In tempi di non eccellenti congiunture economiche, la capacità di gestire il proprio denaro diventa essenziale per potersi garantire un presente stabile ed un futuro sereno. Nel caso delle famiglie, magari anche con figli, la questione si fa ancora più determinante, ed ovviamente più complessa. Si pensi, ad esempio, alle ingenti spese da sostenere per l’istruzione, soprattutto al livello universitario. Un salasso annuale a cui, senza una certa solidità economica, è difficile far fronte.
Ecco dunque riemergere la dicotomia secca tra risparmio e investimento. Per alcune famiglie, l’opzione privilegiata consiste in una gestione oculata del proprio patrimonio, evitando spese superflue e dando seguito all’adagio popolare che vuole i soldi “sotto al mattone”; per altre, invece, la strategia vincente si traduce in una tensione verso gli investimenti, grazie ad una serie di strumenti messi a disposizione dagli istituti di credito. Meglio ancora se intestabili ai figli.
La scelta classica per garantire stabilità al proprio risparmio era quella del Libretto. Emessi dalle banche o dalle poste cambiava poco, il Libretto di risparmio significava comodità, assenza di costi di gestione e bassi rendimenti. Per un periodo accantonati di fronte all’avanzata dei nuovi strumenti finanziari, con la crisi sono tornati prepotentemente in campo. Non esistono più i Libretti al portatore, che sostanzialmente erano utilizzabili da chiunque ne fosse in possesso, cancellati da una direttiva europea del 2015, ma è possibile ancora aprire i Libretti nominativi. I costi, come detto, sono bassissimi (ad esempio, con Unicredit è possibile aprire un Libretto con un euro al mese), i rendimenti altrettanto, a volte addirittura impercettibili (0,01% lordo con Poste Italiane). Come avere i soldi nel cassetto.
Amatissimi dagli italiani, circa 26 milioni ne hanno sottoscritto almeno uno nella vita, i buoni fruttiferi postali sembrano rappresentare lo strumento per tutti i palati. Ne esistono addirittura alcuni riservati ai minori, con tassi che variano dallo 0,25% allo 0,50%. Non parliamo di grandi cifre, ma si tratta comunque di un buon investimento per la paghetta mensile. Per i più grandi, i tassi salgono anche fino all’1,5%. Richiedono una liquidità maggiore, ma offrono anche rendimenti più alti, i titoli di Stato. L’incertezza economica in cui versa il nostro paese ha fatto schizzare i tassi di interesse dei BTP (10 anni); acquistandone uno oggi, si ottiene il 2,78%. Non male. Svantaggi? Ovviamente sì, a partire dalle tasse. E poi, c’è sempre il rischio inflazione. Con l’Euro l’inflazione è tutto sommato nulla, ma l’Unione monetaria è tutt’altro che solida. Quindi attenzione.
Infine, esiste il Piano di Accumulo del Capitale (PAC). Di cosa si tratta? Per sommi capi, il PAC è un versamento di liquidità periodica con la quale vengono acquistati altri strumenti finanziari, come ad esempio le azioni. L’obiettivo è quello di garantire stabilità al risparmio e puntare su un guadagno ragionato. Il PAC può andare bene per quasi tutte le tasche, anche per redditi non particolarmente elevati. Con il PAC, il rischio insito in un errato timing non c’è, perché l’investimento è diversificato e diluito nel tempo. Tuttavia, fatalmente, se l’ingresso nel mercato finanziario non spaventa, più complicata è l’uscita, poiché l’accantonamento di una certa somma di denaro può comportare una difficoltà non sottovalutabile per la vendita delle azioni, con i rischi connessi all’abbassamento del valore. In genere, comunque, i guadagni sono discreti e le perdite abbastanza contenute