“Le mascherine che utilizziamo per contrastare il Coronavirus, attualmente vendute come monouso e dunque non riutilizzabili né lavabili, devono assolutamente essere conferite in sicurezza sia per gli operatori che procedono alla raccolta che per chi gestisce il destino finale del prodotto. Attualmente l’unica soluzione possibile per il loro smaltimento è l’inserimento da parte dei cittadini in comuni sacchetti di polietilene, quelli più economici in commercio. Quindi, in un secondo momento, le mascherine dovranno essere destinate non alle discariche, bensì a termovalorizzatori o termodistruttori”. Lo ha detto Mario Malinconico, direttore di ricerca dell’Istituto per polimeri, compositi e biomateriali del Cnr e presidente Atia-Iswa, nel corso del webinar “Approccio sistemico al riciclo delle materie prime e degli scarti”, organizzato da Innovation Village, il principale network sull’innovazione del centro-sud.
“Le mascherine monouso – ha evidenziato Malinconico – non sono fatte di materiale biodegradabile né compostabile, e anche se lo fossero la loro finalità non potrebbe consentire uno smaltimento differente. Alcune aziende hanno proposto soluzioni diverse dai tessuti-non tessuti in fibre sintetiche come le mascherine in cotone di cellulosa che in linea di principio sarebbero compostabili come la carta assorbente, ma non vedo una differenza per questo tipo di prodotto rispetto ai sintetici perché l’accettazione di questo tipo di manufatti presso gli impianti di compostaggio sarebbe fortemente ostacolata da chi gestisce la filiera”.
“L’invito è quello di non gettarle sicuramente per strada o in mare, rischiamo un danno ambientale enorme perché parliamo di 138 milioni di mascherine e oltre 16 milioni di guanti già distribuiti alle Regioni dal Dipartimento di Protezione Civile. E il numero potrebbe quadruplicare”.