Nelle ultime ore è balzata agli onori della cronaca l’ennesima vicenda ambientata nel Rione Conocal, uno dei tanti contesti di edilizia popolare insorti a Ponticelli nell’era del post-terremoto dell’80 in cui la criminalità ha attecchito facilmente, complice il mix di “facili alleanze” tra tante famiglie in odore di camorra provenienti da diversi quartieri napoletani e l’isolamento e la povertà che hanno spianato la strada all’affiliazione, plasmando tanti giovanissimi a immagine e somiglianza di quel credo che, fin da subito, ha imposto nelle loro vite diritti e doveri ben precisi.
Un rione che in seguito al declino del clan Sarno si tramutò nel bunker del clan D’Amico, capeggiato dai fratelli Antonio e Giuseppe, detti “fraulella” ed in seguito alla loro carcerazione ereditato dalla sorella Annunziata, detta “la passillona”, la “mamma-camorra” giustiziata come un boss nell’ottobre del 2015, di ritorno dal carcere di Caserta, dove si era recata a far visita ad uno dei suoi figli. Un agguato maturato nei pressi dell’abitazione della “donna-boss”, in via al chiaro di luna, la stessa strada dove ha trovato la morte il 19enne Emanuele Errico detto “pisellino” lo scorso 26 aprile. Uno dei tanti ragazzi che venerava come una matrona la lady camorra di casa D’Amico. Compianta e rimpianta da “pisellino” e da tanti altri giovani del rione che, come ha fatto lui finchè era in vita, continuano a tributare rispetto ed ammirazione alla “passillona”.
Il Rione Conocal di Ponticelli è “diventato celebre” quando i carabinieri divulgarono le immagini che narravano le gesta dei giovani interpreti della malavita locale: le “stese” in pieno giorno e le piazze di spaccio a cielo aperto, gestite tra i bambini che giocavano. E molto altro ancora. Immagini di guerriglia urbana che fecero il giro del mondo.
Un rione difficile e complesso, isolato e distaccato dal resto del quartiere, della città e del mondo, dove regnano regole ben precise e la lotta per sopravvivere porta i ragazzi del Conocal a covare un mix di emozioni e sentimenti contrastanti e pericolosi, maturando un’aggressività che spesso sfocia in cruenti fatti di sangue.
In questo scenario è ambientato l’omicidio di Emanuele Errico detto “pisellino”, il 19enne “affascinato” dalla camorra e dalle sue figure-simbolo, ma non a tal punto da scegliere la via dell’affiliazione.
Tra i suoi più cari amici spicca il nome di Mariano Abbagnara, attualmente in carcere per l’omicidio del 25enne Raffaele Canfora, personaggio che gravitava negli ambienti del gruppo della Vanella Grassi di Secondigliano, prima picchiato, poi punito con tre colpi di pistola e infine lasciato morire in auto, trasportato in giro per le strade dell’entroterra vesuviano, tra strazianti richieste di pietà, coperte da un’assordante musica techno.
Mariano, all’epoca dei fatti, aveva 17 anni. Raffaele era un suo amico, ma le regole della camorra vengono prima di tutto e chi sceglie quella strada, forse è consapevole di non avere amici, proprio per questo motivo. Raffaele fu ucciso per “regolare” degli attriti tra gruppi camorristici per il controllo dello spaccio di droga nell’area est di Napoli. La sera dell’omicidio, fu lo stesso Raffaele a prelevare in auto Mariano e i suoi ‘amici-carnefici’ dal rione Conocal di Ponticelli. Da Marianella – il quartiere in cui abitava – a Ponticelli, era giunto a bordo della sua Panda, per andare inconsapevolmente incontro alla morte. Con loro si spostò a Ercolano, dove fu ucciso.
Anche Emanuele Errico conosceva i suoi assassini e anche la sua morte è stata voluta per regolare dei “conti in sospeso” attendendosi ai più rigidi dogmi imposti dal “galateo della vita di strada”.
La camorra, in questo caso, fa solo da spettatrice al contenzioso nato tra giovani rapinatori dello stesso rione di Ponticelli: il Conocal.
Da un lato i fratelli Antonio e Nicola Spina, rispettivamente di 18 e 22 anni, dall’altro il 19enne Emanuele Errico e il 30enne di Volla Rosario Ciro Denaro.
Antonio Spina, soprannominato “o’ cecato” e suo fratello Nicola ed Emanuele Errico detto, invece, “pisellino” si conoscevano, si frequentavano ed erano “soci”. Entrambi erano cresciuti in quel contesto ed avevano intrapreso una “carriera” simile.
“Pisellino” era già stato pizzicato mentre spacciava e per questo stava scontando una pena ai domiciliari, seppure quella sera in cui ad attenderlo sull’uscio di casa ha trovato la morte, avesse violato le restrizioni previste da quel regime detentivo, come aveva fatto in altre circostanze, per mettere a segno furti e rapine. Anche la sera precedente all’agguato in cui ha perso la vita “Pisellino” era uscito di casa per “dare una lezione” ai fratelli Spina, con i quali era entrato in rotta per questioni legate alla spartizione dei proventi dei furti dei motorini rubati e non solo. Insieme a Rosario Ciro Denaro, infatti, la sera del 25 aprile, il 19enne si recò nei pressi dell’abitazione degli Spina per dare fuoco agli scooter dei due fratelli, parcheggiati sotto al palazzo. Le fiamme arrivarono ad intaccare anche alcuni appartamenti dell’edificio rimasto coinvolto nell’incendio, tant’è vero che il fumo costrinse alcuni parenti degli Spina ad abbandonare le abitazioni.
I fratelli Nicola ed Antonio, pur di risalire all’identità dei responsabili di quel raid, avviarono delle vere e proprie indagini che giunsero ad una svolta decisiva quando si fecero consegnare le immagini del sistema di videosorveglianza di un supermercato situato nei pressi della loro abitazione e che gli rivelò l’identità dei responsabili. I fratelli Spina riconoscono senza esitazioni “pisellino”, soprattutto grazie alla sua camminata “penzolante” che lo rendeva facilmente identificabile. Una volta appurato che Errico era l’autore del raid incendiario, i due fratelli decisero di attivarsi subito per chiudere definitivamente i conti con il 19enne. Nonostante fossero a conoscenza dell’esistenza di quella videocamera, i fratelli Spina decisero di agire, pur consapevoli del fatto che anche i fotogrammi che avrebbero immortalato quelle sequenze di morte sarebbero stati ripresi e che, prima o poi, gli inquirenti sarebbero risaliti all’identità dei killer di Emanuele Errico, ciò non è bastato a dissuaderli dal compiere quell’agguato.
Il giorno seguente all’incendio doloso degli scooter di loro proprietà, i fratelli Spina attesero che il 19enne uscisse di casa ed entrarono immediatamente in azione. Emanuele Errico fu raggiunto da un proiettile alla schiena, mentre tentava di fuggire, invece, Rosario Ciro Denaro fu ferito ad una gamba.
Nei giorni immediatamente successivi all’agguato in cui ha perso la vita il 19enne Emanuele Errico, è stata proprio sua madre a riferire informazioni importanti agli inquirenti che, di fatto, li hanno messi immediatamente sulle tracce di coloro che le indagini hanno confermato essere gli autori di quell’agguato.
Fu proprio la madre di “pisellino” a riconoscere senza esitazioni uno degli assassini di suo figlio. La donna ha riferito che negli istanti successivi all’agguato, allarmata dal rumore degli spari, recandosi in strada, notò un’auto blu allontanarsi dal luogo dell’accaduto a bordo della quale aveva riconosciuto due giovani: uno era Antonio Spina, seduto al lato del passeggero. La madre della vittima ha spiegato che suo figlio frequentava i fratelli Antonio e Nicola Spina e che ha riconosciuto Antonio perchè non di rado si era recato a casa sua in compagnia di suo figlio Emanuele.
Secondo quanto emerso dalle indagini, a premere il grilletto sarebbe stato Antonio Spina. A dispetto dei 18 anni compiuti pochi giorni prima dell’agguato, “o’ cecato” sarebbe l’esecutore materiale dell’omicidio di “un amico”, un coetaneo che spesso frequentava e con il quale è entrato in conflitto per affermare la supremazia negli “affari” che conduceva insieme al fratello Nicola, già marito e padre di due bambine, nonostante i suoi 22 anni.
Prima amici e complici nel mettere a segno furti e rapine, poi diventati nemici e rivali per preservare i reciproci interessi e rivendicare la propria autorità, fino all’estremo epilogo. La spartizione del “bottino di caccia” al centro del contenzioso andato avanti per qualche tempo con una serie di rappresaglie, scaramucce e screzi. Il punto di non ritorno sancito dal raid incendiario perpetrato ai danni degli scooter degli Spina e sul quale i fratelli scoprirono che vi era la firma di “Pisellino” e Denaro. Da lì la decisione di farli fuori, punendo quell’ennesimo sgarro con la morte.
La testimonianza della madre di Errico che senza mezzi termini accusò i fratelli Spina dell’omicidio del figlio, insieme ai dati emersi dalle intercettazioni, in cui uno dei due fratelli Spina fa riferimenti autoaccusatori, hanno fatto luce sull’accaduto, consentendo agli inquirenti di chiudere in breve tempo il cerchio delle indagini.
“Pisellino” è morto a 19 anni per un contenzioso nato in relazione alla spartizione di affari illeciti di criminalità spicciola, furti e rapine, con i fratelli Spina: questo il movente dell’omicidio emerso dalle indagini.
Ad aggravare la loro posizione vi è il fatto che fin dalla sera del 26 aprile, i fratelli Spina si erano dati alla fuga, pianificando una serie di spostamenti, prima tra Casera e Napoli e poi in Calabria, mentre stavano progettando il definitivo espatrio in Germania.
Questo è quanto scoperto dai carabinieri del nucleo investigativo di Napoli attraverso le intercettazioni.
I fratelli Spina furono prima ospitati da alcuni parenti a Castel Volturno e poi da altri nel quartiere Poggioreale, in via Nazionale. Decidono di dividersi, poi si ritrovano a Scalea, gettonatissima meta estiva calabrese per tanti napoletani intenzionati a concedersi qualche giorno di vacanza.
Le intercettazioni confermano che i fratelli Spina stavano pianificando la fuga in Germania. Sprezzanti del fatto che possano essere già finiti nel mirino degli inquirenti, tutti i membri della famiglia Spina parlano al telefono senza filtri nè precauzioni. Non adoperano parole in codice, dicono tutto quello che c’è da dire, senza troppi indugi.
Nicola Spina afferma di non temere ritorsioni in quanto se avessero voluto ucciderli lo avrebbero già fatto, ma in famiglia le tensioni non mancano. Il padre è arrabbiato con Nicola perchè è andato in Calabria portando con sè tutti i soldi “senza pensare a nessuno”.
Un forte senso di disappunto per le decisioni prese da Nicola Spina trapela anche dalle parole della suocera che invita la figlia, ovvero la moglie di Nicola nonché madre delle sue bambine, a prendere le distanze da quanto stesse accadendo per preservare sè stessa e le sue figlie. Le parole della donna, inoltre, lasciano intuire un retroscena che viene confermato anche da diversi abitanti del rione Conocal: era il più piccolo dei due fratelli, il 18enne Antonio Spina, “la testa calda” della famiglia.
“Si sono cacciati in una cosa più grossa di loro (…) era meglio che Nicola diceva dal primo momento: è successo, è stato uno sbaglio, non sono stato io. Non lo pensasse al fratello – Antonio Spina – perchè secondo me il fratello gli ha fatto fare la tarantella.”
I fratelli Spina vengono decritti come due ragazzi completamente diversi, sia fisicamente che caratterialmente. Molto più spocchioso ed irriverente il 18enne Antonio, più riservato, ma ugualmente “motivato” negli affari, invece, Nicola.
Antonio Spina non era il classico bullo del quartiere. Era un ragazzino che alle minacce preferiva i fatti. Non di rado aveva dato libero sfogo alla sua personalità “cattiva e feroce”. Oltre a questo gli abitanti del Conocal non aggiungono altro, seppure addolorati per la morte del 19enne che, in sostanza, era un ragazzo predisposto a delinquere, ma non orientato ad entrare nell’orbita della malavita organizzata. Tra i grigi palazzoni di edilizia popolare regna ancora tanta paura e in molti manifestano ansia, inquietudine e timore nell’entrare nel merito della vicenda, preferendo di non correre il rischio di addentrarsi in racconti relativi alla vita e alla personalità dei fratelli Spina.
Un altro retroscena che, invece, emerge a chiare lettere dall’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’arresto dei fratelli Spina, trapela direttamente dalla voce di uno dei due arrestati: Nicola, parlando con la moglie del fratello Antonio lasciava intendere che quest’ultimo credeva di «avere più tempo» e chiarisce che avevano messo in conto che prima o poi “un po’ di galera” avrebbero dovuto farla. Tuttavia, proprio con l’intento di tardare l’arresto, i due fratelli stavano pianificando la fuga in Germania, così come trapela da una telefonata tra il padre dei due giovani e un parente che l’uomo riteneva in grado di organizzare la fuga all’estero dei figli.
Neanche l’espatrio in Germania non era ben visto dalla suocera di Nicola Spina che specificò alla figlia che doveva raggiungere il marito insieme alle bambine solo dopo che il 22enne avesse trovato una casa e un lavoro. Un piano mandato in fumo dai militari dell’arma che all’incirca una settimana fa hanno tratto in arresto i fratelli Spina.
Intanto, proprio durante la giornata odierna, lunedì 16 luglio, è stato convalidato il fermo dei due fratelli che restano dunque in carcere con l’accusa di omicidio e tentato omicidio.