuti per reati di mafia, terrorismo o criminalità organizzata, per i quali sono stati disposti gli arresti domiciliari per gravi problemi di salute che si potrebbero aggravare a causa del coronavirus, ha sedato, in parte, la polemica tra il ministro Bonafede e Nino Di Matteo.
Il decreto prevede la rivalutazione da parte della magistratura di sorveglianza entro 15 giorni dall’adozione del provvedimento di detenzione domiciliare, da ripetere poi con cadenza mensile. Ma la valutazione può anche essere immediata se il Dap segnala una struttura penitenziaria o sanitaria idonea a ospitare il detenuto. Per i detenuti in alta sicurezza o al 41 bis, si legge nel testo, “il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati già sottoposti al regime del 41-bis, valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e, successivamente, con cadenza mensile»”. Ancora, il decreto prevede che “la valutazione è effettuata immediatamente, anche prima della decorrenza dei termini sopra indicati, nel caso in cui il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria comunica la disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta adeguati alle condizioni di salute del detenuto o dell’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena“. Inoltre, “prima di provvedere alla scarcerazione l’autorità giudiziaria sente l’autorità sanitaria regionale, in persona del Presidente della Giunta della Regione, sulla situazione sanitaria locale e acquisisce dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o di reparti di medicina protetta in cui il condannato o l’internato ammesso alla detenzione domiciliare o ad usufruire del differimento della pena può riprendere la detenzione o l’internamento senza pregiudizio per le sue condizioni di salute”.
Oltre a Pasquale Zagaria, fratello del boss dei casalesi Michele Zagaria, la cui scarcerazione ha scaturito reazioni forti da parte dell’opinione pubblica e di vari esponenti politici, molte altre figure di spicco della criminalità organizzata campana hanno beneficiato dei domiciliari.
Intanto, nell’elenco dei 376 scarcerati per beneficiare degli arresti domiciliari, spiccano diversi nomi eclatanti: Mariano La Torre, Vincenzo Di Sarno e Tommaso Tirozzi.
Mariano La Torre, condannato per camorra, estorsioni ed armi, è il cugino di Augusto La Torre, capoclan dei Chiuovi, clan attivo nella zona di Mondragone e con affari radicati in Scozia e nei Paesi Bassi e dedita al riciclaggio di denaro in Costa d’Avorio.
Vincenzo Di Sarno e Tommaso Tirozzi, invece, nel 2015 vennero coinvolti nell’inchiesta sul centro commerciale Jambo e sulla gestione dell’amministrazione comunale di Trentola Ducenta. L’attività investigativa, in quel caso, svelò l’infiltrazione di Michele Zagaria nel business del centro commerciale e nella gestione elle cariche politiche dello stesso comune. La scarcerazione di Di Sarno e Tirozzi è stata resa possibile perché la loro è una detenzione cautelare: non c’è pena definitiva. Dunque, ugualmente inseriti nella lista inviata al ministro Alfonso Bonafede, seppure la loro situazione non sia stata minimamente intaccata dall’emergenza coronavirus.
Nell’elenco figurano anche i nomi di Luigi Belardo, esponente del clan Moccia, ma residente ad Orta di Atella, e Giosuè Fioretto, 54enne, cognato di Anna Carrino, l’ex moglie del boss Francesco Bidognetti. Fioretto venne arrestato la prima volta nel 2007 con l’accusa di associazione mafiosa. Secondo gli inquirenti ha gestito diversi affari economici per conto del clan.
Scarcerato anche Abramo Saulino, coinvolto nella maxi-operazione “Piazza Pulita” che sgominò i clan Mazzarella e Giuliano, attivi a Forcella.
Domiciliari concessi anche a un “pezzo da 90” del clan Mazzarella, particolarmente attivo nella zone di Napoli est: Salvatore Fido. Scarcerato anche Alfredo Minichini, seppure di recente sia stato condannato a sei anni di reclusione, in quanto identificato come l’autore di diverse “stese” che tra novembre 2017 e gennaio 2018 seminarono il terrore tra Ponticelli e Porta Nolana. Alfredo Minichini, figlio del boss Ciro detto “Cirillino” e fratello di Michele detto “o’ tigre”, condannato all’ergastolo per l’omicidio Colonna-Cepparulo, è ritenuto contiguo al clan Minichini-Rinaldi attivo nella periferia orientale di Napoli.
Ai domiciliari Antimo Rolando Vasapollo del Parco Verde, ritenuto il gestore di una delle piazze di spaccio del quartiere. Scarcerato di recente anche Antonio Di Maro, di Quarto, accusato di intimidazioni ad un parente di un collaboratore di giustizia. C’è poi Santa Mallardo, sorella del defunto boss di Giugliano Feliciano Mallardo. Biagio Iazzetta, ritenuto esponente di spicco degli Abete-Abbinante e presunto referente del gruppo nella zona di Mugnano di Napoli ed anche Ferdinando Muollo, ritenuto il mandante dell’omicidio di Salvatore Ridosso. A disporne la scarcerazione provvisoria è stato il magistrato di Sorveglianza di Salerno a causa delle precarie condizioni di salute del 57enne.
C’è l’ercolanese Vincenzo Lucio, ritenuto un sicario dell’organizzazione criminale dei Birra e condannato all’ergastolo per omicidio che ha ottenuto i domiciliari anche se non si trovava al 41bis. Domiciliari disposti per gravi motivi di salute anche per Giosuè Belgiorno, stimato essere un esponente della costola degli scissionisti attiva nel comune di Marano di Napoli. Belgiorno è stimato essere uno degli uomini di Mariano Riccio, genero di Cesare Pagano. Sta scontando una condanna a vent’anni di reclusione l’omicidio e l’occultamento del corpo di Antonino D’Andò.
Stessa sorte anche per Carmela Gionta, la 71enne sorella del boss di Torre Annunziata Valentino Gionta e Giuseppe Carpentieri, genero di Gionta e ferito in agguato pochi giorni dopo la scarcerazione. Nel 2017 Carmela Gionta è stata condannata in primo grado a 6 anni e 3 mesi di reclusione per usura e estorsione aggravata dal metodo mafioso. Da qualche settimana ha lasciato il carcere di Vigevano, dov’era detenuta, ed è tornata a Torre Annunziata.
Scarcerati anche Luigi Prinno, Pasqualina Pastore, Salvatore Silvestri, Mario Abbatiello, Alfonso Cesarano, Armando Savorra, Eduardo Architravo, Adolfo Greco, Antonio De Luca, boss del clan Rea-Veneruso di Casalnuovo di Napoli e Salvatore Perrella, la cui scarcerazione è stata festeggiata con fragorosi fuochi d’artificio al rione Traiano.