9 gennaio 2017: un giorno passato inosservato agli occhi dell’opinione pubblica e mediatica, seppure segnato da un agguato in cui perde la vita un giovane pusher di Ponticelli. Un raid che doveva fungere da “avvertimento” per Gianluca Cardicelli che invece muore per la gravità delle ferite riportate.
Quell’agguato sancisce “l’inizio della fine” per il clan Casella di Ponticelli e che ha portato al blitz che nelle ore precedenti ha fatto scattare le manette per 14 persone, tre delle quali risultate irreperibili, ritenute proprio contigue alla cosca nata in seguito al declino del clan Sarno e che, negli ultimi tempi, in seguito al blitz che ha decapitato il clan De Micco nel novembre del 2017, ha approfittato del momento di difficoltà del “clan dei tatuati” e della faida con i Minichini-Schisa-De Luca Bossa che ne è scaturita, per affermare il proprio predominio sul quartiere.
Grazie alle testimonianze rese da alcuni collaboratori di giustizia, unitamente all’attività svolta dagli inquirenti, si è giunti alla ricostruzione dell’organizzazione che annovera il suo quartier generale in via Franciosa. Un clan “vecchio stampo” quello impostato dai Casella, a conduzione prettamente familiare, con un assetto gerarchico ben definito, al pari dei ruoli ricoperti da ciascun gregario.
Associazione per delinquere di tipo mafioso all’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, spaccio di stupefacenti, possesso di documenti di identità falsi e lesioni aggravate, con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa: questi i capi d’accusa che pendono sul capo delle 14 persone finite nel mirino degli inquirenti.
Oltre la ruolo di spicco assunto da Giuseppe, Eduardo e Vincenzo Casella, rispettivamente di 40, 34 e 22 anni,
le manette sono scattate per Annamaria e Giuseppe Milzi, Luigi Aulisio, Enrico Borrelli, 31enne di Volla, già ai domiciliari, Alfonso De Luca, 64enne di Ponticelli, già noto e attualmente ai domiciliari, Raffaele Del Gatto, 41enne di Ponticelli, già noto e attualmente ai domiciliari, Ida Austero e Antonio Austero, entrambi incensurati.
I fratelli Casella hanno ereditato le redini del clan che un tempo il padre, Salvatore Casella, aveva fondato a Ponticelli. Negli anni in cui la camorra non era fatta di “stese” e di frasi ad effetto rilanciate sui social, ma mostrava tratti connotativi assai diversi, il “capo zona” di Largo Molinari, ovvero, quella fetta di quartiere compresa tra via Franciosa e il Parco De Simone, era proprio lui, Salvatore Casella. Un ras, temuto e rispettato, sulla cui reputazione i figli hanno provato a fondare la scalata verso la conquista dello scettro dell’impero del male.
I fratelli Casella avevano rifondato il clan di famiglia e hanno fatto schizzare alle stelle lo spaccio di stupefacenti, principalmente di cocaina, marijuana e crack. Un business gestito attraverso una fitta rete di spacciatori- corrieri che ricevevano messaggi su telefonini con schede acquistate con documenti d’identità falsi ed effettuavano consegne a domicilio con gli scooter. Attraverso una marcata ripartizione dei ruoli e delle funzioni, i tre fratelli gestivano egemonicamente il traffico e lo smercio di stupefacenti nel quartiere controllando le blindatissime piazze di spaccio, sorvegliate h24 sia con telecamere che con vedette e pusher “turnisti”, con il ricorso talvolta ad azioni di fuoco, proprio come accaduto nella circostanza in cui è maturata la morte di Cardicelli, pusher al soldo dei Casella, ucciso dai Casella.
I profitti del traffico di droga, ulteriormente arricchiti dai guadagni derivanti da estorsioni e rapine, confluivano in una cassa comune, gestita da Annamaria Milzi, la moglie di Giuseppe Casella. I proventi degli illeciti venivano destinati al pagamento delle “mesate” agli affiliati e per corrispondere “lo stipendio” alle famiglie dei detenuti. Durante la perquisizione nell’appartamento della cassiera del clan sono stati trovati appunti e ‘pizzini’ sui quali gli inquirenti stanno concentrando la loro attenzione per decifrare altre informazioni che possono consentire di far luce su altre verità.
Il timore del Casella, trapelato da una serie di intercettazioni, si è rivelato fondato: temevano “la spiata” dei collaboratori di giustizia e così è stato. L’omicidio di Cardicelli, infatti, si incastona in un periodo storico di grandi fibrillazioni a Ponticelli.
Dal 28 novembre 2017, giorno in cui vengono tratti in arresto 23 persone ritenute affiliate al clan De Micco, lungo le strade in odore di camorra del quartiere, “le stese” si alternano incessantemente per diversi mesi. Un blitz che decreta la resa dei “Bodo” e la reazione dei clan che fremono per tornare alla ribalta non si fa attendere: inizia così la faida tra “la camorra emergente”, ovvero il sodalizio frutto di una serie di alleanze strategiche tra diversi clan della periferia orientale, e le rimaneggiate reclute del clan De Micco che cercano, per quello che possono, di seguitare a tenere alto l’onore e la credibilità della cosca che aveva colmato il vuoto di potere generato dal declino dei Sarno a suon di violente azioni criminali ed omicidi. I Casella, forti del retaggio culturale impartito da un camorrista di vecchia guardia come “papà Salvatore”, restano in sordina e navigano in silenzio per privilegiare i business illeciti sui quali avevano messo le mani, lo spaccio di droga in primis.
Eppure, decretando la spedizione punitiva voluta per redarguire la condotta scellerata del pusher Gianluca Cardicelli, i Casella sanciscono il punto di non ritorno. Gestiva una piazza di droga per conto dei Casella, Cardicelli, una delle tante nella vecchia roccaforte del clan Sarno, il Rione De Gasperi, ma aveva contratto dei debiti e aveva iniziato a fare uso di stupefacenti. Era inaffidabile, dunque, e andava riportato sulla retta via con “un paio di botte”, ovvero, l’ordine impartito a chi doveva “sbrigare la pratica” era quello di sparare contro Cardicelli un paio di colpi d’arma da fuoco. L’intenzione, dunque, non era quella di uccidere il pusher, ma un proiettile gli perfora lo stomaco, procurandogli una ferita che si rivela letale. Cardicelli muore nel giro di poche ore. Due giorni dopo, Rocco Capasso, uomo dei De Micco ben informato anche sulle attività dei Casella, passa dalla parte dello Stato.
Una sequenza che lasciava presagire la fine del clan di via Franciosa, così come trapela dalle parole delle stesse figure-simbolo dell’organizzazioni, inconsapevoli di essere intercettate. Proprio le dichiarazioni fornite da Capasso e da altri collaboratori di giustizia: “Sono stati stesso i Casella”, hanno rivelato una quindicina di ex uomini della camorra, tra i quali spiccano i nomi di Luigi Casella, cugino dei boss tratti in arresto, e Ciro Sarno detto “o’ sindaco”.
L’ex uomo dei De Micco, Rocco Capasso, in relazione all’omicidio Cardicelli, racconta che Gianluca, dopo un periodo trascorso lontano da Napoli, era tornato a Ponticelli e aveva preso in gestione una piazza di droga per conto dei Casella. Era un consumatore abituale di crack e i Casella non vivevano di buon grado il fatto che si mostrasse in giro “sempre tutto fatto”.