26 marzo 2018: una data alla quale è associato un evento che ha sancito un colpo di scena importante nel contesto camorristico di Napoli est.
Il giorno in cui gli inquirenti conferiscono un volto, un nome e un cognome a mandanti, esecutori e complici dell’omicidio del boss dei Barbudos del Rione Sanità, Raffaele Cepparulo e della vittima innocente della criminalità, Ciro Colonna, morto all’età di 19 anni.
A meno di due anni di distanza da quel 7 giugno 2016, giorno in cui i killer fecero irruzione nella roccaforte dei De Luca Bossa, il Lotto O di Ponticelli, per scovare “Ultimo”, questo il soprannome di Cepparulo, mentre giocava a carte all’interno del circolo ricreativo del plesso P4, di proprietà di Umberto De Luca Bossa, figlio di “Tonino ‘o sicco”, sanguinario killer della scena camorristica ponticellese negli anni ’90, autore del primo attentato stragista con autobomba in Campania e per questo condannato al carcere a vita ed attualmente detenuto in regime di 41 bis.
Dalle indagini degli inquirenti emerge una verità agghiacciante: a decretare la morte del capo dei Barbudos, non furono i clan rivali del Rione Sanità, ma “la camorra emergente”, ovvero, il cartello criminale frutto dell’alleanza tra i clan Minichini, Rinaldi, De Luca Bossa e le cosiddette “pazzignane” del Rione De Gasperi di Ponticelli.
Il sodalizio tra i clan in rovina di Napoli est, nacque con l’auspicio di scalzare l’egemonia dei de Micco a Ponticelli e sostenere i Rinaldi nella faida contro i Mazzarella, per conquistare così il controllo delle attività illecite dell’intera periferia orientale di Napoli. Tuttavia, l’alleanza non cercò mai lo scontro con i “Bodo”, probabilmente temendone la supremazia, consapevole del fatto che il “clan dei tatuati” disponeva di un vero e proprio esercito ben addestrato e militarizzato, che poteva contare su un ingente quantitativo di armi. Nel novembre del 2017, fu un operazione della Polizia di Stato a dare una mano involontaria ai clan alleati, che fece scattare le manette per le figure-simbolo del clan De Micco. Un evento che favorì l’ascesa della “camorra emergente”, anche se gli elementi di spicco del cartello criminale beneficiarono di quell’ambita conquista solo per 4 mesi, proprio perchè il 26 marzo 2018 scattarono le manette per tutti i camorristi che avevano partecipato attivamente all’omicidio Colonna-Cepparulo.
In seguito alla strage delle Fontanelle, Raffaele Cepparulo cerca protezione e riparo tra i palazzoni del Lotto O di Ponticelli, grazie all’amicizia che lo lega ad Umberto De Luca Bossa. Durante la vacanza forzata a Napoli Est, “Ultimo” cerca di allearsi con i Mazzarella, per conto dei quale compie una serie di “stese” nel Rione Villa – quartier generale dei Rinaldi – oltre che ai danni di Luisa De Stefano, “la pazzignana”, quota rosa del sodalizio tra clan alleati. Motivo per il quale il sodalizio camorristico sancisce la condanna a morte del Barbudos.
Ad inviare un sms ai killer per segnalargli la presenza di Cepparulo nel circolo ricreativo, intento a giocare a carte con altre tre persone, è Anna de Luca Bossa, la lady-camorra del lotto O, sorella di Tonino ‘o sicco e in passato legata sentimentalmente al boss Ciro Minichini, dal quale ebbe un figlio, Antonio Minichini, ucciso all’età di 19 anni, in un agguato di matrice camorristica.
Esecutore materiale dell’omicidio di Raffaele Cepparulo e destinatario di quel messaggio è Michele Minichini, figliastro della De Luca Bossa, figlio di Ciro Minichini e Cira Cipollaro, anche lei coinvolta nella pianificazione dell’agguato.
“Tiger” o “o’ tigre”, questo il soprannome di Michele Minichini, è un giovane che nell’ambiente della malavita locale si è ben presto ritagliato la fama del killer spietato, oltre che del camorrista senza scrupoli dal quale è bene tenersi alla larga. Complici i tatuaggi che sembrano rappresentare una sorta di “cartina geografica” che scandiscono le tappe salienti della sua storia camorristica, in primis, la tigre tatuata sul capo, insieme alla granata, che il giovane esibisce con orgoglio, anche in quella circostanza, seppure consapevole del fatto che nel Lotto O, nel rione di quel “Tonino ‘o sicco” al quale guarda con stima ed ammirazione, tutti lo conoscono e sono in grado di riconoscerlo, eppure “o’ tigre” non teme “spiate”, forte di poter contare sull’omertà assicurata proprio da quella temibilità che a suon di gesta criminali è riuscito a conquistare.
Insieme ad Antonio Rivieccio detto Cocò, uomo del clan Sibillo, Michele Minichini fa irruzione nel circolo ricreativo del Lotto O di Ponticelli nel primo pomeriggio, intorno alle 16, a piedi e a volto scoperto. I due sicari simulano una rapina, dopo aver immobilizzato i presenti, “o’ tigre” si avvicina a Cepparulo e lo giustizia. Rivieccio, invece, perde il controllo della situazione e spara a un 19enne in fuga. In realtà, Ciro Colonna, mentre cercava di mettersi in salvo, perse gli occhiali da vista e tentò di raccoglierli. Cocò, ipotizzò che fosse un guardaspalle del Barbudos che intendeva prendere un’arma per replicare al fuoco e gli spara un colpo a bruciapelo, dritto al petto. Per il 19enne non ci fu nulla da fare. Trasportato d’urgenza al Pronto soccorso del vicino Ospedale “Villa Betania”, morì poco dopo.
A fornire supporto ed appoggio ai killer in fuga dopo l’omicidio, “le pazzignane” Vincenza Maione e Luisa De Stefano, le lady-camorra del Rione De Gasperi di Ponticelli, un tempo bunker del temibile clan Sarno, poi finito in macerie in seguito al pentimento dei fratelli Sarno e delle figure di spicco dell’organizzazione che ha dominato la scena malavitosa dell’entroterra vesuviano e della periferia orientale napoletana per oltre 20 anni. Le famiglie della De Stefano e della Maione furono tra le più colpite dal vortice di arresti che scaturì dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia. Ciononostante, Luisa De stefano, moglie dell’ex Sarno, Roberto Schisa, e sua cugina Vincenza Maione seguitano a vivere nel rispetto del codice d’onore della camorra, seppure nello stringere l’alleanza con i De Luca Bossa, tralasciano che fu proprio Tonino ‘o sicco a decretare la morte di un loro congiunto, Luigi Amitrano, nell’esplosione di un ordigno che aveva posizionato nel ruotino di scorta dell’auto che il giovane era solito guidare, con l’intento di uccidere il boss Vincenzo Sarno. Qualcosa, però, andò storto e la bomba esplose mentre Luigi Amitrano percorreva via Argine, di ritorno dall’ospedale Santobono di Napoli, dove era ricoverata la sua bambina. Un aspetto che tanto racconta del livore camorristico delle due donne che pur di marcare la scena malavitosa, rinnegano il loro stesso sangue e rompono i rapporti con i parenti che condannano quell’alleanza e non sono disposti ad accettare l’idea di ignorare la ferita derivante da quel lutto che, nonostante gli anni trascorsi, seguita ancora a sanguinare. Luisa De Stefano è anche la madre di Tommaso Schisa, di recente diventato un collaboratore di giustizia, e legato a filo doppio a Michele Minichini.
Oltre a Giulio Ceglie e a Cira Cepollaro, la figura di spicco che ordinò l’omicidio di Raffaele Cepparulo è il boss del Rione Villa, Ciro Rinaldi, detto Mauè. Leader di un clan perennemente in guerra con i Mazzarella per il controllo del quartiere San Giovanni a Teduccio, “Mauè” non perdona ad “Ultimo” quei raid intimidatori a colpi d’arma da fuoco nel suo quartier generale e rileva nell’atteggiamento del boss dei Barbudos un pericolo per il suo clan e per gli alleati. Uccidendo il boss dei Barbudos, inoltre, invia un messaggio chiaro ai rivali del clan Mazzarella con i quali il giovane stava cercando di allearsi.