18 luglio 2014. Un afoso venerdì sera d’estate come tanti a Ponticelli. Uno dei tanti improvvisamente sfociati nel sangue. Poco dopo l’una, intorno alla villa comunale del quartiere, intitolata ai fratelli De Filippo, ci sono tante famiglie con bambini, ma ancor più giovani.
Un killer solitario con casco integrale giunge in via Aldo Merola in scooter, si ferma e punta la pistola contro una donna, intenta a chiacchierare con delle persone nei pressi dello chalet della villa, le esplode contro almeno sette colpi di pistola calibro 7,65 ferendola al gomito, alla spalla e al bacino destro, al braccio e alla coscia destra e sinistra.
La donna finita nel mirino del killer è temuta e rispettata per il suo cognome: è Anna De Luca Bossa, 39 anni, figlia di Teresa De Luca Bossa, la donna boss detenuta in regime di 41 bis per la sua pericolosità e sorella di Antonio, meglio conosciuto come Tonino ‘o sicco, anch’egli detenuto al 41 bis per aver conseguito un altro primato: è stato lui a realizzare il primo attentato stragista con un’autobomba in Campania. Un sodalizio criminale nato in seguito alla scissione dal clan Sarno, quello dei De Luca Bossa e che annovera la sua roccaforte nel Lotto O di Ponticelli, il plesso P4 è l’arsenale del clan.
Il killer rischia di uccidere altre persone vicine al suo bersaglio, eppure spara ben sette colpi che vanno tutti a segno: è il primo elemento al vaglio degli inquirenti che conferma non solo la matrice camorristica dell’agguato, ma anche che ad eseguire quell’azione criminale sia stato il cecchino di un commando militarizzato, addestrato, organizzato. Non si tratta, dunque, di un principiante allo sbaraglio, ma di un killer professionista, lucido e ben allenato.
Eppure, nessuno di quei colpi si rivela fatale. La donna finisce in ospedale, ma non rischia la vita. Scattano i soccorsi, la donna viene trasportata all’ospedale Cardarelli di Napoli, dove viene immediatamente operata.
Uno dei tanti agguati che arroventa il clima di per sè caldo sul fronte camorristico in quegli anni, in virtù della faida in corso tra i D’Amico e i De Micco per il controllo dello spaccio di droga a Ponticelli. Sono gli anni delle “stese” e dei colpi di pistola sparati contro i portoni o le finestre di “bersagli sensibili”, ai quali fanno eco agguati ed omicidi, su entrambi i fronti.
Proprio in virtù di quel clima di particolare allerta, il clan sceglie di commissionare l’agguato indirizzato alla donna ad un killer solitario. Anna De Luca Bossa e i suoi conoscenti non si erano infatti insospettiti quando avevano visto quello scooter rallentare e fermarsi, pensando che psi trattasse di un avventore come tanti.
Poche ore prima, in un edificio di edilizia popolare in via Montale, arsenale del clan De Micco, Moreno Cocozza, 29 anni viene raggiunto da un proiettile al cuore. Il giovane viene trasportato a Villa Betania, da lì trasferito a Maddaloni per essere sottoposto ad un delicato intervento chirurgico. Cocozza, per gli investigatori vicino al clan De Micco, sarebbe stato ferito da chi doveva consegnargli del denaro per una partita di droga. Era andato a ritirare i soldi. L’agguato ad Anna De Luca Bossa, messo a segno poche ore dopo, potrebbe essere la replica della cosca dei tatuati al raid che ha ridotto in fin di vita il 29enne.
Il 29 luglio 2014 Anna De Luca Bossa verbalizza una deposizione: dopo quell’agguato, la lady camorra aveva deciso di passare dalla parte dello Stato, probabilmente per vendicarsi, ma poi ha ritrattato le sue dichiarazioni, consapevole, probabilmente, di quanto può essere salato il conto che la camorra presenta ai “Pentiti”.
Anna De Luca Bossa raccontò agli inquirenti che quattro mesi prima si era accordata con Carlotta Faticato, una spacciatrice di erba che gestiva una piazza in via Case Riccardi, nei pressi della gioielleria Paduano, in quella zona di Ponticelli denominata “ncopp’ ‘o vico”. La De Luca Bossa, versando in difficoltà economiche, aveva concordato con l’amica che avrebbe spacciato erba nel Lotto O all’insaputa dei De Micco, dividendo i guadagni con lei.
“Nel vico” c’era una certa Lisa che vendeva lo stesso tipo di stupefacente per conto dei Bodo, ai quali versava il 90% dei proventi trattenendo per sè il 10%, mentre Carlotta spacciava all’insaputa dei capi della cosca egemone a Ponticelli. Quando fu scoperta , si giustificò spiegando che stava vendendo nel Lotto O e allora, siccome la donna si riforniva autonomamente, i Bodo le chiesero il pedaggio di un pizzo di 200 euro a settimana sulla sua piazza. Da quel momento, le due donne misero in piedi un mercato autonomo, spacciando in tutto il quartiere, eccetto “nel vico”, contrattando le vendite telefonicamente e pagando un pizzo di 200 euro ogni venerdì ai Bodo che erano all’oscuro del fatto che tale Carlotta stesse spacciando in società con la reggente del clan De Luca Bossa. Carlotta, infatti, riferì ai De Micco di essere in società con una certa Patrizia.
Quattro giorni prima dell’agguato, le due socie in affari si confrontarono sulla scarsa convenienza nel tenere la piazza di spaccio, in quanto, una volta detratti i 200 euro da corrispondere ai De Micco, a loro restava ben poco. La compagna di Carlotta, tale Lisa, le avrebbe quindi proposto di mettersi in società con lei nella gestione della piazza del “vico” sotto il controllo dei Bodo, chiarendo quindi a questi ultimi che la piazza del Lotto O era stata chiusa. Avrebbero venduto lì qualche dose all’insaputa di questi ultimi, risparmiando quei 200 euro e tentando di ricavare proventi dalle vendite non dichiarate.
L’agguato ad Anna De Luca Bossa matura di venerdì e la donna individua il movente nel mancato pedaggio dei 200 euro da parte di Carlotta ai De Micco, quando erano andati a riscuotere il pizzo. A conferma di ciò, l’amica riferisce che Carlotta, nelle ore successive all’agguato, mentre era ancora in rianimazione, chiese alla figlia della lady camorra 350 euro.
Secondo quanto trascritto nel verbale contenente le dichiarazioni ritrattate successivamente dalla De Luca Bossa, l’erba veniva acquistata da tale “Musolino” nella zona delle Case Nuove. La compravendita avveniva in via Marina, nei pressi del bar “Il ciottolo” ed acquistavano 100 grammi di erba ogni paio di giorni a 9,50 euro, pagavano la vecchia e prendevano a credito la nuova.
Anna De Luca Bossa era la madre di Antonio Minichini, il 19enne ucciso nel gennaio del 2013 insieme ad un pregiudicato 20 enne, Gennaro Castaldi, nel Rione Conocal di Ponticelli, l’arsenale del clan D’Amico. Una morte che ha segnato profondamente l’intera famiglia De Luca Bossa e sulla quale probabilmente vi è la firma dei De Micco. Per questa ragione la lady camorra del Lotto O brama vendetta, al pari degli altri membri della famiglia, tra i quali spicca Michele Minichini, il fratellastro di Antonio, nonché esecutore materiale dell’omicidio del boss del barbudos del rione Sanità Raffaele Cepparulo, avvenuto nel circolo ricreativo del plesso P4, l’arsenale dei De Luca Bossa, nel Lotto O di Ponticelli nel giugno 2016, nel quale Anna De Luca Bossa ha ricoperto un ruolo determinante, compreso quello di spettatrice privilegiata.
A svelare questo particolare agli inquirenti è stato Umberto De Luca Bossa, nipote di Anna e primogenito di Tonino ‘o sicco, nonchè titolare del circoletto in cui è maturato l’agguato: «Ero all’esterno del circolo, nel piazzale antistante di fianco al centro abbronzante. In mia compagnia c’era mia zia Anna De Luca Bossa. All’interno vi erano Ciro Colonna, che giocava a calcio balilla con una ragazza di 16 anni, tale Francesca. Seduto nei pressi della cassa vi era invece Raffaele Cepparulo. Un soggetto vestito con un giubbino nero e con un cappuccio, con il volto chino, è entrato nel locale dicendo: “Questo è una rapina, non vi muovete”. La ragazza che era all’interno, presa dal panico ha raggiunto l’ingresso principale avvicinandosi a noi, spaventati siamo scappati. Via in direzione del centro scommesse. Dopo qualche secondo, non immediatamente dopo l’ingresso del soggetto nel locale, abbiamo sentito numerosi colpi d’arma da fuoco. Francesca, la minore che giocava al biliardino con Ciro, nella concitazione mi ha detto che dalla porta posteriore fosse entrato un secondo uomo. Mentre raggiungevo il centro scommesse, nel voltarmi velocemente ho notato l’assassino uscire dal locale. A piedi, da solo, ha svoltato sulla strada attigua alla chiesa, scappando dalla scalinata. A terra riverso con la faccia al suolo vi era Ciro. Attorno a lui tantissime persone. Quello che ho potuto notare era l’assenza di sangue. Tutti pensavano che fosse svenuto. Solo dopo averlo voltato ci siamo accorti che al centro del petto c’era un foro di entrata di un proiettile».
Sfuggito a due agguati avvenuti nei giorni successivi all’omicidio di Cepparulo ed arrestato pochi mesi dopo, Umberto De Luca Bossa rilascia una ricostruzione dei fatti in antitesi con quanto emerso dalle intercettazioni, oltre che diversa rispetto a quella che ha fornito nei giorni successivi all’agguato a fonti attendibili a lui vicine.
Il primogenito di Tonino ‘o sicco, infatti, in un primo momento, avrebbe dichiarato di essere entrato nel circoletto mentre i due killer erano in azione e pensando che si trattasse di una rapina avrebbe invitato i due giovani armati a mantenere la calma, precisando che nella cassa vi fossero pochi spiccioli, per poi fuggire dopo gli spari dalla porta secondaria.
Come può non aver riconosciuto suo cugino Michele Minichini che, tra l’altro, non aveva adottato nessuna precauzione entrando nel circoletto a volto scoperto?
Fu proprio il fratellastro di Antonio Minichini ad uccidere Cepparulo, secondo quanto emerso dalle indagini che nel marzo del 2018 hanno portato all’arresto di 8 persone, tra cui Minichini e la sua matrigna Anna.
Anna De Luca Bossa aveva il compito di segnalare ai killer il momento propizio per mettere a segno l’agguato che era stato organizzato nei minimi dettagli. Cepparulo era solito frequentare quel circolo e anche il giorno prima era lì. Fu proprio Anna a mandare il messaggio ai killer, ma loro non si fecero trovare pronti. «Io ho il telefono in mano, ma se poi faccio il messaggio e voi non ci state è inutile», diceva nervosa al telefono. Come quando si lamentò del fatto che nonostante avesse procurato la pistola per ammazzare «Ultimo» si perdeva tempo: «Se domani non si fa nulla io mi tolgo di mezzo e la riporto indietro».
Anna De Luca Bossa indicò ai killer che Cepparulo quel pomeriggio si trovava nel circoletto ed indossava una maglietta rossa. Dalle intercettazioni trapela la collera della donna, per il rischio che poteva correre suo nipote Umberto: «Ma se invece di colpire a quello – Ciro Colonna, il 19enne estraneo alle dinamiche camorristiche ucciso per errore – colpivano a mio nipote? Tu che fai? Improvvisamente entri e fai fuoco? Fino alla fine credevamo che l’altra vittima fosse mio nipote».
Il 9 giugno del 2016, all’indomani dell’omicidio di Raffaele Cepparulo, Anna De Luca Bossa dedica gli un post su facebook: “Buongiorno amore mio mi manca tutto di te fratm rafe …..”
Pochi giorni dopo quell’agguato, per la Lady Camorra del Lotto O scattano le manette, nell’ambito del blitz anticamorra a Ponticelli che ha visto 300 carabinieri impegnati nella cattura di 90 persone accusate di far parte, a vario titolo, del clan D’Amico. I reati ipotizzati dalla Dda sono associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, estorsione, narcotraffico, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco.
Il clan gestiva le piazze di spaccio, il racket delle estorsioni, il commercio delle case popolari. Tante le donne-boss arrestate nell’ambito dell’operazione denominata “Delenda” che, di fatto, ha decapitato il clan D’Amico e ha inferto una dura stangata ai De Luca Bossa. Anna era diventata la referente dei De Luca Bossa. Dopo l’arresto della madre Teresa, spettava a lei gestire gli affari di famiglia. Amava circondarsi di giovani ragazzi e mettere in mostra il suo fisico, la De Luca Bossa sfoggiava look sportivi, da maschiaccio, puntualmente marcati da un rossetto rosso fuoco. Vita mondana, serate in discoteca e movida tutte le sere: la vita della lady camorra del Lotto O era fatta soprattutto di questo.
Nonostante la detenzione, la figura di Anna De Luca Bossa è tutt’altro che uscita di scena.
Attraverso le lettere che invia dal carcere, impartisce messaggi in codice ai suoi fedelissimi, chiedendogli di diramarli a suo nome: “il leopardo e ferito ma non è mortaaaa“, scrive su facebook un uomo vicino ala lady camorra nel dicembre del 2016.