A un anno di distanza dall’operazione che fece scattare le manette per 14 elementi di spicco del clan Casella, attivo a Ponticelli nella zona di via Franciosa, arriva un clamoroso colpo di scena.
Gli imputati, accusati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di associazione per delinquere di tipo mafioso e associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti nonché di spaccio di stupefacenti, possesso di documenti di identità falsi e lesioni aggravate, con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, sono stati assolti dal GUP – Giudice per le udienze preliminari – Enrico Campoli.
Tornano, dunque, in libertà i fratelli Giuseppe, Eduardo e Vincenzo, ritenuti dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli ai vertici della cosca attiva nel quartiere Ponticelli ed insorta sulle rovine del clan Sarno.
A supporto del quadro accusatorio, i dati emersi dalle intercettazioni ambientali raccolte in fase di indagini, dalle quali trapela nitidamente la responsabilità dei tre fratelli Casella in relazione all’omicidio di Gianluca Cardicelli, oltre ad altre prove inconfutabili in relazione ad altri reati: dagli ordini impartiti agli affiliati alla distribuzione dei soldi, oltre alla meticolosa cura rivolta all’attività di confezionamento e vendita della droga.
A determinare il clamoroso esito del verdetto, a dispetto delle schiaccianti prove raccolte, vi è il fatto che il pm aveva richiesto le autorizzazioni per intercettare il telefono, la casa e le auto dei sospettati, ottenendo però l’autorizzazione solo per le intercettazioni telefoniche.
Di contro, gli avvocati dei 14 imputati hanno fatto leva sul difetto di procedura, riuscendo ad ottenere l’assoluzione dei loro assistiti per non aver commesso il fatto.
Un clamoroso caso in cui il fine non giustifica i mezzi, in sostanza.
Un verdetto che vanifica gli sforzi dei protagonisti dell’indagine: le forze dell’ordine che da anni tampinavano i Casella che piazzando le microspie in casa loro e nelle loro auto erano riusciti a compiere un’impresa epica, per quanto i fratelli ritenuti a capo dell’organizzazione fossero vigili ed attenti ai minimi spostamenti, soprattutto durante le perquisizioni. Erano riusciti, dunque, ad eludere i loro controlli e a carpire segreti e misfatti dei fratelli Casella, ignari di essere ascoltati.
Ad incastrare i membri della cosca di via Franciosa, inoltre, vi erano anche le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia del clan De Micco, Rocco Capasso su tutti. Tuttavia, gli avvocati difensori degli imputati hanno fatto leva sul fatto che le suddette dichiarazioni fossero riconducibili ad un periodo storico che non incideva sui fatti oggetto dell’inchiesta.
Nella fattispecie, Rocco Capasso fece luce sui rapporti che intercorrevano tra i Casella e i De Micco, spiegando che i Casella pagavano il pizzo sulle piazze di spaccio ai De Micco, fino a marzo del 2015, ovvero, fino a quando non venne arrestato Roberto Scala, una delle figure-simbolo del clan dei tatuati.
I Casella, in sordina e lontano dai riflettori, in quegli anni tentavano di scalzare l’egemonia dei De Micco e per questa ragione smisero di corrispondere il pedaggio della “tassa” sulle piazze di spaccio che gestivano. I De Micco replicarono con il fuoco compiendo un agguato nel quale rimase ferito Giuseppe Casella.
Neanche dinanzi alla scampata morte quest’ultimo ridimensionò i suoi piani, dando il via ad una serie di azioni minatorie ed irriverenti che indussero il boss Luigi De Micco ad optare per una soluzione diversa, stipulando un moderno patto di non belligeranza.
Quanto riportato nei verbali firmati dagli ex affiliati al clan De Micco è una circostanza che diede il via a numerosi rumors di quartiere: le passeggiate di Luigi De Micco in compagnia di Eduardo Casella, in pieno giorno, in pieno centro, per mostrare la ritrovata e pacifica intesa pubblicamente, sortirono l’effetto sperato, i due clan ritrovarono l’agognata pace e i Casella conquistarono una discreta autonomia.
Nel rione Luzzatti, quartiere d’origine di alcuni degli indagati, la decisione del Gup è stata accolta e festeggiata con l’esplosione di fragorosi fuochi d’artificio, mentre Ponticelli è piombata in un silenzio assordante, in virtù delle conseguenze che questa clamorosa scarcerazione potrebbe sortire in chiave camorristica, in questo delicato momento storico che vede il cartello Minichini-Schisa-De Luca Bossa in oggettiva difficoltà, in seguito alla condanna all’ergastolo delle figure simbolo dell’alleanza per l’omicidio Colonna-Cepparulo e al recente pentimento di Tommaso Schisa, mentre le giovani reclute del clan De Micco stanno cercando di ritrovare il lustro di un tempo, proprio i Casella potrebbero approfittare del vacillante stato di salute dei clan di Ponticelli per coronare senza troppi sforzi il sogno di gloria cullato fin dai tempi del tracollo del clan Sarno.