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Si nascondevano in Calabria i killer del 19enne ucciso nel Conocal: arrestati due fratelli di Ponticelli

Luciana Esposito di Luciana Esposito
16 Luglio, 2018
in Cronaca, In evidenza
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Si nascondevano in Calabria i killer del 19enne ucciso nel Conocal: arrestati due fratelli di Ponticelli
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10632818_1015161438546432_1670540832293818536_nNel rione Conocal di Ponticelli regnano rabbia ed incredulità, nelle ore immediatamente successive all’operazione dei carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli che hanno dato esecuzione a un decreto di fermo emesso dalla DDA partenopea nei confronti di due fratelli originari di Ponticelli, ritenuti responsabili dell’omicidio di Emanuele Errico detto ‘Pisellino’ e del tentato omicidio di Rosario Denaro. Un agguato in piena regola messo a segno proprio nel rione che un tempo fu il bunker del clan D’Amico, la sera del 26 aprile 2016, nei pressi dell’abitazione del 19enne con precedenti per spaccio e che per questo stava scontando una pena ai domiciliari.

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Ucciso nei pressi della sua abitazione, sprezzante della limitazione imposta dal regime detentivo al quale era sottoposto, gli inquirenti hanno impiegato meno di tre mesi per far luce intorno alle circostanze in cui è maturato quell’agguato, risalendo all’identità dei killer: Nicola ed Antonio Spina, due fratelli di 22 e 18 anni.

Un omicidio che si colloca nell’ambito di un contrasto tra bande di giovani per il predominio sugli affari illeciti nella zona, in particolare sulla spartizione dei proventi di reati predatori.

Un agguato giunto al culmine di un’escalation di tensioni che si erano registrate nei giorni precedenti all’omicidio del 19enne.

Il giorno prima, ovvero, la notte del 25 aprile, le acredini tra i gruppi contrapposti avevano portato all’incendio dello scooter dei due fermati nella tromba delle scale in un caseggiato popolare e le fiamme avevano interessato l’intero complesso abitativo, rendendo inservibili alcuni appartamenti prima di essere domate dai vigili del fuoco. All’incendio, come ricostruito dai carabinieri, era seguita la rappresaglia dei fratelli Spina contro i soggetti da loro individuati come responsabili del gesto sulla base dei filmati del circuito di videosorveglianza di una attività commerciale nelle vicinanze.

I due ora fermati si erano resi irreperibili a partire dalla sera dell’agguato. Dalle indagini è emerso che, in un primo momento, si erano nascosti nella zona di Castel Volturno e subito dopo erano stati ospitati a Poggioreale per poi passare, a inizio giugno, in un’altra abitazione. Verso la fine di giugno le strade dei due fratelli si erano divise: il più grande con moglie e figli si era rifugiato in Calabria, mentre il 18enne aveva fatto perdere le sue tracce. All’inizio di luglio erano di nuovo insieme, a Scalea, in uno degli appartamenti di un parco di villette a schiera e stavano progettando la fuga all’estero.

I carabinieri hanno quindi organizzato rapidamente tutti i dettagli per la cattura, «coprendo» tutte le possibile vie di fuga. Il più giovane era stato bloccato mentre usciva a piedi diretto a Scalea; stessa sorte per il fratello più grande, sorpreso nell’abitazione con la moglie e i due figli piccoli. I fermati sono stati associati al carcere di Paola, in provincia di Cosenza. Il gip di Paola, riferiscono i carabinieri, ha convalidato il fermo e disposto per i due la custodia in carcere.

Un arresto maturato lo scorso 10 luglio, ma gli inquirenti hanno divulgato la notizia e i relativi dettagli dell’operazione che ha portato all’arresto dei fratelli Spina dopo svariati giorni.

11986561_964999050229338_2347897480982798988_nI coetanei, gli amici e i conoscenti di “Pisellino” non hanno molta voglia di tornare sull’argomento. Si limitano a spiegare che il 19enne ucciso non era cattivo e che proprio per questo non aveva la stoffa per aspirare a “diventare qualcuno” nel mondo della malavita locale, anche se amava “atteggiarsi a boss“. “Probabilmente pensava che limitandosi a fare “piccole cose” – a commettere reati di entità minore senza affiliarsi – non avrebbe dato fastidio a nessuno. Di certo non pensava che sarebbe morto ucciso per questo.”

I calcoli di “pisellino” si sono rivelati sbagliati, tant’è vero che dopo la rappresaglia della sera precedente, probabilmente, i fratelli Spina hanno dato ordine a qualche specchiettista di informarli sugli spostamenti del giovane Emanuele Errico. Accecati dal livore e dalla foga tipica dei giovani criminali che dominano la scena contemporanea, per i fratelli Spina quel genere di “conto aperto” andava regolato subito e in maniera estrema.

Sprezzanti dei pericoli, della morte, del carcere e delle conseguenze che un omicidio comporta, non solo per chi finisce sotto tiro, ma anche per chi preme il grilletto. Senza tralasciare il dolore che così facendo si arreca alle famiglie. A tutte le famiglie coinvolte.

I fratelli Spina dovevano e volevano rivendicare la loro egemonia a tutti i costi.

La morte, dunque, ha colto di sorpresa il 19enne. E la ricostruzione dell’agguato lo conferma.
Il 26 aprile, intorno alle 20, “Pisellino” era appena uscito di casa insieme al suo amico e complice, il 30enne Rosario Ciro Denaro. Quando ha sentito il rombo della moto in sella alla quale i suoi sicari si erano materializzati nei pressi della sua abitazione, il 19enne ha cercato di fuggire. Il killer si è alzato sui pedalini del sellino posteriore dello scooter e ha puntato la semiautomatica che impugnava contro di lui: è bastato un solo colpo che ha raggiunto la vittima alla schiena per arrestarne la corsa, mentre Denaro è stato ferito da un proiettile alla gamba sinistra.

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