Un uomo e un ragazzo: il primo sorride, il secondo no. Una mano in tasca, l’altra sulla spalla, come a voler “proteggere e rassicurare” l’uomo, palesando ai “followers” virtuali e reali l’esistenza di un rapporto sereno ed amichevole.
Una foto come tante all’apparenza, ma che, invece, rappresenta la prova inconfutabile di una delle alleanze più chiacchierate della storia camorristica di Ponticelli, quella tra i De Luca Bossa del Lotto O e i cosiddetti “Pazzignani” del Rione De Gasperi.
Un’alleanza che ha fatto discutere e che continua a far rumore, perchè rinnega una morte che ha generato una ferita mai sanata nel cuore e nell’orgoglio dell’organizzazione che tutt’oggi si rispecchia ed identifica nel nomignolo “Pazzignani”, maturata per mano del killer per antonomasia del clan De Luca Bossa: Tonino ‘o sicco alias Antonio De Luca Bossa, boss attualmente detenuto in regime di 41 bis e condannato all’ergastolo proprio per l’attentato in cui perse la vita Luigi Amitrano, il cugino dell’uomo in foto con quel ragazzo che altro non è che Umberto De Luca Bossa, primogenito di Tonino ‘o sicco, tornato in libertà da circa due mesi.
A dare materialmente forma all’alleanza, per conto del clan dei “pazzignani”, a stringere la mano a Giuseppe De Luca Bossa, attuale reggente del clan del Lotto O di Ponticelli, è stato proprio Mimmo Amitrano, cugino di Luigi Amitrano, scampato miracolosamente alla morte, perchè, quella sera, in quell’auto fatta esplodere dall’ordigno ordinato da Tonino ‘o sicco, doveva esserci seduto anche lui.
Soprannominato “’o sicco”, in virtù della corporatura esile, in netta contrapposizione con la sua indole di malavitoso violento e senza scrupoli, Antonio De Luca Bossa aveva pianificato un attentato in grande stile per disfarsi di uno dei pezzi da 90 dei Sarno, il clan che in quegli anni dominava incontrastato la scena camorristica ponticellese, riuscendo ad imporsi ben oltre i confini di Ponticelli e dell’entroterra vesuviano, grazie all’alleanza con i Misso e i Mazzarella, autorevoli clan del centro storico di Napoli.
Nel 1998, sprezzante del timore reverenziale che “il mostro a tre teste” procreato da quell’alleanza imponeva agli interpreti della malavita napoletana, “‘o sicco” decide di “fare il botto” in stile mafia corleonese.
L’obiettivo dell’agguato doveva essere il boss Vincenzo Sarno, attirato in un tranello, invitato a partecipare ad una riunione con i De Luca Bossa. L’autobomba fu confezionata a Giugliano in Campania una settimana prima dell’attentato ed inserita in un ruotino di scorta, poi nascosto in una Lancia Delta di proprietà dei Sarno. L’innesco era radiocomandato, doveva esplodere quando Vincenzo Sarno, come ogni domenica, si faceva accompagnare dal nipote Luigi Amitrano a firmare, perché era sottoposto alla sorveglianza speciale.
Tuttavia, qualcosa va storto e la bomba esplode la sera del sabato prima, il 25 aprile del 1998, mentre Luigi Amitrano è di ritrono dall’ospedale Santobono di Napoli, dove era ricoverata sua figlia. Gli inquirenti ipotizzano che l’ordigno sia esploso anzitempo per effetto della pressione derivante dall’irregolarità del manto stradale.
Il 25 aprile del 1998, Luigi Amitrano esce di casa alle 20.30, proprio in compagnia di suo cugino, Domenico Amitrano. Pochi minuti dopo, i due vengono fermati da una pattuglia della polizia. Tuttavia, gli agenti non trovano nulla a bordo della sedici valvole blindata. Amitrano si allontana dal posto di blocco e si fionda nel reparto di pediatria dove è ricoverata dal giorno precedente sua figlia Rita di 4 anni.
Luigi Amitrano lascerà l’ospedale intorno alle 23: una tempistica calcolata alla perfezione dai killer che entrano in azione nel parcheggio, forzano il portabagagli e posizionano l’ordigno telecomandato all’interno di una ruota di scorta, intorno alle 21.
Quella sera diversi parenti erano accorsi all’ospedale Santobono, non appena si ebbe notizia del ricovero della figlia di Amitrano, tra questi suo cugino Domenico che doveva rincasare insieme a Luigi, andando così inconsapevolmente incontro allo stesso destino. In effetti, in quella circostanza, fu una fortuita casualità a salvargli la vita: Domenico Amitrano, infatti, lasciò l’ospedale insieme a Pasquale Bevilacqua, dando a suo cugino Luigi la possibilità di trattenersi ancora al capezzale di sua figlia.
L’auto blindata non basta: Luigi Amitrano muore sul colpo, carbonizzato nell’incendio, quando l’ordigno esplode intorno alle 23.30 a via Argine.
La morte di Luigi Amitrano, 25enne luogotenente della camorra di Napoli Est, è un duro colpo al cuore per “i Pazzignani”, ma ancor più per il clan Sarno, tant’è vero che l’ex boss Giuseppe Sarno, nel 2010, nel corso della deposizione rilasciata in veste di collaboratore di giustizia, non è riuscito a trattenere la commozione quando sentì nominare suo nipote.
Una carriera in ascesa nel traffico di armi e stupefacenti al servizio del fratello di suo zio, il boss Ciro Sarno, Amitrano muore a mezzo chilometro da casa: l’esplosione viene vissuta in diretta dagli stessi familiari che, oggi, sembrano aver dimenticato quel boato, alleandosi proprio con il clan che decretò quella morte.
Un agguato per il quale Tonino ‘o sicco è stato condannato all’ergastolo in via definitiva, mentre i congiunti di Amitrano ancora in odore di camorra hanno clamorosamente applicato “lo sconto di pena”, tornando a stringersi la mano e a parlare di affari con la cosca del Lotto O, attualmente capitanata dal fratello di Antonio, Giuseppe De Luca Bossa.
Un’alleanza esibita con orgoglio, perfino suggellata e consolidata osservando le “nuove regole della camorra 2.0”, postando una foto sui social network, affinchè tutti sappiano che, oggi, “i pazzignani” e i De Luca Bossa si vogliono bene e vivono in pace. Come se quell’autobomba, piazzata per assecondare le logiche di spietato camorrista del padre di quel ragazzo che poggia una mano sulla spalla di Domenico Amitrano, non avesse mai ucciso suo cugino Luigi. Come se Domenico Amitrano non fosse fortuitamente scampato a quel destino che lo avrebbe portato a morire quella sera, insieme a suo cugino, in quell’auto. Come se quella triste pagina del passato non fosse mai stata scritta con il sangue di suo cugino Luigi e le lacrime della sua famiglia, costretta ad accettare la morte “accidentale” di un giovane vita fatta a pezzi da una fortuita fatalità e dalla ferocia camorristica di un boss assetato di livore criminale.
Uno scatto che rafforza le ipotesi relative alle circostanze in cui è maturata l’alleanza tra i due clan di Ponticelli, un tempo acerrimi rivali.
Un’alleanza che gli ex Sarno non avevano ipotizzato, anzi, stando ad alcune recenti rivelazioni, l’ex boss Vincenzo Sarno, oggi collaboratore di giustizia, quando passò dalla parte dello Stato, aveva deciso di “salvare” Domenico Amitrano non menzionandolo come appartenente al gruppo di fuoco che per conto del clan del Rione De Gasperi aveva messo la firma su diverse azioni criminose. Una strategia partorita con un’intenzione ben precisa: “graziare” Domenico Amitrano sperando che, una volta tornato in libertà, dopo aver scontato una pena per reati minori, potesse continuare a curare gli interessi del clan Sarno.
Vincenzo Sarno, probabilmente, sperava anche in una vendetta utile a vendicare la morte di Luigi Amitrano. Di certo, non sognava un’alleanza con gli stessi aguzzini di suo nipote. Meno che mai avrebbe auspicato che Domenico Amitrano finisse sotto le luci dei riflettori per una foto con il figlio dell’ideatore di quell’attentato stragista.
Archiviato il passato, le due espressioni dei due clan storici di Ponticelli, sopravvissuti alla carcerazione e agli arresti che hanno decapitato le rispettive organizzazioni, malgrado le condanne all’ergastolo delle figure-simbolo dell’alleanza per
l’omicidio Colonna-Cepparulo, oggi godono di ottima salute. Ragion per cui,
le forze dell’ordine che setacciano il territorio continuano a stare con il fiato sul collo del giovane rampollo di casa De Luca Bossa, come comprovano i fermi a suo carico. Gli inquirenti attendono il passo falso, consapevoli del fatto che nelle fitte trame che la malavita tesse in contesti come il Lotto O è molto facile inciampare, soprattutto se dietro l’angolo si celano
le dichiarazioni rese da un fedelissimo del clan, di recente passato dalla parte dello Stato e di un altro elemento di spicco della malavita ponticellese come
Tommaso Schisa.La differenza sostanziale tra i due personaggi ritratti in foto va ricercata in un semplice aspetto: mentre ai “Pazzignani” restano poche briciole e il controllo di attività illecite marginali, i De Luca Bossa beneficiano della ritrovata forza di un clan egemone e in salute e che attualmente detiene il controllo del quartiere. Gli eredi del clan di Tonino ‘o sicco, oggi, possono tutto e controllano tutto, in barba agli anni bui passati nell’oblio, trascorsi subendo umiliazioni e mortificazioni soprattutto dal clan De Micco.
I De Luca Bossa, oggi, possono tutto, per l’appunto. Anche prestarsi ad uno scatto che racconta molto di più di un semplice istante, bensì una storia di camorra lunga più di 30 anni.