Dalle prime luci dell’alba di oggi, giovedì 24 gennaio, la Squadra Mobile di Napoli ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le indagini preliminari su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di 8 persone, ritenute responsabili, a vario titolo, di detenzione, porto in luogo pubblico di arma comune da sparo e violenza privata commessa da più di cinque persone con l’uso delle armi, con l’aggravante del metodo mafioso.
Le indagini sono state avviate dopo il 28 novembre 2017, in seguito all’esecuzione di una misura cautelare nei confronti di 23 persone, ritenute contigue al clan De Micco, l’organizzazione criminale che fino a quel momento deteneva il controllo dei traffici illeciti nel quartiere Ponticelli.
Le 8 persone destinatarie dell’ordinanza sono: Michele Minichini, Alfredo Minichini, Fabio Oliviero, Gennaro Aprea, Luigi De Martino, Giovanni De Turris, Kevin Suriano e Ciro Cerrato.
Agli indagati vengono contestate, a vario titolo, due ‘stese’ avvenute tra dicembre 2017 e gennaio 2018, contestualmente alla faida insorta a Ponticelli, proprio in seguito al blitz che rimaneggiò il clan De Micco, costretto a controbattere e contenere l’intenzione di conquistare il quartiere da parte del sodalizio criminale nato grazie ad una serie di alleanze strategiche tra diversi clan della periferia orientale di Napoli, capeggiato da Michele Minichini.
La prima “stesa” oggetto delle indagini giunte ad una svolta cruciale in data odierna, avvenne il 4 dicembre 2017 intorno alle 18.30, in via Masseria Pepe a Ponticelli, zona sotto il controllo del clan De Micco. Ad entrare in azione fu un commando composto da sei persone in sella a tre scooter, tuttavia a sparare furono solo in due, tra la gente che tornava a casa e gli automobilisti fermi nel traffico.
A capeggiare il gruppo camorristico vi era Michele Minichini, figlio del boss detenuto al 41 bis, Ciro Minichini, già raggiunto da diverse ordinanze nell’arco dell’ultimo anno, in particolare, “tiger” – questo il soprannome del fratellastro di Antonio Minichini, freddato in un agguato proprio dai rivali del clan De Micco – è accusato dell’omicidio di Raffaele Cepparulo e di Vincenzo De Bernardo, maturati in diversi periodi e contesti storici, ma entrambi esplicativi dell’indole di killer spietato di Minichini, oltre che dell’elevato spessore criminale del suo profilo. Minichini era l’unico componente del gruppo che mise la firma sulla “stesa” in via Masseria Pepe a non indossare il casco e, di conseguenza, il solo identificato e raggiunto dalla misura cautelare odierna. Per gli inquirenti è stato tutt’altro che difficile risalire all’identità di Minichini, forti del supporto delle immagini dei sistemi di videosorveglianza, grazie al nutrito e voluminoso numero di tatuaggi che adornano il capo del giovane boss e che raccontano la sua storia criminale. Una storia che nasce proprio in seguito alla morte di suo fratello Antonio Minichini, trucidato in un agguato sul quale vi era la firma dei De Micco, seppure estraneo alle dinamiche camorristiche. Dopo quella morte che sancisce “il salto di qualità” di Michele all’interno del clan di famiglia, il giovane si rasa la testa a zero e sulla base del cranio incide con inchiostro indelebile il suo cognome. Sulla tempia destra si tatua una granata, mentre sulla tempia sinistra una serie di proiettili esplosi. Al centro della testa c’è l’immagine di una tigre con le fauci spalancate, alla quale fa eco un’altra tigre sulla nuca. Del resto, “tiger” è il suo soprannome. L’ultimo tatuaggio inciso sul capo di Michele Minichini è un numero: 46, quello con il quale nel gergo camorristico si indica la zona del clan Rinaldi di San Giovanni a Teduccio.
Del resto, Michele Minichini il casco non lo indossa mai, nemmeno quando esce di casa per andare a sparare. Che spari per intimorire o per uccidere, non vi è differenza. Minichini non si copre mai. Vuole essere visto, vuole essere riconosciuto. Vuole essere rispettato e temuto. Questo era il suo modo di vivere ed interpretare la camorra: a volto scoperto. Non lo indossava mai il casco, Michele Minichini.
Nemmeno quando intorno alle 16 del 7 giugno 2016 fece irruzione a piedi nel circolo ricreativo del Lotto O per uccidere il boss dei Barbudos Raffaele Cepparulo, “tiger” aveva il volto coperto. Meno che mai era solito coprire quel capo che mostrava con orgoglio quando andava in giro, in sella a possenti scooter, in via Figurelle, il suo quartier generale, al confine con il Rione Villa, la roccaforte dell’amico ed alleato Ciro Rinaldi, boss attualmente latitante.
Un’alleanza smascherata fin da subito, pochi giorni dopo il blitz che sancì la resa dei De Micco tra le mura del quartiere Ponticelli: il 6 dicembre del 2017, due giorni dopo “la stesa” capitanata da Minichini lungo una delle strade-simbolo dei “Bodo”, la polizia fece irruzione nel corso di un blitz nella zona delle palazzine in piazza Crocelle, a Barra. Dopo aver fatto irruzione nel fabbricato, gli agenti di polizia sorpresero, “‘o nonno”, un esponente della famiglia Aprea, due uomini dei Minichini, un rappresentante degli Aurino e uno dei De Luca Bossa: un summit che ufficializzò il sodalizio tra Barra, Ponticelli e San Giovanni per giungere ad una riorganizzazione anche militare della periferia est di Napoli e che di fatto ha portato proprio quel sodalizio criminale a conquistare il controllo del territorio.
Il terzo ed ultimo episodio finito sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti, ugualmente sottolinea e conferma la solida alleanza tra i clan Minichini e Rinaldi.
Un episodio che risale al 13 gennaio 2018, avvenuto a Porta Nolana e immortalato dalle immagini di un sistema di videosorveglianza.
Immagini che narrano un’incursione armata, ancora una volta, da parte di un commando di sei scooter a bordo dei quali viaggiano 12 persone che con disinvoltura, in pieno giorno, si muove con le pistole in pugno tra la folla del mercato di uno dei luoghi-simbolo di Napoli, oltre che territorio storicamente controllato dal clan Mazzarella.
Gli scooter attraversano più volte il mercato, famoso per la vendita di frutta e pesce, frequentato da moltissimi cittadini. In quella sequenza, si nota che molte delle persone presenti sul posto, rendendosi conto di quello che stava accadendo, terrorizzate, cercano rifugio nelle vicine attività commerciali. Un uomo con la pistola in pugno scende dal motorino, si avvicina a un gruppo di persone ferme in un bar e inizia a guardarsi intorno.
E’ una dimostrazione di forza, una sfida, ma soprattutto un affronto rivolto ai Mazzarella, la cui roccaforte si colloca proprio tra Porta Nolana e piazza Mercato. Uno sgarro plateale e avvenuto in pieno giorno per volere di Michele Minichini che grazie al supporto dei suoi fedelissimi ha messo la ciliegina sull’alleanza che lo lega a Ciro Rinaldi, reggente dell’omonimo clan, da anni in guerra con i Mazzarella, non solo per il controllo di San Giovanni a Teduccio, ma anche della zona di Piazza Mercato e Porta Nolana che “My way” – questo il soprannome del boss attualmente latitante, Ciro Rinaldi – vorrebbe conquistare.
Un piano espansionistico approvato ed appoggiato da Michele Minichini e dagli altri clan alleati che, proprio in seguito alla resa dei De Micco, unendo le loro forze, hanno allestito un vero e proprio esercito criminale che è riuscito ad affermare la propria egemonia a Ponticelli.