Il Test rapido salivare (Trs) in grado di rilevare il Coronavirus “in pochissimi minuti funziona e sarà presto messo in commercio con un vero e proprio kit”. A renderlo noto l’Azienda Sanitaria Territoriale dei Sette Laghi, in collaborazione con l’Università dell’Insubria di Varese.
Il nuovo strumento in grado di diagnosticare la positività al Covid-19 attraverso la saliva, “impiegando dai 3 ai 6 minuti”, funziona analogamente a un test di gravidanza. La saliva viene raccolta su una striscia di carta assorbente e trattata con un apposito reagente: se compare una banda, il soggetto è negativo, se due bande, è positivo. Secondo la nota dell’Università dell’Insubria e dell’Asst dei Sette Laghi, sarà in grado di diagnosticare la positività anche su soggetti asintomatici, peculiarità importante alla luce della progressiva riapertura delle attività produttive.
Mentre l’uso del plasma da convalescenti come terapia per il Covid-19 è attualmente oggetto di studio in diversi paesi del mondo, Italia compresa. Questo tipo di trattamento non è da considerarsi al momento ancora consolidato perché non sono ancora disponibili evidenze scientifiche robuste sulla sua efficacia e sicurezza, che potranno essere fornite dai risultati dei protocolli sperimentali in corso”. Lo scrive il ministero della Salute sul portale ‘Donailsangue’, dedicato ai donatori. “Il plasma da convalescenti è già stato utilizzato in passato per trattare diverse malattie – spiega la Faq sul sito, gestito dal Centro Nazionale Sangue – e, in tempi più recenti, è stato usato, con risultati incoraggianti, durante le pandemie di SARS ed Ebola”. La terapia con plasma da convalescenti, spiega il sito, prevede il prelievo del plasma da persone guarite dal Covid-19 e la sua successiva somministrazione (dopo una serie di test di laboratorio, anche per quantizzare i livelli di anticorpi “neutralizzanti”, e procedure volte a garantirne il più elevato livello di sicurezza per il ricevente) a pazienti affetti da Covid-19 come mezzo per trasferire questi anticorpi anti-SARS-Cov-2, sviluppati dai pazienti guariti, a quelli con infezione in atto. “Gli anticorpi (immunoglobuline) sono proteine coinvolte nella risposta immunitaria che vengono prodotte dai linfociti B in risposta ad una infezione e ‘aiutano’ il paziente a combattere l’agente patogeno (ad esempio un virus) andandosi a legare ad esso e “neutralizzandolo” – conclude -. Tale meccanismo d’azione si pensa possa essere efficace nei confronti del SARS-COV-2, favorendo il miglioramento delle condizioni cliniche e la guarigione dei pazienti”.
Il plasma è a tutti gli effetti un farmaco, la cui efficacia clinica nelle persone affette da Covid-19 è stata dimostrata in molti studi aneddotici. Occorre, però, conoscere di più sul suo ruolo e sapere quando utilizzarlo e su quali pazienti.
Invece, il cosiddetto vaccino jolly perché protegge da 10 ceppi virali isolati in diversi Paesi (Italia inclusa), funziona su topi, ratti e macachi, inducendo una massiccia produzione di anticorpi, che nei topi è 10 volte superiore a quella dei pazienti guariti da Covid-19. I risultati, che aprono ai test sull’uomo entro l’anno, sono pubblicati su Science dal gruppo di ricerca cinese coordinato dall’azienda Sinovac Biotech con sede a Pechino.
L’equipe guidata da Qiang Gao ha isolato diversi ceppi di coronavirus da 11 pazienti ricoverati in Cina, Italia, Svizzera, Spagna e Gran Bretagna. Un ceppo in particolare è stato selezionato, purificato e reso innocuo per poter sviluppare il vaccino. Il prodotto è stato quindi somministrato a topi e ratti, che a distanza di tre settimane sono stati infettati con gli altri dieci ceppi virali: come risultato, PiCoVacc è riuscito a neutralizzarli tutti. Nei topi, in particolare, ha indotto una produzione di anticorpi diretti contro la proteina S del virus (usata per attaccare le cellule umane) che è dieci volte superiore a quella misurata nei pazienti guariti da Covid-19. Non è ancora possibile dire se un risultato simile si possa ottenere anche nell’uomo, ma secondo i ricercatori questo dato fa pensare che la risposta immunitaria indotta sia comunque massiccia. Dopo questo primo successo la sperimentazione è passata sui macachi, a cui sono state somministrate tre dosi di vaccino (da 1,5 microgrammi o 6 microgrammi) nel corso di due settimane. Quelli che avevano ricevuto le dosi da 6 microgrammi hanno sviluppato una protezione completa contro il virus e senza manifestare nel breve termine quel temuto effetto paradosso (chiamato Ade, Antibody-Dependent Enhancement) che induce la produzione di anticorpi non neutralizzanti capaci di favorire l’ingresso del virus nelle cellule. “Messi insieme, questi risultati indicano la strada verso lo sviluppo clinico del vaccino per uso umano”, concludono i ricercatori, che intendono cominciare i primi test clinici entro l’anno.