Non si placano le polemiche in merito alle affermazioni dal tono marcatamente discriminatorio in più circostanze espresse dal giornalista lombardo Vittorio Feltri, direttore del quotidiano “Libero”, rivolte ai meridionali.
In particolare, ospite della trasmissione di Rete 4 “Fuori dal coro”, condotta da Mario Giordano, andata in onda ieri, martedì 21 aprile, Feltri ha rivolto un altro attacco duro al popolo del Sud, dopo le recenti dichiarazioni di De Luca rivolte alla Lombardia per la gestione dell’emergenza: “molta gente che è nutrita da un sentimento di invidia, rabbia nei nostri confronti perché subisce una sorta di complesso di inferiorità. Io non credo ai complessi di inferiorità ma credo che i meridionali, in molti casi, siano inferiori”.
Infine commentando le parole di De Luca, che nei giorni scorsi aveva annunciato di essere pronto a chiudere i confini campani per arginare le possibili “corse in avanti” da parte di Regioni con alto tasso di contagi da coronavirus. “Credo che nessuno di noi abbia voglia di trasferirsi in Campania. Io non ce l’ho con la Campania! Sto semplicemente dicendo perché dovremmo andare in Campania? A fare che cosa? I posteggiatori abusivi? Non credo sia al vertice delle nostre ambizioni un’occupazione simile. Mentre i campani, e il dato è di 14 mila ogni anno, vengono a Milano a farsi curare. Vuol dire che Milano e la Lombardia non fanno loro così schifo“.
Il presidente dell’Ordine Nazionale dei giornalisti, Carlo Verna, ha scritto una lettera di scuse al sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, esortando l’intervento del Consiglio di disciplina dell’ordine della Lombardia – al quale Feltri è iscritto – per sanzionare la violazione del codice deontologico giornalistico.
Eppure, per sua stessa ammissione, Feltri non teme affatto una sanzione disciplinare: in un recente tweet, infatti, ha affermato che “Le scuole di giornalismo non servono a niente, l’Ordine dei giornalisti è un ente dannoso” per poi aggiungere “Meno male che esistono i giornalisti altrimenti sarei morto di fame”.
Perchè Vittorio Feltri non teme che il suo nome venga cancellato dall’albo dei giornalisti?
Nell’aprile del 2008, Feltri fu radiato dall’albo dei giornalisti per aver pubblicato sul suo giornale le immagini di bambini, usate dai pedofili. A Feltri era stato contestato il seguente addebito:
“Aver disposto, nella sua qualità di direttore di «Libero», la
pubblicazione alla pagina 3 dell’edizione del 29 settembre 2000 del
quotidiano di sette fotografie impressionanti e raccapriccianti di
bambini ricavate da un «sito pornografico reso disponibile dai
pedofili russi», e di una ottava fotografia a pagina 4 (raffigurante
«una scena di violenza tratta dal video di pedofilia sequestrati dalla
magistratura»), fotografie che appaiono tutte contrarie al buon costume
e tali, «illustrando particolari raccapriccianti e impressionanti», «da
poter turbare il comune sentimento della morale e l’ordine familiare». La
pubblicazione delle 8 fotografie integra la violazione degli articoli
2 e 48 della legge m. 69/1963 sull’ordinamento della professione
giornalistica in relazione all’articolo 21 (VI comma) della
Costituzione e all’articolo 15 della legge n. 47/1948 sulla stampa”.
Com’è possibile, dunque, che Feltri non solo svolga ancora la professione di giornalista, ma che possa ancora perseverare nella violazione del codice deontologico?
A gettare un prezioso salvagente al giornalista lombardo, in quel frangente, fu il Consiglio nazionale dell’ordine che modificando il giudizio dell’Ordine della Lombardia che aveva deciso la radiazione, gli ha comminato la sanzione della censura. Lo scrutinio segreto diede il seguente esito: 46 voti a favore, 42 contrari e una scheda bianca. In sostanza, il consiglio nazionale fu chiamato a valutare, in alternativa alla radiazione decisa dall’Ordine di Milano, la proposta della Commissione ricorsi che era stata di un anno di sospensione, e altre proposte di sospensione più lievi e poi la proposta di censura. Secondo lo statuto dell’Ordine, si inizia la votazione a scrutinio segreto dalla proposta più lieve, quindi in questo caso dalla censura che è passata alla prima
votazione con 46 voti a favore contro 42 contrari.
Per gli stessi fatti (la pubblicazione di foto di bimbi violentati) Vittorio Feltri ha patteggiato davanti al Tribunale di Monza una condanna a due mesi di reclusione poi commutata in pena pecuniaria. Feltri, inoltre, ha risarcito il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia riconoscendo di averlo diffamato, e ha pagato anche le spese legali.
L’accusa penale riguardava la violazione dell’articolo 15 della legge n. 47/1948 sulla stampa (la pubblicazione, appunto, di foto impressionanti e raccapriccianti).
A marzo del 2010, Vittorio Feltri, all’epoca direttore de “Il Giornale”, fu sospeso per sei mesi per gli articoli pubblicati sul caso Boffo, delle accuse infondate rivolte a Gianfranco Fini e per aver consentito al giornalista Renato Farina di continuare a firmare articoli dopo la radiazione dall’albo.
Una vicenda passata alla storia come “Metodo Boffo” perchè confezionato da Feltri per distruggere la carriera di Dino Boffo, direttore di “Avvenire”.
Tra agosto e settembre 2009, dopo aver scritto alcuni editoriali contro il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, Boffo fu accusato su il Giornale da Vittorio Feltri, che pubblicò una presunta informativa della polizia in cui Boffo era indicato come un “noto omosessuale”, querelato da una signora di Terni che aveva ricevuto telefonate sconce e offensive e intimidazioni, perché lasciasse il marito che aveva una relazione con Boffo.
Il direttore di Avvenire definì una “patacca” la documentazione pubblicata sul Giornale (che fu smentita anche dal gip di Terni), ammettendo invece di aver pagato un’ammenda per il reato di molestia alle persone, per una vicenda causata però da altri e cioè, da un giovane che tuttavia, nel frattempo, era morto.
A settembre dello stesso anno, Boffo si dimise dall’incarico di direttore di “Avvenire”, mentre la sospensione di Feltri fu ridotta da sei a tre mesi.
L’espressione “metodo Boffo” è da allora entrata nel gergo della politica italiana, diventando sinonimo di “macchina del fango”.
“Mi dispiace di non essere un prete pedofilo o almeno un semiprete omosessuale o un conduttore di sinistra, ma di essere semplicemente un giornalista che non può godere, quindi, della protezione dei vescovi, nè diventare un martire dell’informazione – affermò Feltri quando apprese della sua sospensione – se a Brachino hanno rifilato due mesi di sospensione per aver mostrato i calzini celesti di un magistrato, non stupisce che a me ne abbiano rifilati sei per aver osato parlare di Boffo dalla cintola in giù”.
Renato Farina, dal suo canto, ha ammesso di aver collaborato, quando era vicedirettore di Libero, con i Servizi segreti italiani, fornendo informazioni e pubblicando notizie false in cambio di denaro.