Stando a quanto emerge da un video reperito sul web, Concetta Rispoli non sarebbe l’unica persona “imparentata con persone contigue alla malavita“, vicina al cantante Tony Colombo. Il cantante neomelodico, classe 1986, di origini palermitane e da poco convolato a nozze con l’ex moglie di Gaetano Marino, boss di Secondigliano ucciso a Terracina nel 2012, nel video che vi proponiamo “strizza l’occhio” ad un personaggio molto discusso in terra siciliana: Niko Pandetta.
Interprete della canzone neomelodica napoletana a Catania, i suoi video collezionano milioni di visualizzazioni, seppure Pandetta balza agli onori della cronaca quando, accusato di essere “un pusher domiciliare“, nell’ottobre del 2017 finisce tra gli indagati dell’inchiesta Double track che ha fatto scattare le manette per 25 persone. Nonostante all’epoca dei fatti Pandetta fosse detenuto ai domiciliari, secondo gli inquirenti “non avrebbe avuto un rapporto stabile con il clan Cappello, ma risulterebbe impegnato in una parallela e intensa attività di spaccio, in particolare per quanto riguarda la cocaina“. Una carriera che nasce sotto il segno di una cattiva stella per il cantante che all’età di 20 anni viene arrestato per rapina e spaccio di stupefacenti. L’ultimo arresto di Pandetta risale a maggio 2017, quando non si è fermato all’alt intimatogli dai carabinieri, mentre viaggiava a bordo di uno scooter senza assicurazione, insieme ad un’altra persona. Dentro al mezzo nascondevano una mitraglietta giocattolo senza il tappo rosso di riconoscimento. Pandetta nutre una passione per le armi, rimarcata da diversi tatuaggi: due pistole ai lati del collo, un’altra sull’avambraccio destro, una granata sulla nuca
Pandetta fa parlare di sé anche e soprattutto per uno dei suoi brani musicali più noti, dedicato a uno “pezzo da 90” della mafia locale, detenuto e condannato al carcere duro: zio Turi, ovvero, il capomafia Salvatore Cappello.
“Zio Turi”, l’uomo a cui Pandetta inneggia nelle sue canzoni, è una delle figure di maggiore rilievo della mafia catanese. Portano la firma di zio Turi molti dei centocinquanta omicidi della guerra di mafia che ha insanguinato Catania tra l’86 e i primi anni Novanta. Tra le sue gesta più spietate, l’uccisione dei due ladri che gli avevano rubato la macchina a Torino e il raid nell’agosto del ’90 in una macelleria del quartiere di Canalicchio.
La storia criminale di Cappello, figlio di fiorai, comincia con un colpo messo a segno da giovanissimo, quando strappa un crocefisso d’oro dal collo dall’arcivescovo di Trapani, dopo aver simulato di essere stato investito dall’auto sulla quale viaggiava il prelato. Tanto gli bastò per imporsi come un giovane “capace” agli occhi dei boss catanesi.
Cappello è l’erede di Salvatore Pillera, detto Turi Cachiti, personaggio storico della mafia catanese che in seguito alla detenzione lasciò le redini della cosca proprio tra le mani del giovane boss rampante.
All’età di 35 anni, viene arrestato a Napoli, l’8 febbraio del 1992, dove si trovava per incontrare don Carmine Alfieri, detto “o’ ntufato”, boss di Piazzolla di Nola, capo indiscusso della Nuova Famiglia, il sodalizio criminale insorto per osteggiare la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Latitante da tre anni, Cappello fu bloccato alla guida di una Citroen ZX a San Giovanni a Teduccio, alla periferia di Napoli. In auto, al suo fianco, c’era la sua donna, quella che secondo le cronache di allora, aveva conosciuto su un autobus durante una delle trasferte napoletane.
Nella città partenopea, Cappello doveva trattare grossi affari, forse l’acquisto di partite di armi come il carico di mitra Uzi spedite proprio da Alfieri in Sicilia e bloccato dai carabinieri agli imbarcaderi di Villa San Giovanni.
Di Maria Rosaria Campagna, la donna del boss, si torna a parlare tredici anni più tardi, nel luglio del 2005. La Campagna fu bloccata dai poliziotti della Mobile di Catania, appena sbarcata nel capoluogo etneo dal traghetto proveniente da Napoli. Per gli investigatori la donna teneva vivi i rapporti tra il capomafia al 41 bis nel carcere di Viterbo e gli esponenti della cosca.
A gennaio del 2017, Maria Rosaria Campagna, la moglie di Cappello, è stata arrestata nell’ambito dell’operazione “Penelope” che ha decapitato la cosca Cappello-Bonaccorsi. La donna, ancora una volta, è risultata essere l’anello di congiunzione tra il boss Turi Cappello, il suo storico compagno da oltre 20 anni al 41 bis, e i vertici operativi a Catania. Dalla sua cella, “zio Turi”, continuava a ricoprire il ruolo di capo indiscusso della cosca grazie all’ausilio fedele compagna.
Secondo gli investigatori della squadra mobile di Catania, era la donna del boss che da Napoli, dove è titolare di una pizzeria, in via Alessandro Volta, a due passi da San Giovanni a Teduccio, dettava di persona gli ordini del suo uomo ai referenti catanesi della famiglia.
Un legame complesso e tutto da decifrare, quello che unisce la camorra napoletana e la mafia siciliana, così come tutto da definire è tutt’ora il ruolo ricoperto dalle “ugole d’oro neomelodiche”, sia napoletane che siciliane, che interpretano brani che oltre ad apparire autentici inni volti ad alimentare il senso di esaltazione e devozione verso il boss detenuto, in molti casi, diramano autentici messaggi in codice, capaci di raggiungere milioni di persone.
Niko Pandetta, famoso anche per i duetti con altri cantanti neomelodici, finiti per queste ragioni nel mirino degli inquirenti, appare in un video della durata di circa 5 minuti e che risale al 1 aprile 2018, esattamente un anno prima che scoppiasse il “caso matrimonio” di Tony Colombo. I due sono a pranzo in ristorante siciliano “Dove se la fanno le persone giuste” specifica uno dei commensali dei due cantanti e immediatamente Pandetta inquadra Tony Colombo, seduto dall’altra parte del tavolo.
“Se arrivate a mille – numero di spettatori che assistono alla diretta – vi faccio vedere a Tony Colombo”, esclama Pandetta che nelle fasi successive del video, viene così introdotto e “sponsorizzato” dal neomarito di Tina Rispoli: “Voglio fare l’in bocca al lupo a Nico per il suo percorso e per quello che sta facendo e soprattutto perché mi ha detto una cosa bellissima: la musica mi ha salvato”.
Non la pensano esattamente così gli studenti della cittadina che ha dato i natali a Pippo Fava e che lo scorso 28 dicembre sono insorti per vietare un’esibizione canora di Pandetta.
Gli studenti di alcuni istituti superiori di Palazzolo Acreide, impegnati nella lotta contro le mafie, oltre che a mantenere vivo il ricordo di Pippo Fava, hanno trovato indecoroso ed inaccettabile permettere al cantante che inneggia alla malavita di esibirsi nella terra del giornalista ucciso dalla mafia e si sono mobilitati, fino a costringere gli organizzatori dell’evento ad annullare l’esibizione.
Non contento, il Pandetta, attraverso i social, ha rivolto reiterati insulti e minacce di morte ai giornalisti di una testata locale, rei di aver dato voce a quella protesta, oltre che di aver pubblicato un documentario di approfondimento sul fenomeno della canzone neomelodica in Sicilia.