Nel mirino dei killer di Ponticelli, negli ultimi giorni in particolare, sono finiti due zone ben precise: il Lotto 10 e il Rione Incis. Se il primo è stato in più circostanze teatro di vicende di cronaca, anche piuttosto eclatanti, non ultimo l’agguato in cui perse la vita Ciro Nocerino e quello al quale sopravvissero miracolosamente il boss Luigi De Micco e il suo fedelissimo, Antonio Autore, il Rione Incis, invece, si vede costretto ad abbandonare la fama di “rione tranquillo” di cui godeva da diverso tempo, per fare i conti con una mutata realtà. Due “stese” nel giro di un mese sottolineano che in quella zona si registrano continue fibrillazioni e per gli inquirenti non è difficile ipotizzare le ragioni: l’attività di spaccio di droga che, in particolar modo al calar del sole, si svolge con particolare frequenza nei parchi e nelle strade isolate del rione.
Proprio il controllo su quelle piazze di droga appare una delle piste più plausibili nell’attribuire un senso alle “stese” avvenute in via Hemingway il mese scorso e due notti fa.
L’ultima “stesa” avvenuta in via Hemingway, con tre proiettili esplosi, uno dei quali conficcatosi accidentalmente in un’auto in sosta, quasi sicuramente rappresenta la replica al raid della sera prima, domenica 29 marzo, in via Scarpetta. Ben 8 colpi esplosi, in quella circostanza, l’abitazione di un pregiudicato raggiunta da un proiettile, nessun ferito.
Un botta e risposta che si presta a molteplici interpretazioni e che, in ogni caso, sottolinea la fine di quella pace almeno apparente che da diversi mesi regnava nel quartiere, per effetto dell’ennesima affermazione di una nuova forza egemone: l’alleanza tra diversi clan di Napoli Est.
Il cartello criminale composto dai De Luca Bossa del Lotto O, gli Aprea di Barra e i Rinaldi di San Giovanni a Teduccio, tornati alla ribalta dopo diversi anni trascorsi in sordina, proprio convergendo in un unico esercito camorristico, in questo momento continua ad avere la meglio sul clan “XX”, i giovani eredi del clan De Micco, capeggiati dai De Martino e dai Cerrato, fedelissimi dei “Bodo”, ma non è da sottovalutare la presenza silenziosa, ma tutt’altro che innocua, del clan Casella. Se quando a comandare a Ponticelli erano i “Bodo”, i fratelli Casella erano riusciti a siglare un patto di non belligeranza, preservando una certa egemonia nella zona di loro competenza, oltre ad un’ampia libertà d’azione e gestione dei propri affari illeciti, è altrettanto vero che in seguito a due eventi ben precisi questo equilibrio è saltato.
In primis, gli arresti delle figure di spicco del clan De Micco alla fine del 2017 e che di fatto hanno sancito il declino dell’era del “clan dei tatuati” a Ponticelli e l’inizio di una lunga faida tra le poche reclute di questi ultimi e “i clan alleati”.
Un evento ancor più eclatante, tuttavia, ha segnato le recenti sorti camorristiche del quartiere geograficamente più esteso e densamente popolato di Napoli: l’arresto dei fratelli Casella, nell’ottobre del 2018 e la clamorosa scarcerazione, appena un anno dopo.
Incredibile, ma vero: la magistratura ha delineato uno scenario clamoroso ed imprevedibile, decretando la scarcerazione dei fratelli Casella per un mero cavillo burocratico. Nonostante le prove fornite dalle intercettazioni ambientali, i fratelli Giuseppe, Eduardo e Vincenzo, ritenuti dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli ai vertici della cosca attiva nel quartiere Ponticelli, sono tornati in libertà lo scorso ottobre.
Accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso e associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti nonché di spaccio di stupefacenti, possesso di documenti di identità falsi e lesioni aggravate, con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, gli avvocati degli imputati hanno fatto leva su un difetto di procedura, riuscendo ad ottenere l’assoluzione dei loro assistiti: il pm aveva richiesto le autorizzazioni per intercettare il telefono, la casa e le auto dei sospettati, ottenendo però l’autorizzazione solo per le intercettazioni telefoniche.
Eppure, dai dati emersi dalle intercettazioni ambientali raccolte in fase di indagini, trapela nitidamente la responsabilità dei tre fratelli Casella in relazione all’omicidio di Gianluca Cardicelli, oltre ad altre prove inconfutabili in relazione ad altri reati: dagli ordini impartiti agli affiliati alla distribuzione dei soldi, oltre alla meticolosa cura rivolta all’attività di confezionamento e vendita della droga.
Tutto da rifare: i Casella dallo scorso ottobre sono tornati nel quartier generale di via Franciosa e potrebbero avere mire espansionistiche, galvanizzati dall’inaspettato ritorno in libertà.
Questa fitta trama di interessi e velleità, disegna un “Mostro a tre teste”: “i clan Alleati”, il clan “XX” e i Casella. Nel mezzo, centinaia di piazze di droga.
Il controllo dei traffici illeciti nella propria zona di competenza rappresenta quel genere di fregio al quale nessun clan che vuole ambire a farsi riconoscere come tale, vuole e può rinunciare. Da qui, il diniego del pagamento della tangente sulle piazze di droga gestite che, in genere, il clan egemone impone “ai pesci piccoli”. La volontà di non chinare il capo per non riconoscere l’autorità dei rivali, il desiderio di mantenere alto l’onore e la credibilità del clan di appartenenza, la necessità di rivendicare con la forza bruta delle armi e il timore sortito dai proiettili la presenza sul territorio, rimarcando la pericolosità della compagine d’appartenenza.
Le ultime “stese” messe a segno a Ponticelli, in realtà, raccontano molto più di quanto immaginiamo della “nuova camorra”: quella fatta da giovani senza ideali e con poche, pochissime idee. Impugnare un’arma e “sparare in cielo”, quasi più per assecondare una moda, che per compiere un’azione camorristica degna di nota, nel gergo camorristico contemporaneo, assume i connotati della pratica becera, voluta più per pavoneggiarsi che per conseguire uno scopo. Un’azione criminale che assicura “facile gloria”, perchè se ne parla nei rioni e usi giornali, ma che espone a pochi rischi e, cosa più importante, non compromette in maniera irreparabile le dinamiche camorristiche.
“Io vengo a sparare nel tuo rione, poi tu vieni a sparare nel mio”: come due squadre di calcio che giocano senza provare ad attaccare per non esporsi al rischio di un goal, come in una sonnacchiosa partita a scacchi, dove nessun giocatore osa una mossa azzardata e si limita a spostare pedine di poco conto. In sostanza, pratiche criminali di basso rango, ben lontane dal valore attribuito a questa forma di raid dal clan Sarno.
La percezione che trapela da quegli spari è che mentre “i pesci piccoli” si azzuffano a suon di pistolettate, i veri interpreti della camorra ponticellese continuano a fare affari d’oro, anche nel bel mezzo dell’emergenza coronavirus, a suon di estorsioni e traffici illeciti, dove sotto la voce “traffici illeciti” si includono, oltre allo spaccio di stupefacenti e al contrabbando di sigarette, anche la produzione e la vendita di detersivi contraffatti. Il boom di fabbriche abusive nella zona di Ponticelli e Caravita lo confermano.