L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rilasciato una sorta di guida per sottolineare le differenze fra la sindrome Covid-19 – provocata dal nuovo coronavirus noto anche come Sars-Cov-2 – e la normale influenza di stagione.
Entrambi i virus che sono alla base delle patologie si diffondono tramite le goccioline di saliva, le “droplet” (temrine con cui si indica per estensione anche la distanza minima di un metro, un metro e mezzo da tenere con gli altri) diffuse nell’aria da una persona infetta, fino a una certa portata sulla quale la comunità scientifica non è trovato unanimità di giudizio, ma anche per contatto di una superficie contaminata. In questo caso il vettore sono le nostre stesse mani che ci portiamo in faccia, toccandoci occhi bocca e naso, migliaia di volte al giorno. Per questo occorre lavarle spesso o in alternativa utilizzare del gel disinfettante per le mani.
Anche alcuni sintomi appaiono simili e possono facilmente trarre in inganno, cosa che probabilmente è avvenuta nei mesi scorsi e continua ad avvenire. In entrambi, i casi si concentrano sul sistema respiratorio in modo variabile. Causano febbre, stanchezza e tosse. Alcuni casi, quelli più severi come racconta la situazione critica delle terapie intensive e subintensive degli ospedali lombardi, possono provocare forme di polmonite virale potenzialmente fatale, specialmente in soggetti anziani e/o con patologie pregresse, per i quali occorre appunto assistenza ventilatoria.
Solo queste le similitudini tra i due virus. Fra le sei principali differenze, invece, c’è per esempio quella che il coronavirus appare diffondersi più lentamente dell’influenza. Quest’ultima ha infatti un periodo di incubazione – cioè il tempo prima del quale si mostrino i sintomi – breve nonché un intervallo seriale, il tempo che passa fra i casi successivi eventualmente infettati, anch’esso più breve (5-6 giorni per Covid-19 contro i circa 3 per l’influenza). Ecco perché l’influenza si diffonde più rapidamente.
La seconda differenza è la diffusione virale. Ciò che cioè accade quando il virus ha infettato un ospite, si è riprodotto e viene rilasciato nell’ambiente circostante. Insomma ciò che rende una persona contagiosa. Nel caso del Covid-19 alcune persone iniziano a essere contagiose dopo due giorni dall’infezione, e anche prima di mostrare sintomi, sebbene quest’ultimo non sembri rappresentare il canale principale di diffusione. Il virus dell’influenza, invece, si diffonde di solito nei primi 3-5 giorni seguenti all’insorgenza dei sintomi e anche prima della loro comparsa.
Il numero di riproduzione di base, cioè di contagi prodotti da una persona infetta, il famoso R0, è un parametro essenziale nel contesto di un’epidemia da malattia infettiva. Indica il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile, cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente e priva di anticorpi per contrastarlo. Com’è il caso del coronavirus. Il parametro misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva. Nel caso in questione, per l’Oms si muove intorno un tasso di 2 e 2.5, più alto che per l’influenza.
I bambini sono importanti canali di trasmissione del virus dell’influenza nelle loro comunità. Per il Sars-Cov-2, invece, i dati iniziali indicano che i giovani sono meno colpiti degli adulti e che i contagi fino ai 19 anni sono molto bassi. Alcuni dati dai primi studi in Cina realizzati per studiare la trasmissione all’interno dei nuclei familiari suggeriscono per esempio che siano stati gli adulti a contagiare i bambini, piuttosto che il contrario.
Inoltre, mentre la tipologia di sintomi causati dalle sindromi prodotte dai due virus sia simile, la frazione con situazioni severe appare diversa. Per Covid-19 i dati suggeriscono che l’80% delle infezioni emerga con sintomi lievi o addirittura senza sintomi, il 15% severi, con necessità di ricorrere all’ossigeno, e il 5% critiche, con la ventilazione e dunque il ricovero in terapie intensive o subintensive. Sarebbero proporzioni più elevate rispetto a quelle osservate per le infezioni da influenza.
Ancora, se di solito i soggetti più a rischio per un’infezione grave da influenza sono i bambini, le donne incinte, gli anziani e le persone con condizioni patologiche croniche, oltre agli immunodepressi, per Covid-19 quel che si è compreso finora è che i soggetti più a rischio sono le persone anziane, in particolare con patologie preesistenti. Secondo uno studio dell’Iss diffuso nei giorni scorsi e realizzato sui dati di 105 pazienti italiani deceduti al 4 marzo, l’età media dei decessi in Italia sarebbe di 81 anni. Nello specifico, la maggior parte (42.2%) si è avuta nella fascia di età tra 80 e 89 anni mentre il 32.4% erano tra 70 e 79, l’8,4% tra 60 e 69, il 2,8% tra 50 e 59 e il 14,1% sopra i 90 anni.
Un’altra differenza è sul tasso di letalità, per comprendere a fondo il quale avremo bisogno di tempo: se con l’influenza, specialmente quella di stagione, il numero di decessi in base agli infetti, è intorno allo 0,1%, con il coronavirus si muove fra il 3 e il 4%, a seconda di alcune altre variabili. Nel caso italiano, per esempio, l’elevata età media della popolazione potrebbe dare il suo triste contributo, anche l’accesso ad assistenza tempestiva in terapia intensiva è fondamentale.